Omelia (09-08-2009) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Il pane della forza e della vittoria Ancora sul pane di vita. Questa volta però il tema si affronta con lo specifico riferimento alle possibilità di disanimo e di scoraggiamento che possono sorprenderci nella vita. L'avventura umana e soprattutto quella cristiana incontrano non poche occasioni di scoraggiamento e di afflizione e occorre considerare che qualunque itinerario abbiamo intrapreso e qualsiasi obiettivo ci siamo prefissi, le difficoltà e gli smarrimenti saranno sempre assicurati; lo stesso successo non è altro che il computo di una lunga serie di sentieri a volte gioiosi e proficui, a volte deludenti e sconcertanti e non è raro il caso in cui si incontrano sul nostro percorso anche dei fallimenti temporanei che ci abbandonano all’idea di dover gettare la spugna. Ricordo quella canzone di Masini che dice: " Ma la musica è cattiva, è una fossa di serpenti e per uno che ci arriva quanti sono i fallimenti..." In effetti oltre che nel mondo della canzone, in ogni opera nobile e in ogni proposito o obiettivo che ci si prefigge si rischia di precipitare in un baratro di disillusioni e di sconfitte e ogni successo arriva dopo una lunga serie di cadute e di fallimenti. "Devo fallire spesso per avere successo una volta soltanto" afferma Og Mandino. Per questo occorre non scoraggiarsi, perseverare e guardare sempre all’obiettivo che si ha di fronte, all’ideale da raggiungere e alla meta da perseguire, cercando di ignorare gli ostacoli che sono la nostra sfida. Nella vicenda che accade ad Elia (I Lettura) è il Signore che incute coraggio al profeta invitandolo a perseverare nel suo cammino tortuoso e insidioso: sfuggito alla persecuzione della regina Gezabele che voleva la sua morte per aver ucciso 400 profeti di Bal, Elia si ripara sotto un ginepro e, messa da parte ogni possibilità di vittoria e di conquista, si rivolge a Dio con toni di rassegnamento e di abbandono: "Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri." Ma il Signore non si cura neppure di prendere in considerazione i suoi lamenti e anziché dargli una risposta gli offre un cibo che gli permetterà di camminare per quaranta giorni e quaranta notti verso il monte Oreb, per antonomasia il monte di Dio. Come ben sappiamo, nella Bibbia il numero 40 indica un imprecisato tempo di ansia, lotta, privazione che si trascorre in vista di un obiettivo che riguardi il Signore come nel caso della conversione e della penitenza. Ora, Elia con la forza di questo pane che Dio gli concede si rialza ritemprato e fiducioso, abbatte il muro di ogni frustrazione e di ogni avvilimento, mettendo da parte ogni senso di sconfitta e di debolezza e riprende il cammino lento, faticoso ma costante verso il Signore, considerato come sua meta ultima; ed è il Signore medesimo che nel pane gli ha dato la capacità di fiducia e di perseveranza. Ed effettivamente, soprattutto quando affida una missione o un ruolo da adempiere nel suo nome o comunque quando ci incammina verso un sentiero da lui tracciato, Dio non manca mai infatti di sostenerci nella prova e darci gli strumenti di vittoria su ogni difficoltà fornendoci anche motivazioni valide di coraggio. E lo fa soprattutto nel donarci il pane della vita di cui si parla ormai da diverse settimane: Gesù Cristo Eucarestia. Il Sacramento ricevuto con fede tutte le domeniche infatti, poiché presenza sostanziale del Cristo che ripresenta il sacrificio di se stesso nonché alimento di vita e di grazia spirituale, ci incute determinazione in ogni situazione di incertezza e di sfiducia, incutendo costanza nella prova, realismo e prontezza di fronte alle avversità. Il pane di vita che assumiamo ci assicura la vicinanza dello stesso Signore che presenzia nell’Eucarestia e che, forte della sue vicende in Galilea e Giudea continua a dimenarsi egli stesso nelle nostre stesse lotte lenendo ogni dolore e sanando tutte le ferite. Il pane materiale ad un certo punto sarà digerito e noi torneremo ad avere fame; necessitiamo di un pane perenne che sazia ogni tipo di fame e che elude ogni possibilità di inappetenza, che è il pane proprio di chi cerca la verità senza mai precludersi di aver raggiunto l'obiettivo quando pena di averla trovata; il pane di chi cerca il senso della propria vita e delle sue azioni ogni giorno e soprattutto di chi cerca un sostegno nelle delusioni e nelle sconfitte e nella solitudine. Insomma, il pane vivo che dura per la vita eterna e del quale non si può avere che fame perenne e che non dipende da noi procurarci. E' questa la ragione per cui Cristo ci si rende pane materiale e spirituale allo stesso tempo, favorendo la ripresa delle nostre forze e lo slancio nelle nostre attività in vista degli obiettivi finali animando la nostra prosecuzione nell'itinerario verso di lui e nella vita con lui. Il Sacramento domenicale è alimento di fiducia e di costanza e perseveranza nella prova e chi lo assume configurandosi allo stesso Cristo e conformandosi a lui in ogni circostanza, anche se non immediata, avrà la sua vittoria certa. |