Omelia (19-07-2009) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Perchè le pecorelle non pascano i pastori Da Geremia arriva una denuncia perentoria contro i pastori che, dimentichi del loro dovere di servire il gregge delle pecore di Israele, si danno probabilmente ai loro personali interessi addirittura scacciando le pecore stesse e provocandone la dispersione. Si tratta di una grave inadempienza da parte di chi è stato preposto a garantire l’unità del gregge e a servire e pascere ogni singolo capo di bestiame, ma che si mostra ben refrattario al suo ministero; per questo motivo il profeta non risparmia le sue requisitorie e annuncia anche punizione divina. Il pastore che scaccia le pecore anziché seguirle e che non mostra premura alcuna per la loro incolumità dai lupi e dai mercenari non fa infatti che abusare del suo ruolo, sfruttando il gregge a suo piacimento e secondo le sue vili preferenze. Tipico di quei pastori (purtroppo esistenti) che approfittano del loro ministero per scopi vani, per affermare se stessi sulla massa, esercitare un dominio sul popolo immotivato e incontrastato e non di rado per trarre vantaggio anche economico dalle anime a loro affidate. Anche Ezechiele rimprovera la medesima negligenza dei pastori che sono ben lungi dall’occuparsi delle pecore: "Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza. " Per colpa del pastore si sono disperse e son preda di tutte le bestie selvatiche: sono sbandate." (Ez 34, 4 – 5) e con questa categoricità, mentre rimprovera la neghittosità dei pastori opportunisti, delinea quali debbano essere le caratteristiche di chi viene posto alla guida del popolo del Signore: guidare, seguire, servire ogni singola pecora affinché si garantisca l’armonia e la comunione fra i tutti i membri del gregge e fra questi con il Signore facendo in modo che ciascuno si senta a suo agio e si mantenga salda la sua fiducia e il suo affidamento nella guida. La dispersione del gregge dovuta alla mancata sollecitudine del pastore è causa invece dell’allontanamento del popolo dalla comunione con il Signore poiché ogni guida, sebbene non sia Dio stesso, è comunque di orientamento per tutti affinché sia sempre riaffermata la sequela della volontà divina. Per dirla con Pietro: "Pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge." (1 Pt 5, 2 – 3) E’ importante soprattutto l’ultimo riferimento petrino, che invita a "farsi modelli del gregge", cioè a collocarsi alla pari delle pecore ai fini di dare loro esemplarità di vita e di essere loro orientamento concreto perché è soprattutto l’esempio e la coerenza fra quello che si predica e quello che si attua che determina la corrispondenza e la sequela delle pecore. Che vi sia stata e vi sia tuttora ai nostri giorni una vera dispersione nella stessa classe sacerdotale, anche in conseguenza di un presunto tentativo da parte delle nuove leve di "dialogare" con il mondo immedesimandosi in tanti aspetti di esso, è un dato di fatto deludente e sconcertante, poiché se da una parte occorre adeguare noi stessi e il nostro operato alla società odierna e al mondo che cambia, dall’altra occorre anche evitare il rischio di smarrire la nostra identità di ministri del Signore inviati con il preciso ordine di appartenere esclusivamente a lui e di essere latori del suo messaggio. Molte volte invece la presunzione di adeguarsi al mondo e l’illusione di poter comunicare il Vangelo in determinati ambiti della società ha avuto la conseguenza che il mondo assorbisse molti dei nostri presbiteri sotto le conseguenze esiziali che non stiamo a descrivere. Tanto tempo fa, un articolo di Don Mazzi poneva anche il rischio, oggigiorno assai diffuso, che possano essere addirittura le pecorelle a dover radunare e pascere i pastori, visto che la condotta di questi ultimi (ammettiamolo) non di rado si mostra eccessivamente mondana e dispersiva, ben lungi dall’essere richiamo di semplicità e radicalità evangelica e non è affatto fuori luogo che comunque i fedeli laici possano legittimamente richiamare alla rettitudine e alla buona condotta i loro presbiteri. Il vangelo odierno, sia pure per via indiretta ci offre la soluzione al problema della sollecitudine del pastore, consolandoci innanzitutto con la certezza che in ogni caso sarà sempre premura dello stesso Signore Gesù Cristo provvedere a che le pecore non vengano disperse: Gesù è il buon pastore che, a differenza del mercenario a cui le pecore non importano nulla, si china sulle ferite e selle deficienze di ogni singola pecorella manifestando ad essa l’amore e la misericordia del Padre; egli è il vero pastore che con le sue parole, i suoi insegnamenti e soprattutto con le sue opere di concreta sollecitudine amorosa, si mostra inequivocabilmente come il Buon Pastore che incute fiducia e sicurezza alle sue pecore sempre che queste siano disposte a seguirlo e a lasciarsi condurre per i suoi sentieri, per cui, nonostante eventuali defezioni o devianze dei pastori visibili, Egli è sempre unico e insostituibile e garantisce la certezza che noi non siamo mai soli. Ecco perché non bisogna mai lasciarsi