Omelia (28-06-2009)
don Maurizio Prandi
L'identità o la confusione

Domenica scorsa abbiamo cominciato un percorso certamente molto impegnativo, un viaggio, un cammino alla ricerca del volto dell’uomo, del nostro volto. Se la scorsa settimana siamo stati in contatto con due opposti (il successo e la tempesta), oggi ciò che definisce il nostro volto sono altri due opposti che la liturgia ci propone. Li definisco così: il volto, l’identità, da una parte, la confusione e lo smarrimento dall’altra.
Mi pare che il vangelo sia chiaro nel dirci che possiamo avere un volto, una identità, un nome ben preciso, oppure possiamo essere uno dei tanti sconosciuti in mezzo alla folla. In una bella lettera ai suoi Diocesani il card. Martini ha scritto: la massa è la folla anonima che si accalca attorno a Gesù. Molti lo toccano anche fisicamente ma non succede nulla; nessuno si distingue, nessuno assume un particolare rilievo, nessuno appare con un volto o un desiderio proprio. Nel raccontarci il nostro volto la liturgia della Parola e quella della messa ci suggeriscono l’atteggiamento giusto per poterci riconoscere, per avere un nome e una identità: quello del diminuire, del discendere, del sapersi poveri... E’ la seconda lettura di oggi ad indicarci questa strada Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi e la preghiera colletta è ancora, se possibile, più esplicita quando afferma che è nella povertà e nella croce di Gesù che riceviamo ogni bene e ancora fa' che non temiamo la povertà e la croce perché soltanto con quelle si porta ai fratelli il lieto annunzio della vita nuova. E’ proprio sulla scia di queste indicazioni, che ci fanno muovere nella direzione della povertà e dell’abbassamento, che sento il percorso delle due persone che oggi si avvicinano a Gesù: escono dalla folla, dall’anonimato, per entrare in un rapporto personale. Lo fanno insegnandoci un modo per entrare in relazione: da poveri, consapevoli della propria piccolezza, del proprio limite, delle proprie ed altrui malattie... la donna addirittura arriva da dietro, quasi furtivamente. Può capitare invece che in un rapporto, in una relazione, noi vogliamo entrare come da padroni, imponendoci e non tendendo le mani. La vicenda di questa donna ci insegna anche come siamo chiamati a vivere una relazione corretta con Dio, una relazione che non sia mercato o commercio o, ancora peggio, superstizione: sì... perché rischiamo di non avere abbastanza chiaro ciò che significa la relazione con Dio. Ciò che salva la nostra vita, ciò che guarisce la nostra vita è il rapporto con Dio, non i doni che può farci. Tutto va giocato nella dimensione personale del rapporto, non nella dimensione materiale delle cose.
Ricordo che durante un incontro con Daniele Simonazzi si parlava proprio della relazione con Dio a partire da questo brano di vangelo e si diceva come la donna cerca il contatto con Gesù. Marco ci fa entrare anche nei suoi pensieri: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita», che è evidentemente una concezione magica della realtà e del divino; cioè la percezione che il divino sia presente in cose materiali, come il mantello, e che basti quindi il contatto con questo materiale potente per potere ricuperare la propria energia di vita. Bellissimo invece che Gesù di questo contatto non si accontenti: il Signore cerca l’incontro personale con questa donna. Tutto il brano si gioca su questo contrasto: un contatto materiale con Gesù deve diventare un rapporto personale. Nel contatto materiale Gesù è una cosa, è una energia concentrata, della quale mi posso servire per arricchire la mia vita, e in qualche modo questa donna ha rubato la guarigione fisica. Ma questo "furto della guarigione" non è salvezza, diventa salvezza quando la donna viene e confessa e parla personalmente a Gesù. Solo a questo punto Gesù le dice: «Figlia, la tua fede ti ha salvata». La donna deve passare da una concezione "magica" della salvezza, a una concezione "relazionale" della salvezza, a un rapporto personale con Gesù. Nel momento in cui questo rapporto si può dire che c’è, la donna riceve il suo nome: Figlia.
Mi colpisce tantissimo anche il particolare del mantello... forse perché ne abbiamo parlato con i ragazzi la scorsa settimana al campo scuola di prima e seconda media in riferimento ad un episodio dell’Antico Testamento quando Gionata regala il suo mantello a Davide pur sapendo che Davide prenderà il suo posto e diventerà re. Il mantello come simbolo di fedeltà all’amico, il mantello che nella Bibbia è segno della protezione di Dio, della sua presenza che avvolge e ripara, copre e difende... per questo dice la scrittura: se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai al tramonto del sole, perché è la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle; come potrebbe coprirsi dormendo? Forse è proprio da questa memoria della Scrittura che la donna è partita: il mantello di Gesù, non soltanto la sua, ma anche la mia protezione... il mantello di Gesù, per essere avvolto per sempre dal suo amore... il mantello di Gesù, per fare memoria di un amore ricevuto, di una amicizia sempre offerta, di una presenza sempre nuova... il mantello di Gesù, perché quando un fratello o una sorella cercheranno di toccare il mio mantello io non scappi, ma possa vivere un rapporto personale nel quale offrire amicizia e donare vita.