Omelia (02-08-2009) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Il pane di ogni tempo Dio concede agli Israeliti peregrinanti nel deserto uno speciale alimento nascosto sotto uno strato di rugiada, che sulle prime è difficile ad identificarsi. Mormorano infatti: "Man hu"? = "Che cos’è?"(da cui il famoso termine "manna") e scoprono subito che si tratta del pane da loro richiesto più volte con insistenza e che il Signore concede più che per atto di sollecitudine per una sorta di rimprovero indiretto nei loro confronti, quasi a dire: "Non volete fidarvi di Dio, del suo amore, della sua assistenza? Protestate perché volete pane? Ebbene, eccovi il pane, bambini capricciosi!" Il popolo avrebbe dovuto infatti confidare nell’assistenza di Dio, che seppure aveva sottomesso gli Israeliti alla dura prova del deserto, non aveva mai mancato di recare loro sostegno, conforto e consolazione senza mai omettere di provvedere al sostentamento materiale; invece protestano e si ribellano a più riprese sicché Dio si comporta con loro come si conviene a persone incontentabili e pretestuose. Quell’alimento non era propriamente pane: secondo quanto spiega Ravasi si tratterebbe di lattice coagulato che scaturisce dalla corteccia di una tamerice della steppa, comunque di forte valenza nutritiva e in grado di sfamare materialmente gli Israeliti acquietando i loro spiriti ribelli; sicché Dio aveva provveduto a sfamare gli Israeliti in modo sufficiente perché stessero zitti e perseverassero nel cammino verso la Terra Promessa. Gesù si trova adesso a dibattere su questo argomento e, assumendo questo riferimento biblico che gli viene proposto, afferma categoricamente: "Io sono il pane vivo disceso dal cielo", qualificando se stesso come il pane che Dio questa volta non concede ai fini di placare una collera e che non consiste in un alimento di fortuita sopravvivenza, ma piuttosto il pane della vita che non esaurisce la sola fame momentanea ma che placa il desiderio di verità e di assoluto dell’umanità intera, che imprime nella vita dell’uomo per darle senso e fondamento e che viene concesso per pura gratuità e benevolenza divina. Già con il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci di cui abbiamo riflettuto la domenica precedente, Gesù mostra di essere capace di sfamare egli stesso la moltitudine di popolo che a lui ricorre non soltanto sfornando pane e pesce che avanza in grossissima quantità (12 ceste) ma offrendo se stesso come alimento di vita certa e indefinita che sazia la fame materiale e spirituale di ogni uomo. Per rafforzare questa immagine di alimentazione per la vita, Gesù aveva già qualificato se stesso, sempre secondo Giovanni, come "acqua viva che zampilla per la vita eterna" (Gv 4, 14) esprimendo così come di Lui si può avere fame e anche sete e cioè lo si brama continuamente senza sosta anche se non sempre nella piena consapevolezza: l’uomo ha bisogno di Gesù perché necessita di cercare la verità, continuando a cercarla anche dopo aver creduto di averla trovata e pertanto si atteggia proprio come chi ha fame e sete: non può aspettare e anela inesorabilmente a lui. I continui affanni nei problemi di tutti i giorni e i ricorsi alle ideologie come pure ad alienazioni aberranti come la droga, il sesso esaltato e varie chimere illusionistiche rilevano tutt’oggi che l’uomo cerca infatti un criterio adeguato di vita; il serpeggiare di tanto sangue assurdo negli ultimi tempi legato anche a circostanze e motivazioni ridicole e irrazionali, come pure i suicidi per insuccesso scolastico e le fragilità a cui soccombe chi non è abituato a lottare per la vita, rivelano che si necessita di nuovi strumenti di formazione umana atti a favorire l’impostazione individuale e collettiva della persona. Molto spesso ci si illude di trovarli in nuovi ambiti e sotto nuove proposte e si rifiuta categoricamente la figura e