Omelia (13-09-2009) |
Il pane della domenica |
Gesù, il “Cristo” capovolto Tu sei il Cristo - Il Figlio dell’uomo deve molto soffrire Un noto teologo italiano, Severino Dianich, racconta di aver tenuto qualche anno fa un corso di storia del cristianesimo a dei professori dell’università di Phnom Penh, in Cambogia: tutti buddisti, secondo la tradizione del paese, e ancora segnati nel corpo e nello spirito dall’orrore del genocidio perpetrato dai khmer rossi, negli anni ’75-’79. Quando, nel corso di una lezione di iconografia sulle riproduzioni artistiche del Crocifisso, proiettò sullo schermo la crocifissione del Gruenewald (1512-16), avvertì negli uditori una sensazione di orrore, anziché una pur minima ammirazione per la splendida bellezza del dipinto. Del resto - rispetto alla placida, riposante immagine del Buddha, beatamente seduto sul fiore di loto - cosa c’è di più lontano della straziata figura di Gesù, inchiodato sulla croce? 1. Il vangelo di oggi ci aiuta a superare il rischio dell’assuefazione all’immagine del Crocifisso: non è forse vero che per poter arrivare ad una professione di fede sincera e convinta in Cristo come unico Signore e Salvatore, dobbiamo prima passare per lo scandalo della croce, quella ignominia vergognosa alla quale non dovremmo mai, assolutamente mai, abituarci? Ecco un’altra testimonianza del primo brivido che forse non abbiamo provato neanche una volta di fronte alla croce di Gesù, ma che sorprende sempre chi, come Oscar, un bambino malato di leucemia, accompagnato da un’anziana vecchietta in camice rosa - da cui il titolo del bel romanzo di E.-E. Schmitt, Oscar e la dama in rosa - si ritrova di colpo a fissare per la prima volta il crocifisso della cappella dell’ospedale. "Se fossi Dio, io non mi sarei lasciato ridurre in quel modo", esclama sconcertato il bambino. E nonna Rosa - come la chiama affettuosamente Oscar - di rimando: "Rifletti, Oscar. A chi ti senti più vicino? A un Dio che non prova niente o a un Dio che soffre?". Il vangelo di oggi ci ricorda che il primo a scandalizzarsi della croce fu lo stesso Simone, il primo dei Dodici, quel giorno a Cesarea di Filippo. Illuminato dall’Alto, aveva appena confessato, cioè riconosciuto e proclamato Gesù come Messia-Cristo, che, nel sentir parlare di croce lo stesso Maestro, reagì scandalizzato e si mise a rimproverarlo. Ma subito dopo è il Maestro che rimprovera il discepolo e lo sconfessa, trattandolo addirittura da Satana. Perché Pietro confessa Gesù e Gesù sconfessa Pietro? Eppure la risposta di Pietro - "Tu sei il Cristo, cioè il Messia" - alla domanda del Maestro: "Ma voi chi dite che io sia?", era non solo la risposta esatta, ma l’unica veramente azzeccata, e per giunta era stata approvata e solennemente ratificata da Gesù stesso. Senza dubbio la risposta era corretta, ma partiva da una premessa ambigua. Il ragionamento di Pietro era più o meno questo: Il Messia è un vincitore. Gesù è il Messia. Dunque non può essere confitto su una croce, non può per nessuna ragione venire sconfitto dai suoi avversari. 2. Invece Gesù si presenta come un Messia totalmente altro rispetto alle attese correnti, di cui Pietro si era fatto portavoce; è un Messia non... messianico, proprio perché non si accredita come un re di questo mondo; non è venuto in mezzo a noi come un sovrano assetato di potere, smanioso di troni e di allori, accanitamente bramoso solo di essere servito e riverito. Anzi si è spogliato della sua gloria e ha assunto la condizione di servo, il povero servo del Signore, che vuole fermamente ed esclusivamente servire e dare la vita per salvare i fratelli. Gesù di Nazaret è venuto per evangelizzare i poveri, e per questo si è fatto lui stesso povero. La sua missione però non consiste nel trasferire il potere dai ricchi ai poveri, o dai romani a un messia nazionale. Se si fosse