Omelia (26-07-2009)
padre Gian Franco Scarpitta
Il senso del miracolo gesuano

Appena succeduto ad Elia, il giovane Eliseo opera numerosi prodigi per i quali viene esaltato come "uomo di Dio", fra questi la moltiplicazione dell’olio alla povera vedova afflitta dai debiti (2Re 4, 3 – 7) e la moltiplicazione del pane alla folla presentataci dalla Prima Lettura liturgica di oggi: ricevuti in omaggio 20 pani d’orzo, comanda ai servi di distribuirlo a cento persone perché ne mangino tutti quanti, con la promessa che il pane avanzerà dopo che tutti si saranno saziati. Cosa che si realizza strepitosamente. Con tale atto miracoloso Eliseo manifesta se stesso come l’emissario del Signore, il profeta che parla e agisce nel nome di Dio rivendicando l’efficacia della fede e della sottomissione alla volontà di Dio. Interessante notare che questo brano ha delle analogie con le versioni evangeliche della moltiplicazione dei pani, soprattutto con quella di Matteo e con quella di Giovanni, che ci propone la liturgia odierna, tuttavia il paragone fra Eliseo e Gesù e incompleto e poco esauriente. Eliseo si qualifica infatti come il mandatario del messaggio divino, colui che agisce per volontà e nel nome del Signore, meritando l’amore e la fiducia della donna di Sunem e dei suoi interlocutori, ma semplicemente perché esecutore del ministero che Dio gli affidato fra gli uomini.
Il caso di Gesù è ben differente: da parte sua il miracolo della moltiplicazione dei pani non viene svolto con la sola intenzione di sfamare prodigiosamente una grande turba di popolo affamata e neppure si limita alla ricompensa per tutta quella gente che manifesta una grande fede in Lui, ma intende anche presentare se stesso come il vero "pane della vita", il "pane vivo disceso dal cielo" che sarà nostro oggetto di riflessione la prossima domenica. Gesù Cristo è infatti "molto più di un profeta", poiché è il Signore, Figlio e Verbo del Padre che realizza la redenzione e la salvezza del suo popolo e proprio questo lo induce ad essere per tutti garanzia di immortalità nel qualificarsi come alimento sostanziale per tutti. La moltiplicazione dei pani e dei pesci, oltre che ricompensare la grande fede di quanti pendono dalle sua labbra consci di ascoltare un messaggio di provenienza divina, attesta che lo stesso Signore Gesù è il pane di vita, l’alimento essenziale e indispensabile per la nostra sussistenza materiale e spirituale.
Osserviamo infatti tutti i particolari del racconto giovanneo: 1) l’episodio si svolge su un monte, o forse alle pendici di esso (Inizialmente Gesù lo si descrive mentre è salito sull’altura; al v. 15 del brano lo si vede risalire su di essa come se ne fosse disceso nel frattempo) e noi sappiamo che dovunque vi sia una dimensione orografica lì vi è un riferimento o un messaggio divino: quello che Gesù realizza è opera di Dio medesimo; 2) l’avvenimento ha luogo in prossimità della festa degli Azzimi (la Pasqua ebraica) che ricordava la fuga repentina degli Israeliti dall’Egitto nella quale non vi era stato il tempo di lasciar fermentare il pane: ora Gesù parlerà di se stesso come del pane VERO che realizzerà la Pasqua definitiva dell’uomo nella liberazione dalla schiavitù del peccato; 3) E’lo stesso Gesù che, impelagato in mezzo a quella moltitudine di 5000 persone che certo gli fa ressa da tutte le parti, si china pazientemente sull’erba per distribuire a ciascuno pane e pesce finché non resta sazio affermando se stesso come il Figlio dell’Uomo venuto per servire e non per essere servito; 4) il pane avanza in abbondanza, ma sia Giovanni che Matteo precisano che di esso vengono portate via ben 12 ceste piene. Numero pari alle tribù di Israele. Pertanto ne deriva che il miracolo di Gesù, effettivamente compiuto a beneficio della fame fisica di tutta quella popolazione di Gente che accorre a lui da ogni parte del circondario, ricompensa la grande fede manifestata nel Figlio di Dio da parte di quel popolo e rivela anche la verità di Gesù Cristo come Messia e Salvatore, nonché vera Pasqua di liberazione dal peccato per la salvezza universale. E per ciò stesso lo qualifica anche come il "pane vivo disceso dal cielo", mangiando del quale non si avrà più fame.