il messaggio di Gesù, ritenendolo non più all’altezza dei tempi o troppo pretestuoso, mentre il mondo laicista e anticlericale si illude di estromettere il sacro dalla dimensione sociale in nome di alternative che puntualmente rivelano poi la loro insufficienza e la loro fallacia. Eppure, nonostante il mutare delle epoche, dei costumi, delle concezioni culturali e le conquiste della tecnica e della scienza Gesù Cristo è rimasto davvero lo stesso "ieri oggi e sempre" e la sua presenza riafferma ancora una volta l’assurdità delle dottrine varie e peregrine." ( Eb 13, 8 – 9). Il ricorso alla sua Parola, sia pure non sempre con procedimenti indovinati, è rimasto sempre costante e mentre le promesse della postmodernità sono cadute nel vuoto in definitiva Gesù è l’elemento che più si cerca nelle chiese e non di rado anche all’interno dei movimenti filosofici, visto che non pochi luminari del pensiero si sono convertiti a Lui. La verità è che di Gesù si avverte la necessità anche sotto l’aspetto di parametri etici e culturali differenti che finalmente convergono tutti, comunque, nel Vangelo ed è significativo e rilevante che mentre lì’uomo cerca Gesù è proprio Lui che si fa trovare per primo: Lui è il Figlio di Dio, la Verità assoluta che raggiunge l’uomo mentre l’uomo cerca la verità a tentoni per ogni dove. Anzi, Gesù si fa anche mangiare dall’uomo. Abbiamo omesso le virgolette al verbo mangiare perché questo alimentarsi che Lui chiede da parte nostra di Lui non è di sola portata spirituale o metaforica: mangiare di Gesù, certamente vuol dire immedesimarsi consapevolmente in lui assumere tutti i suoi sentieri, diventando anche Sua parte integrante assimilando ogni dimensione di quelle da lui proposte, ma nel brano del Vangelo a noi oggi proposto, Gesù raccomanda che il magiare "la sua carne e il bere il suo sangue" avvenga anche in senso materiale. Come infatti spiega Romano Penna nell’esegesi dettagliata di questo brano, fino al verso 51 il verbo "mangiare" ha il solo significato di "credere", "affidarsi", "donarsi"; ma dal verso 58 in poi vi è un cambiamento tematico per il quale mangiare significa "lacerare", "masticare", soprattutto per l’introduzione del verbo greco "trogein" che ha questo specifico significato associato ad altri verbi greci che si riferiscono al "bere" (pinein) e al mangiare concreto. Non è poi un caso che il Vangelo di Giovanni, nel raccontare l’ultima cena di Gesù (cap 13) a differenza dei Sinottici e di Paolo taccia sull’istituzione dell’Eucarestia: in sostituzione di essa vi è questo discorso del cap. 6, nel quale Gesù invita espressamente tutti a nutrirsi materialmente della sua carne e a bere il suo sangue per avere la vita ed è apodittico che tale nutrimento reale debba avvenire nella mensa domenicale del pane e del vino che costituisce la nostra Messa. Viene quindi spiegata la differenza fra Gesù pane di vita e la "manna" del deserto: Egli è il vero pane di vita in tutti i sensi di cui ogni uomo ha necessità di nutrirsi e che si può mangiare anche in senso materiale perché la fame inconsapevole dell’uomo possa essere appagata definitivamente. Quando si versa in condizioni di serio appetito, si mangia immediatamente ma nessuno pensa di magiare altro se non il pane e chiunque sia davvero affamato, trovandosi nella vera indigenza, non sta certo a ragionare su quale piatto prelibato o manicaretto oggi possa consumare: mangia per prima cosa il pane. . Allo stesso modo, poiché Cristo ci si offre con la medesima spontaneità lo si accetta deliberatemene senza condizioni, e ci si apre a lui con fiducia, secondo quanto egli stesso dice ai suoi discepoli: essi domandano: "Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?" E Lui risponde: "Una sola è l'opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato". Cioè credere che Egli è il Figlio di Dio, Dio stesso incarnato per noi. |