sedurre dall’idea di tagliare i ponti con la nostra vita sacramentale o di non perseverare più nella spiritualità e nella vita ecclesiale in conseguenza di uno scontro con un sacerdote o di un pessimo esempio di testimonianza da parte di qualche ministro del Signore: sebbene non sempre i pastori siano all’altezza della fiducia del popolo che hanno affidato, resta sempre certo che Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi, e sempre (Eb 13, 8) e che Lui comunque rimane fedele perché non può rinnegare se stesso (2 Tm 2, 11 – 13). E’ sempre lui il nostro obiettivo ultimo e determinate pecchie e devianze nel clero, quando queste si verifichino, costituiscono semplicemente lo sprone divino alla perseveranza nel bene e alla fedeltà continua nonostante le avversità e che si guardi al Signore nostro unico Pastore nonostante le apparenze di una Chiesa visibile poco esemplare. Del resto è anche risaputo che determinate mancanze nei ministri erano già previste dallo stesso Gesù, che non aveva certo eletto ad apostoli i migliori dei suoi discepoli. Ma affinché noi presbiteri e operatori pastorali possiamo plasmare noi stessi per essere davvero conformi al nostro ministero, Gesù ci viene incontro con una frase che apparentemente sembra essere fuori luogo, ma che in realtà assume tutta la sua rilevanza: "Venite in disparte e riposatevi un poco". Con questo invito così caldo e generoso Gesù non mostra soltanto premura nei confronti di chi si prodiga a lavorare continuamente al servizio della gente non avendo neppure il tempo di mangiare, ma pone anche le condizioni per cui il nostro servizio sia qualitativamente esaustivo, imponendo come obiettivo primario a realizzarsi la nostra personale familiarità con Dio e la nostra dimensione intima di spiritualità capace di farci innamorare dello stesso mistero che annunciamo.. Gesù non è soltanto amministratore, leader e apportatore di ordini ma vuole innanzitutto realizzare con i suoi discepoli un rapporto di familiarità e di reciproca stima, che trascenda dalla normale routine del ministero e che favorisca la comunione con lui e fra di loro. Per questo prevede anche dei momenti privilegiati di incontro e di interazione, nei quali i discepoli possano rifocillarsi dopo la fatica della missione, avere spazi opportuni di riflessione e di concentrazione, condividere le loro esperienze con il Signore e fra di loro esultando per gli immancabili successi ministeriali, ricevendo moniti e raccomandazioni per poter poi riprendere il lavoro con rinnovato zelo e fecondità missionaria. Tale è il senso del nostro ritirarci periodico nella compagnia con il Signore, del nostro meditare attentamente la sua Parola e innamorarci nient’altro che di Lui: occorre infatti evitare che ogni nostra opera degeneri nell’esibizionismo atto solamente ad esaltare le nostre iniziative per ottenere il banale plauso della gente, ma perché il nostro ministero si radichi espressamente nel Vangelo occorre che da parte nostra il Vangelo sia assimilato in prima persona come nostra dimensione vitale che abbracci anzitutto il nostro essere prima ancora che il nostro operare. Nella misura in cui noi stessi impariamo a vivere l’intimità e la comunione con Chi ci ha scelti e prediletti fra tutti il nostro atteggiamento parlerà spontaneo di amore e di servizio nei confronti del prossimo e la nostra capacità di attribuire a Dio il primato su tutte le cose determinerà la conseguenza di un ministero davvero produttivo e fecondo e la sequela e la fiducia del popolo diventeranno conseguenza immediata, per il semplice motivo che noi fungiamo da ambasciatori per Cristo. Posso vantare (mi si perdoni) che nel mio apostolato molte volte mi basta anche una sola omelia domenicale ben proferita per essere avvicinato dalla gente (soprattutto dai giovani!) senza che io stesso me lo aspetti. Il che è normale per chi è davvero convinto di quello che sta predicando avendolo assimilato prima personalmente. Se non si vive in prima persona il vangelo, non si potrà mai pretendere di esserne latori e qualsiasi altro ricorso porterà sempre alla dispersione delle pecore. Il monito di Gesù non è tuttavia rivolto ai soli ministri e operatori pastorali, ma interessa chiunque si sia disposto a seguire le sue orme nella serietà della vita spirituale per un’esternazione adeguata agli altri dell’amore di Dio, insomma interessa ogni singolo battezzato. E’ importante che ciascuno di noi, non importa quale sia lo stato vocazionale o il ruolo che stia adesso ricoprendo o la dimensione di vita sociale, si appropri di opportuni spazi di raccoglimento che esulino dalle proprie occupazioni per privilegiare l’esclusiva dello spirito, ritemprare le membra e la mente, trovare conforto nella distrazione e soprattutto ravvivare, anche nel sano divertimento, la nostra relazione con Dio ai fini di riprendere le nostre attività consuete con rinnovato slancio e effettivo ottimismo sempre producente. La circostanza attuale delle vacanze estive ci è propizia a tal proposito e può ben favorire accanto al riposo fisico, anche la tempra spirituale adeguata. |