Omelia (20-07-2003) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Il riposo fisico e spirituale Il tema di oggi muove in continuità con quello della Domenica precedente e riguarda pertanto ancora una volta l'apostolato e la missione. Seppure ci soffermeremo immediatamente sulle attività pastorali, ciò non esclude che per implicito i nostri discorsi varranno per chiunque eserciti una funzione o una professione di qualsiasi tipo, e, in linea generale, per chiunque intenda vivere con intensità il proprio cristianesimo... Penso che la prima riflessione da farsi riguardi un fattore di "presa di coscienza" e di "convinzione": chiunque eserciti un ministero pastorale, non può farlo se non dopo essersi convinto in prima persona della validità dell'annuncio che propaga: il profeta Ezechiele, ancor prima di essere inviato da Dio ad annunciare il messaggio, viene invitato a "mangiare egli stesso il rotolo della divina Parola, per riscontrare quanto esso sia dolce (Ez 3, 1-2). Occorre sempre infatti che assimiliamo e ci appropriamo noi stessi del vangelo che predichiamo, se vogliamo che esso susciti l'ascolto e l'interesse dei nostri destinatari. E' vero, chi ci ascolta dal pulpito e ci apre le porte quando predichiamo, in forza della sua fede e maturità cristiana sa benissimo che nel fare questo presta ascolto alla Parola di Dio e questo basta a motivarlo; tuttavia è nella misura in cui si dimostra reale "convinzione" ed "entusiasmo" per la Parola che riusciremo a far "gustare" la medesima agli altri. Ecco perché Gesù non omette di esortare gli apostoli a distaccarsi ogni tanto dalla gente e "a venire in disparte per riposare un poco". Riposare, proprio così! Non è forse vero che l'eccessivo zelo apostolico può comportare il rischio di un "efficientismo esibizionistico" che non ha nulla a che vedere con il vero apostolato? Quando ci si immerge nelle molteplici attività parrocchiali, adottando continuamente iniziative e adoprandosi incessantemente senza sosta, si corre il rischio di non lavorare più secondo la dovuta qualità, ma semplicemente di essere quasi come degli "automi" incapaci di motivare e fondare quello che si sta facendo. E, quel che peggio, si può incorrere nella presunzione di non considerare più Dio come l'artefice e il protagonista delle nostre azioni, ma di attribuire queste ultime alla nostra sola competenza e capacità. Questo avviene specialmente quando non si premette più la preghiera e l'initimità con Dio alle azioni apostoliche, e quando non ci si accosta alla Scrittura, primo elemento che fonda il nostro essere e il nostro agire. Io sono un patito collezionatore delle canzoni italiane degli anni '60. Tutte le volte che raccolgo brani musicali da diverse parti, corro subito a doppiarli e ad inserirli nei miei cataloghi. In certi periodi mi capita tuttavia che, appunto perché passo più il tempo a registrare che ad ascoltare, misconosca il contenuto delle canzoni stesse e nulla di strano se non conosco tuttora i versi di qualche pezzo, pur tenendolo gelosamente custodito. Esattamente questo è il rischio che si corre nel campo apostolico, quando l'efficienza si trasforma in efficientismo! Occorre per forza che ci si conceda un periodo di riposo fisico nella spensieratezza e nell'isolamento dal campo di battaglia, per poi riprendere la lotta con rinnovato vigore e qualità... Soprattutto perché i momenti di sosta ci consentono di "ritornare" all'origine della nostra missione, cioè all'ascolto del Signore nella preghiera e nella meditazione. Il "riposo" fisico e spirituale è altresì condizione per la quale il ministero si qualifichi in pienezza come un atto d'amore nei confronti di coloro per i quali esso viene esercitato: nel vangelo di oggi si parla di una "compassione" da parte di Gesù per i suoi ascoltatori, che erano come pecore senza pastore, cioè disorientati, dispersi... Immaginiamoci un attimo l'atteggiamento di questa gente: intanto, tutti si accalcano attorno a Gesù e agli apostoli pendendo dalle loro labbra; poi, ciascuno ha una domanda da rivolgere, un desiderio che vorrebbe esaudito, una richiesta, e i poveri apostoli non hanno più neppure il tempo per concedersi un boccone... Tutto questo comporta che si debba avere molta pazienza, senza lasciarsi catturare dall'isofferenza e dal nervosismo; ebbene, è in forza di questo "riposo" (=Riscoperta di essere stati chiamati da Dio) che Gesù si mostra docile, buono, mansueto e misericordioso. Ed è la medesima motivazione che deve spingere qualsiasi operatore pastorale ad adoperare le medesime caratteristiche di bontà e di mansuetudine, perché non si corrano i rischi di cui alla prima Lettura tratta dal libero di Geremia: nella misura in cui ci si convince di Dio, si avrà la capacità non soltanto di entusiasmare gli altri sull'argomento, ma anche di renderne testimonianza nelle opere di sollecita bontà. Insomma, se la corsa Domenica riflettevamo sull'atteggiamento ideale da assumersi nei confronti dei pastori e degli apostoli, oggi ci siamo soffermati, senza pretendere di averle indovinate, sulle "precauzioni" da adottarsi da parte di questi perché il loro ufficio sia fervente e proficuo in qualità oltre che in quantità. E ripetiamo: è un discorso che può essere utile a tutti... |