dedicato a introdurre una riforma agraria, se avesse organizzato una sommossa contro le forze romane di occupazione o una rivolta di tutti gli schiavi dell’impero di Tiberio Cesare, da tempo sarebbe stato inghiottito dall’oblio, e noi oggi non staremmo qui a parlare di lui. Ma questo "schema" messianico assolutamente inedito e inevitabilmente "indecente" per un messia secondo l’immaginario collettivo, Pietro non riesce proprio a ficcarselo in testa. E non sarà facile metabolizzarlo nemmeno per i primi cristiani: la croce suscitava orrore per i pagani - che la consideravano la giusta pena per gli schiavi ribelli - e provocava scandalo per gli ebrei che ritenevano maledetto e scomunicato chi ci andava a finire. 3. Ma neanche noi possiamo dare per pacifica e del tutto scontata la scelta della croce per Cristo e per i cristiani. Proviamo a confrontarci con le tre richieste che Gesù presenta a chi vuol essere suo discepolo. Si tratta di parole attentamente pesate dal Maestro, che perciò devono essere scrupolosamente soppesate da chi ne vuol essere seguace. Primo, rinneghi se stesso: il verbo greco usato dall’evangelista Marco significa negare con forza, rigettare decisamente, rifiutare ogni interessato coinvolgimento personale. Nella Bibbia greca questo verbo viene adoperato quando si tratta di esprimere il rigetto degli idoli per appartenere totalmente al Signore (cfr. Is 31,7). Gli idoli non stanno fuori di noi, stanno dentro ognuno di noi e si concentrano nel nostro io, assunto a valore supremo e a criterio primo e ultimo di ogni scelta. Perciò si può tradurre quel "rinneghi se stesso" con "smetta di pensare a se stesso" (TILC), o "si decentri da se stesso". Secondo, prenda la sua croce: non si tratta di cercare la sofferenza e la morte, bensì la fedeltà - una fedeltà radicale - e la solidarietà - una solidarietà a tutta prova, anche al prezzo più alto, quello della vita. Gesù però non ha ricercato la croce per la croce, ma ha vissuto tutta la sua vita prendendosi a carico l’umanità più povera e sofferente. Ha trasformato la violenza ingiustamente inflittagli in amore incondizionatamente offerto, un amore che si dona e perdona a fondo perduto, si offre, e perciò soffre di fronte al rifiuto, che anche altri "giusti" in Israele, come ad esempio il profeta Geremia, hanno sperimentato, invocando però la vendetta divina sui persecutori, e non invece il perdono, come ha fatto il Crocifisso sui suoi carnefici. La terza richiesta riguardante il discepolo è: "mi segua". Abbiamo ascoltato: "Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua". Alla lettera il detto di Gesù si dovrebbe tradurre così: "Se qualcuno vuole seguire dietro di me", espressione severa, che praticamente ripete due volte la stessa idea (seguire dice già andare dietro!). L’evangelista sembra voler rimarcare il fatto che la sequela del discepolo è un effettivo camminare vicino e dietro a Gesù, ricalcando fedelmente le sue orme. Davanti e affianco al discepolo non c’è dunque una nuda croce, una generica richiesta della sofferenza, quanto piuttosto il Crocifisso. Non è tanto la croce che rende il Crocifisso degno di essere seguito, ma è piuttosto il Crocifisso che rende la croce degna di essere abbracciata. Celebrare l’eucaristia significa riscegliere di percorrere la stessa via di colui che, per amore, "umiliò se stesso fino alla morte, e alla morte di croce". Nel rivivere il suo memoriale, non potremo mai dimenticare che Gesù "rese grazie" (lett. "fece eucaristia") sul pane e sul vino, proprio "nella notte in cui fu tradito", quando iniziava così per lui l’ora della passione e della morte. La croce scelta e accolta per amore fu la vera azione di grazie di Gesù all’amore del Padre. È così anche per noi? Commento di mons. Francesco Lambiasi tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi" Ave, Roma 2008 |