Il che ci ragguaglia ancora una volta sulla realtà di fatto che Gesù è un riferimento indispensabile di importanza tutt’altro che secondaria perché, se è vero che l’uomo di tutti i tempi, sia pure inconsapevolmente cerca Dio e tale ricerca non di rado è paragonabile con l’appetito di assoluto e di verità, è lapalissiano che, essendo Gesù Dio stesso resosi uomo per condividere la nostra vicenda, egli si identifichi come Colui che di sua iniziativa tende a soddisfare la nostra fame mettendosi alla portata di tutti noi che non possiamo fare a meno di ricorrere alla pienezza della verità che in lui sussiste. Gesù è indispensabile quale alimento di sussistenza e di vita dell’uomo di tutti i tempi e il vantaggio più grande è dato dal fatto che egli medesimo si lascia "mangiare", ossia accetta di farsi da noi coinvolgere e in noi anche si immedesima.
Il riferimento a Gesù pane di vita non deve però farci trascurare un aspetto di umanità molto spesso trascurato che è in realtà maggiormente privilegiato da parte di Dio e verso il quale lo stesso Cristo ha nutrito la massima delle predilezioni: l’umanità misera e priva di sostentamento.
Senza per nulla smentire quanto abbiamo riflettuto finora, la moltiplicazione dei pani ci ravvisa tuttavia dell’esistenza dell’emergenza e della gravità di tante situazioni miserrime che, sebbene non sempre facili ad individuarsi, serpeggiano nella nostra città (qualsiasi città) e anche nel territorio della nostra parrocchia, a proposito di numerose le famiglie nelle quali si vive un radicale senso evangelico di devozione, di fede e di speranza e al contempo si tacciono gravi miserie e indigenze materiali. Come anche di recente ricordava l’Arcivescovo Romeo di Palermo durante il discorso di chiusura della liturgia Diocesana del Corpus Domini, in tante famiglie, indipendentemente dal pane spirituale, si è assillati dalla fame materiale e in parecchie case manca il pane per la sopravvivenza quotidiana.
Per quanto noi difficilmente possiamo rendercene conto a motivo del silenzio rispettoso di questa gente, non sono poche cioè le famiglie fedeli e devote che non tutti i giorni hanno assicurato il pane a tavola o che comunque mancano degli elementi di primaria necessità: mentre tanti accattoni perditempo, nel reale tentativo di accumulare denaro facile per il vino o per il gioco, ci apostrofano per le strade o in chiesa con assillanti richieste di denaro omettendo la minima possibilità di lavorare, avviene che moltissima gente stenta a sbarcare il lunario vivendo continui disagi nella lotta per la sopravvivenza con la minima pensione o la scarsa retribuzione del lavoro saltuario, costretta non di rado a privarsi del pasto giornaliero e guardandosi bene dal chiedere aiuto economico ad altri, ora per vergogna ora per rispetto e riverenza. C’è anche chi letteralmente è morto di denutrizione e non solo nei paesi in via di sviluppo, mentre in tante altre case si dilapida il cibo e molti bambini sono accontentati nei loro vizi.
Dicevamo che Gesù stesso pane vivo disceso dal cielo ci ravvisa sempre questa realtà sconcertante di miseria, abbandono e discriminazione sociale, ma lo fa manifestando come già in Galilea e in Giudea, la sua predilezione per gli ultimi e per i poveri che la Bibbia di fatto considera i primi amici di Dio (gli anawim) anche perché la loro condizione li rende capaci di apertura al Trascendente e di fiducia incondizionata nel Signore: chi è privo di risorse sa riconoscere benissimo che la sua unica risorsa è Dio; ma anche noi siamo esortati a considerare le carenze di quanti ci stanno accanto, dai nostri parenti ai vicini di casa fino agli sconosciuti che sappiamo versare in gravi situazioni di bisogno per essere concretamente solidali nella nostra condivisione con coloro che soffrono la fame.
E’ compito di tutti, ciascuno secondo le proprie risorse e le proprie possibilità, sapersi prodigare nella generosità e nell’apertura concreta nei confronti degli affamati e degli indigenti, considerando che chi dona al povero presta a Dio e che non sarà mai abbastanza quello che noi doniamo agli altri, sapendo di quello che Dio ha donato a noi.