Omelia (05-07-2009) |
Marco Pedron |
Incredibile ma vero Il vangelo racconta il rapporto tra Gesù e i suoi concittadini. Tutti noi viviamo in un paese, in una città, in un luogo e abbiamo relazioni sociali con chi ci sta vicino. A tutti noi piacerebbe essere accettati e amati dai vicini; che ci riconoscessero; che parlassero bene di noi; che ci aiutassero. Questo è il nostro desiderio, questo è quello che noi stessi, a volte non facciamo. Tutti noi diciamo spesso: "Se noi fossimo vissuti al tempo di Gesù gli avremmo creduto!; se l’avessimo visto non avremmo dubbi di fede!". Anche i suoi paesani aspettavano il Messia... ma non lo riconobbero. Questo vangelo ci presenta infatti Gesù che fa nella sua città quello che fa altrove: predica, di sabato, nella sinagoga. Lo ascoltano e rimangono stupiti, meravigliati, percepiscono che c’è qualcosa di grande in quest’uomo. Gesù risveglia in loro qualcosa, tocca le corde della loro anima, ma è troppo ideale, troppo forte, troppo dirompente, nuovo. I suoi paesani hanno le loro idee, hanno le loro tradizioni, hanno i loro schemi. Questo uomo dice cose che non si sono mai udite, cose "pericolose", mette in gioco, scopre "altarini". Gesù agiva e parlava senza preoccuparsi se ciò che diceva o faceva poteva urtare qualcuno e infatti, urtava molte persone. Gesù diceva quello che riteneva giusto davanti a Dio. Gesù diceva ai religiosi farisei che la loro religione era tutta falsità. Gesù diceva ai nobili sadducei che dietro la loro religione c’erano solo interessi di potere. Gesù riteneva stupide tante pratiche religiose prive di vita. Provate a pensare come poteva sentirsi chi le aveva fatte, chi le professava! Tutta questa gente, quindi, va in crisi, si sente messa in gioco, interpellata, toccata in prima persona e ha due possibilità: o rimettere in gioco le proprie convinzioni o attaccare Gesù dicendogli e facendolo passare per un pazzo, mettendo voci malevoli in giro e se non bastasse, sopprimerlo. E così fecero i suoi paesani. Nel caso di Gesù, poi, c’è un ulteriore complicanza. Finché Gesù predicava in giro per la Palestina la gente non lo conosceva. Ma i suoi paesani sì che lo conoscevano! Conoscevano bene la sua famiglia, le sue origini, si ricordavano bene di quando lui era piccolo! Ecco tutte le domande che si dicono: "Donde gli vengono queste cose?". "Ha studiato qui con noi, mica è laureato, non ha mica titoli di studio in merito, come può dire queste cose? Ti ricordi era in banco con te, con me, neppure era bravo a scuola". "E che sapienza è mai questa?". "Adesso arriva lui e ci cambia tutte le carte in tavola. Ma se abbiamo sempre creduto così dovremmo cambiare solo perché lui ha queste idee strane? Ma è uno di noi, ma chi si crede? E poi, tutta la sua famiglia era un po’ strana, è anche lui di quelli lì!". "Non è costui il carpentiere, il figlio di... e le sue sorelle...". "E’ uno come noi, lo conosciamo bene. Ma lo conosciamo bene, quello lì! Ha giocato con noi, era mio vicino di casa! Da piccolo io andavo meglio di lui a scuola! Era antipatico una volta! Se sapeste chi erano i suoi genitori! Ma cosa vuoi che esca di buono da quella famiglia lì! Quello lì: se sapeste cosa ha fatto una volta...!". Hanno già deciso: "Non vogliono credere". Non possono credere Dio si renda visibile in uno che conoscono. Hanno deciso che lui può essere solo quello che hanno conosciuto. Perché per certe persone tu rimarrai sempre lo stesso qualunque cosa tu faccia: hanno bisogno di etichettarti, di definirti in maniera rigida. C’erano tre sorelle: la prima aveva novant’otto anni, la seconda novantasei e la terza novantacinque. La prima chiamava la terza sorella "la piccolina!". Ad un colloquio per un posto di lavoro una donna, parlando dei suoi due figli, ha detto: "Sì, ho due cuccioletti di trentatre e trent’anni"! Il dramma dei suoi paesani è che lo conoscevano (pensavano di conoscerlo!) e quando la gente ti conosce tende a classificarti e vederti non più per quello che sei, per quello che sei diventato, ma per quello che eri. Perché cambiare opinione è sempre un cambiamento, una difficoltà, un lasciare vecchie posizioni. Dove sono nati i miei genitori io e mio fratello siamo chiamati come "i figli di Pedron". Non abbiamo un nome, siamo definiti, etichettati come "i figli di Pedron". Un uomo