Omelia (12-07-2009)
padre Antonio Rungi
Missionari della purezza, testimoni di un grande amore

Celebriamo la XV domenica del tempo ordinario e il vangelo di oggi ci presenta Cristo quale Maestro che insegna agli apostoli cosa devono fare e come comportarsi nella loro attività missionaria ed apostolica. Nel testo del Vangelo possiamo cogliere una missione esplicita, questa volta, rispetto agli altri mandati che il Signore dà ai suoi discepoli: qui c’è il mandato di essere missionari della purezza e di combattere gli spiriti impuri.
Il testo del Vangelo di Marco è molto esplicito. Il discorso tra il puro ed impuro nel vangelo non si limita alla questione della morale sessuale. Sarebbe riduttivo pensare alla purezza solo da un punto di vista fisico. Qui ci sono riferimenti più impegnativi circa il compito che spetta soprattutto ai discepoli del Signore e diciamo ai missionari nella loro azione apostolica: quello di fare emergere il bisogno di Dio nella vita dell’uomo del tempo di Cristo, come nel nostro tempo. Solo Dio è puro e con la purezza di Dio l’uomo trova felicità e gioia nella vita; all’opposto di Dio puro, ci sono gli spiriti impuri che dobbiamo lottare con tutte le forze, soprattutto se la vera impurità sta nel nostro animo, in quanto siamo incapaci di amare e donarci, di offrire noi stessi per il bene dei fratelli. Ci sono persone purissime nel corpo, ma indiavolate nello spirito e nell’anima. Impurità è sinonimo di egoismo, di chiusura agli altri, di autoaffermazione di se stessi contro gli interessi degli altri. Dio che è relazione ed amore è purezza, perché ciò che è purezza dice relazione; ciò che è impuro dice mera ed egoistica soddisfazione dei propri piaceri, da quelli corporali a quelli interiori.
Sto bene io stanno bene tutti. Combattere queste anomale tendenze dell’uomo significa accogliere le indicazioni ed i suggerimenti del Maestro, che sono espressi nel mandato missionario che viene precisato nel vangelo di oggi: camminare insieme (la pastorale è fatta in comunione, non ci sono battitori liberi), a due a due; essere poveri e distaccati dai beni (non abbiamo bisogno di strumenti potenti per parlare di Cristo all’uomo di oggi, ma solo di un grande amore e grande cuore); il vangelo non è una tecnica di trasmissione di pensiero, ma esperienza di vita fatta con Dio e con Cristo, che bisogna portare agli altri con coraggio, fedeltà, zelo, senza paura ed esitazione nonostante i limiti umani; il vangelo non è raro ed occasione di annuncio, è stabilità di rapporti e di comunicazione: è necessario rimanere nei luoghi e non passare solo, tranne il caso in cui la poca o nulla risposta all’azione evangelizzatrice non autorizza i missionari a stare con le mani in mano in un posto, magari anche per anni senza vedere effetti e cambiamenti di vita nel popolo che si evangelizza. Da qui l’urgenza di andare altrove, ove forse è maggiore il bisogno di Dio e la disponibilità del cuore è superiore di chi ha già avuto il primo annuncio.
Nel mondo globalizzato della comunicazione ci rendiamo conto quanto sia importante per noi cristiani incentrarci su discorsi seri e non superficiali, su progetti di vita e di apostolato a lungo termine e non per un momento. Anche i nuovi media della comunicazione non possono essere esclusi da questa missionarietà della purezza, che consiste nel lottare gli spiriti impuri che altro non sono gli egoismi delle persone. Il coraggio dell’annuncio e della profezia ci viene attestato dal profeta Amos, uno dei profeti dell’Antico Testamento che meglio ha saputo cogliere le istanze del suo tempo e su quel tempo ha agito nel nome di Dio per favorire il cambiamento. La fedeltà alla missione e al compito assegnato dal Signore ad Amos è ben sottolineata, come convinta è la risposta del profeta circa il suo fare. Egli deve profetizzare e non ha paura di farlo e lo farà. Quanti di noi hanno il coraggio di parlare di Dio in questo nostro tempo, nei luoghi, negli incontri privati ed ufficiali, nelle situazioni più o meno normali della nostra quotidianità? A volte abbiamo paura anche di dire che siamo cristiani, che crediamo a certi valori o all’opposto di essere altoparlanti assordanti nel trasmettere la parola, ma non di trasmettere la propria esperienza di vita. A volte ci nascondiamo dietro un falso perbenismo o nel bigottismo e ci scandalizziamo di tutto e di tutti, senza accorgerci delle vere necessità d’amore, di relazioni, di bisogni di ogni genere che ci vengono dal nostro mondo e dal mondo intero. Siamo chiusi in noi stessi e rifiutiamo ogni proposta di vera apertura agli altri. Il profeta deve avere il coraggio di infrangere le barriere dell’egoismo, della superficialità e dell’apparenza.
C’è una dignità della persona umana anche nella debolezza e nella fragilità che non possiamo non considerare da un punto di vista religioso, morale e spirituale. Il bellissimo inno Cristologico di Paolo, che noi troviamo espresso nella Lettera agli Efesini, ci dice come va interpretata e letta la storia della creazione, della salvezza e la storia di ciascuno di noi. E’ una storia di benedizione e non maledizione, di luce e non di tenebre, di gioia e non di dolore, di Dio e non del demonio, di amore e non di odio, di perdono e non di giustizialismo. In poche parole una storia di grande amore, come spesso sentiamo dire in modo più adatto alla esperienza umana tra due persone innamorate: è una grande storia d’amore. Ma qui questa storia d’amore è immensa, perché è Dio che ama davvero e per sempre, perché è purissimo spirito. Solo chi ama veramente può dire indirettamente cosa significhi l’amore di Dio verso le sue creature.
In sintonia con quanto abbiamo letto e meditato insieme, sia questa la nostra preghiera odierna: Donaci, o Padre, di non avere nulla di più caro del tuo Figlio, che rivela al mondo il mistero del tuo amore e la vera dignità dell’uomo; colmaci del tuo Spirito, perché lo annunziamo ai fratelli con la fede e con le opere. Amen.