Omelia (12-07-2009) |
don Marco Pratesi |
Preso dal Signore Il brano testimonia la reazione della corte di Geroboamo II (783-743 a. C.) di fronte al messaggio di Amos che, proveniente dal regno del sud, era venuto ad annunziare la rovina del regno del nord. Il santuario di Betel ("casa di Dio", cf. Gen 28,17-19) era il santuario nazionale del regno del nord, contrapposto a quello di Gerusalemme, al sud. Si trattava quindi di un luogo molto legato alla corte e sottoposto ad un suo particolare controllo. Annunziando che i santuari d'Israele sarebbero stati distrutti e che Dio si sarebbe levato "con la spada contro la casa di Geroboamo" (7,9), Amos incappa subito nelle maglie della censura. Il sacerdote Amasia riferisce al re: esiste una congiura contro di te, Amos profetizza che morrai di spada e Israele sarà deportato (7,11). In realtà egli distorce anche il messaggio, in quanto Amos non aveva annunziato la fine violenta del re, ma della sua dinastia (cf. 2Re 15,8-12). Ingiunge comunque al profeta di tornare a casa sua, nel regno di Giuda: lì potrà dire quel che gli pare. Si vedono bene qui alcuni meccanismi in base ai quali si rifiuta la Parola di Dio. Il primo: interpretare la Parola in base ai propri schemi. L'annunzio di Amos viene infatti recepito da Amasia come un fatto semplicemente politico. Egli non si pone il problema del suo elemento religioso, che pure vi è fondamentale, ma vede soltanto una congiura, qualcosa che insidia il potere del re, e di conseguenza il suo. Il secondo: delimitare gli spazi in cui la Parola può agire, rinchiuderla entro nostri recinti. Si permette a Dio di parlare e di agire in certi ambiti, tenendolo però fuori da altri, che sono poi quelli effettivamente vitali, dei quali vogliamo invece rimanere noi i gestori, dove la Parola non deve arrivare a disturbare i nostri assetti, e dove magari Dio è pure presente, ma semplicemente come "garante" e protettore. Un po' come accadeva per Betel, diventato base di false sicurezze, che Amos non manca di denunciare: "Non cercate Betel... perché sarà ridotto a niente. Cercate il Signore e vivrete, perché egli non si avventi come un fuoco sulla casa di Giuseppe e la divori senza che in Betel ci sia chi spenga (5,5-6; cf. 3,14; 4,4). Il terzo meccanismo: delegittimare la figura dell'inviato, attribuendogli secondi fini. A ciò accenna l'espressione di Amasia: "là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare" (v. 12). L'idea sottesa è che Amos sia un mestierante, faccia della profezia un mezzo di sostentamento. A buon diritto, dunque, essa può non esser presa sul serio e messa da parte. La reazione di Amos è durissima, e vale la pena di leggerla integralmente (fino al v. 17). Per lui la profezia non è affatto un mestiere, che egli invece aveva già (molto umile); ma è stato "afferrato" da Dio e strappato alla sua vita per ascoltare e annunziare la Parola, che lo ha scosso come il ruggito di un leone, che non si può affatto ignorare (cf. 3,3-8). Alla formidabile presa del Signore - Amos ne è convinto - nessuno si può sottrarre. Né il profeta, che avverte come doverosa la sua missione, e non può né vuole tacere; né chi voglia, come Amasia, sfuggire alla presa della Parola: costui sarà comunque raggiunto dalla mano di Dio, persino negli inferi o in cielo, in cima ai monti o in fondo al mare (cf. 9,2-3). No, non esiste davvero una zona dalla quale possiamo - e abbiamo il diritto di - tenere lontano Dio, né un potere che pretenda di equipararsi al suo e fronteggiarlo. Un simile tentativo è sempre destinato al fallimento totale, e Amasia ne farà l'amara esperienza. I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo. |