una decina d’anni fa stava camminando per le strade di Belfast e ad un certo punto si sente puntare una pistola alla nuca e una voce gli chiede: "Sei cattolico o protestante?". L’uomo fu costretto a pensare in fretta e trovò – a suo parere - una brillante soluzione per sottrarsi alla situazione non sapendo chi aveva dietro. Ripose: "Sono ebreo". Allora sentì la voce sghignazzante dell’uomo che gli aveva puntato la pistola: "Devo proprio essere l’arabo più fortunato della città". E’ assurdo ma noi giudichiamo spesso le persone in base ai ruoli, a quello che erano dieci anni fa, ai genitori di quelle persone, se le conoscevamo, ecc. E così gli abitanti di Nazareth rifiutarono Dio perché Gesù – dicevano loro – lo conoscevano bene. Conoscevano Gesù o l’immagine lontana, passata, l’etichetta di Gesù? Conosci Dio o la tua idea di Dio (etichetta)? Conosci tua moglie o l’idea che tu hai di tua moglie? Una delle espressioni più terribili è: "Come tua madre non ti conosce nessun altro". Esprime una verità (certamente una madre conosce il proprio figlio) ma diventa facilmente un giudizio feroce. Oppure: "Lo sapevo che finiva così, ti conosco bene". E’ come dire ad uno: "Io so chi sei tu, tu non mi puoi sorprendere, io ti posso prevedere". Un avvocato aveva ricevuto la fattura dell’idraulico e gli era sembrata decisamente troppo cara. Chiamò allora l’idraulico e gli disse: "Ehi, ma tu mi costi duecento euro all’ora. Non li prendo nemmeno io che sono avvocato!". E l’idraulico: "Nemmeno io li prendevo quando facevo l’avvocato". La realtà, le persone, la vita sono più grandi dei nostri pensieri e delle nostre etichette. Il giudizio ha origini lontani nella nostra vita. Il bambino divide la realtà in buona e cattiva. "Buona" è ciò che non è un pericolo per lui, ciò che non gli fa male, ciò che può controllare; "cattiva" è la realtà pericolosa, che lo fa piangere e che non può gestire. L’educazione spesso è: "Sei buono quando... sei cattivo quando...; ci piaci se... non ci piaci se...; ti vogliamo bene se... non ti vogliamo bene se...", allora un bambino divide la realtà. Ci hanno detto: "C’è qualcosa di brutto, cattivo e sporco in te. Questo (anche se c’è in te) lo devi eliminare, non ci piace, non vogliamo vederlo". Così abbiamo imparato a giudicare, a dividere la realtà di noi stessi. C’è una realtà buona da tenere e ce n’è un’altra cattiva da eliminare, da non sentire, da sopprimere. Il dramma è che niente di noi è buono o cattivo, ma semplicemente esiste. I comportamenti possono essere dannosi o utili ma non le persone. Il dramma è che quando tu dici ad un bambino: "Sei cattivo... sei brutto... sei un monello... vergognati... " hai giudicato lui e non il suo comportamento. Gli hai detto che lui non va bene, che in lui c’è qualcosa che non va e che deve essere eliminato. Mi ricordo che a quattro anni scrissi sul muro di casa con dei pennarelli. Mi divertii un sacco anche perché: che c’è di più bello che avere un foglio bianco grande tutta una parete dove puoi disegnare tutto quello che vuoi!? Fui guardato in maniera terrificante dai miei genitori (ricordo ancora lo sguardo): io, invece, pensavo addirittura che fossero contenti visto il disegno che a me piaceva tanto! Le presi e mi dissero che ero stato un bambino "terribile" e "papà e mamma non ti vogliono più quando fai così", cosa che mi mandò nella più totale disperazione. In realtà non ero terribile, il mio comportamento era stato "terribile" per loro. Da quel giorno non disegnai quasi più e tutt’ora oggi mi trovo in difficoltà. Sarebbe stato diversi se mi avessero spiegato le ragioni del mio comportamento e se mi avessero detto che io non sono cattivo, ma che fare certe cose può provocare disagi! Il giudizio spezza, divide, distrugge le persone (in greco krino giudicare vuol dire proprio dividere). Giudicare è il tentativo di controllare, di possedere la realtà perché ci fa paura. Quando una persona giudica molto vuol dire che ha molto paura. Tenta cioè di fissare delle etichette, dei ragionamenti, che semplificano e classificano la realtà. Giudicare è come voler far passare tutta l’acqua del mare per il tubo del lavandino. Gli antichi conoscevano il mito del "letto di Procuste". Procuste era un bandito malvagio e colossale che rapiva i passanti e li faceva prigionieri. Poi li stendeva su di un letto e se il prigioniero era troppo piccolo gli stirava gli arti e lo allungava, se era troppo grande glieli mozzava. Il "letto di Procuste" rappresenta tutte quelle persone che non sono in grado di accettare la realtà per quella che è e che devono "tagliarla", giudicarla, cambiarla, deformarla, farla rientrare nei loro rigidi schemi mentali. La giudicano non perché sia così ma perché loro non sono in grado di accettarla. C’è poi la bellissima storia dell’uomo che con il figlio e il mulo va in paese. Partono: il figlio sale sul mulo con il materiale da vendere e il padre va piedi. Ma per strada alcune persone, vedendo la scena, giudicano: "Che ingrato quel figlio, lui sul mulo e il vecchio padre a piedi". Così fecero cambio: il padre sul mulo e il figlio a piedi. Ma altre persone lungo la via giudicarono: "Che ingrato quel padre, lui sul mulo e il giovane figlio a piedi". Così entrambi andarono a piedi. Ma altre persone lungo la via giudicarono: "Che stupidi, hanno il mulo e vanno a piedi!". Allora entrambi si sedettero sul mulo. Ma non andò bene neppure così perché altre persone giudicarono pure questo: "Che bastardi: non hanno proprio pietà per il mulo che già è carico e deve portare anche il loro peso". Nel vangelo colpisce molto come alcune persone incontrando Gesù ne fossero trasformate, cambiate, non fossero più loro, diventassero totalmente nuove. Altre ancorate nei loro giudizi e nei loro schemi, invece, non venivano neppure toccate. Gesù dirà ad un certo punto: "Morirete nei vostri peccati", attaccati cioè ai vostri giudizi. Molte persone rimanevano assolutamente indifferenti anzi infastidite, estranee, fuori. Per alcuni era chiaro e lampante che in quell’uomo fosse presente Dio, mentre per altri era totalmente oscuro. Ciò che è decisivo per la vita cristiana è la fede. La fede è la capacità di poter vedere, riconoscere, percepire che Lui vive, agisce, si manifesta nella nostra vita. Dio non può operare nulla se l’uomo non lo riconosce. Dio è assente, se per l’uomo Lui è assente. Se l’uomo non si apre alla fede nulla gli sarà possibile e la vita sarà un continuo tormento e un errare. La fede non è capire: la fede è l’esperienza, l’incontro con Lui vivo. Ma se non vogliamo lasciarci coinvolgere, tirare dentro, cambiare, neanche Dio lo può fare per noi. È molto difficile per noi accettare e accogliere questo, perché teoricamente, con le parole tutti noi vogliamo Dio, tutti noi lo amiamo, tutti noi diciamo di volerlo accogliere. E’ molto difficile per noi e responsabilizzante accettare che Dio ci salvi, ma solo se noi lo vogliamo. Che Dio ci ami, ma solo se noi ci apriamo. Che Dio ci cambi, ma solo se noi glielo permettiamo. Che Dio ci porti al centro della Vita, ma solo se noi camminiamo. Dio, senza di me, non può far nulla con me. Il vangelo poi dice che "si scandalizzavano di lui". Il verbo è molto forte; indica l’indignazione verso Gesù. Non riescono ad accettare che uno di loro, uno che conoscono, sia diverso. In quel verbo c’è tutto il rifiuto, l’odio, lo sdegno, la rabbia, il disprezzo per Gesù. La storia di Gesù è la storia di un uomo che fu da alcuni amato alla follia, tanto che, per lui, lasciarono tutto e lo seguirono; mentre altri lo odiarono all’inverosimile tanto da ucciderlo. Gesù non è mai indifferente o tiepido: o lo ami o lo odi, o ti entra dentro o ti rimane esterno. La storia di Gesù è la storia di un uomo molto accettato e amato. Ma la storia di Gesù è la storia di un uomo soprattutto rifiutato. Non ricerchiamo mai il rifiuto, la lotta, o il conflitto. Sarebbe segno di grave patologia, di masochismo. Ci sono alcuni gruppi, delle persone che più sono osteggiate e più si sentono sante. E’ chiaramente una forma di malattia: "Guarda come soffro, guarda quanto è crudele il mondo con me". C’è una persona che ritiene di avere delle doti paranormali, sovrannaturali, pranoterapeutiche, (lei le chiama "spirituali"), e poiché chi ha un po’ di buon senso ci ride su (ma non purtroppo le anime fragili che invece le credono), lei crede che tutti ce l’abbiano con lei. E più ce l’hanno e più lei si sente investita da Dio e chiamata ad espiare le pene degli uomini così cattivi! Ma il rifiuto può essere un momento di ascesi, di grande crescita per tutti noi. Di fronte al rifiuto, emerge la verità della nostra strada e delle nostre scelte: "Quanto le vuoi?". Se quando sei osteggiato, lasci subito, quanto sono radicate le tue convinzioni? Quanto sono profonde? Ho bisogno dell’ostilità per capire se veramente credo in ciò che dico. Ho bisogno di pagare in pria persona per vedere se ciò che dico sono solo parole o mie verità. Quante persone dicono: "Io ci credevo ma era troppo difficile". No, tu credevi di crederci. Credere vuol dire aderire con la mente e soprattutto essere disposti a mettersi in gioco in prima persona. Altrimenti sono solo parole. Altrimenti siamo come i politici che credono nelle guerre e mandano i giovani, ma non i loro figli, nei conflitti. "Se un uomo non paga per ciò che crede o non vale l’uomo o non valgono le idee". Poi c’è questa frase proverbiale che è un’amara constatazione: (l’A.T. è la storia di un popolo che non ha ascoltato i suoi profeti): "Un profeta non è disprezzato che nella sua patria". Così fu tutta la storia d’Israele. Le parole di Gesù indicano la sua rassegnazione e il rifiuto della sua persona; esprimono il suo dolore e la nostra impotenza di fronte al pregiudizio delle persone: meglio non insistere, ma come Gesù, andare altrove. Altrove dirà: "Neanche se Dio scendesse voi credereste". E’ così. E’ inutile intestardirsi e volersi fare accettare da chi non ci vuole accettare. Meglio cambiare. E si meravigliava della loro incredulità: "Ma come fate a mettere in discussione ciò che faccio? Ma come fate a non percepire l’amore, l’apertura, la misericordia che trasuda da ogni mia parola, da ogni mio gesto, da ogni mio sguardo? Ma come fate a non vedere che vi amo? Ma come fate a non vedere? Come fate a non vedere che potreste essere diversi e vivere in maniera più umana, intensa e divina? Come fate a non riconoscere la vostra ottusità, i vostri attaccamenti e le vostre chiusure?". Ma non ci fu verso! E qui c’è tutta la delusione di Gesù. E’ il dramma di chi vive Dio, di tutti i profeti. Scontrarsi con persone che non sanno vedere la realtà. Qui si usa il verbo thaumatizo, "meravigliarsi". Altrove, ad es. in Mt 8,10 Gesù "si meraviglia" della fede di un pagano. Ma qui lo stupore di Gesù è ben diverso. Gesù rimane costernato, incredulo, senza parole di fronte alla cecità di chi ha davanti. Gesù è traumatizzato di fronte alla cocciutaggine e all’irrigidimento di chi ha davanti. Einstein – e se ne intendeva di queste cose – diceva: "E’ più facile spezzare l’atomo che il pregiudizio!". C’era una vecchietta che affermava che, tranne lei e la sua amica Mary, tutti sarebbero finiti all’inferno. Intervistata su questo argomento si dimostro irremovibile: "Io e la mia amica Mary". "Ma è proprio sicura, signora?". "Sì, le ho detto io e la mia amica Mary". "Ma ne è proprio certa signora?". "Beh adesso che mi ci fa pensare non sono più sicura della mia amica Mary". Purtroppo non c’è niente da ridere. Un uomo ama la moglie ma è bloccato da tutta una serie di paure dell’infanzia. Anche lei lo ama. Tutti gli dicono di farsi aiutare, di farsi dare una mano, perché altrimenti il matrimonio non potrà durare. Incredibile ma vero: ha preferito lasciare la moglie che farsi aiutare. Due genitori (entrambi con posti di rilievo nella società) hanno una figlia anoressica: pesa trentaquattro chili. Ma la "loro figlia sta benissimo, è solo un po’ magra". E’ incredibile ma vero! Marito e moglie, separati, si fanno la guerra e si palleggiano pesantemente le responsabilità del fallimento del matrimonio. Il loro figlio è triste, aggressivo, ha comportamenti devianti e ha solo nove anni! Ma, per loro, è la società, il compagno di classe, la maestra, che non vanno. E’ incredibile, ma vero. Ma non è incredibile che la gente creda ancora che il problema sia il mondo, l’avere più soldi, che se il vicino di casa cambiasse, che se il lavoro andasse meglio, che se la suocera cambiasse, che se il collega fosse diverso, allora sì sarebbero felici? E’ incredibile ma vero la negazione di certe realtà da parte delle persone. Si rimane come allibiti, senza parole, costernati, impotenti. Ma non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere e peggior sordo di chi non vuol sentire. Pensiero della Settimana Nessuno ci può rifiutare se non noi stessi. E, spaventati dall’impossibile, spesso rifiutiamo il possibile. |