Omelia (19-07-2009) |
don Roberto Rossi |
Rinfrancati per amare di più «Venite in disparte con me» dice Gesù. Prendetevi del tempo. Venite là dove si rinnova con il Signore il senso e la profondità del vivere. Allora stare in disparte non è fuga dalle responsabilità ma creazione, perché ciò che diventa creativo nella nostra vita è riscoprire e rinnovare i grandi valori per la vita dell'uomo. Ciò che è creativo è vedere Dio instancabilmente all'opera nella sua creazione e per i suoi figli, lui seminatore di vita. E poi ritornare nella folla, nella porzione di mondo che ci è affidata, ma come chi ha saputo trovare nel groviglio delle strade l'itinerario verso il futuro buono. Ritornare nella folla portando in sé un santuario di bellezza che solo Dio può accendere. Ma ecco che, sbarcando, dice il Vangelo, «Gesù vide molta folla e si commosse per loro». Gesù è preso fra due commozioni contrapposte, fra due oggetti d'amore: la stanchezza degli amici e lo smarrimento della folla. E in questo conflitto egli insegna agli apostoli d'oggi l'arte più difficile, l'arte di dimenticarsi. E si mise a insegnare loro molte cose. Era partito con un programma, un tempo di riposo insieme con gli amici. Ora è pronto a modificarlo perché la folla conta di più, perché prima viene la pecora perduta. Impariamo anche noi a modificare i programmi quando lo esige il dolore altrui, quando lo esige la povertà o la fame di pietà e di amore degli altri. Gesù dice: prenditi del tempo. E subito aggiunge: il tuo tempo non è tuo. E una cosa è vera e buona, ma l'altra è ancora migliore. La vita è fatta di incontri. «Temo Dio che passa» diceva sant'Agostino «perché non so se ritorna.» Temo l'uomo che passa, perché non so se mai più vedrò i suoi occhi rimasti nella fame d'incontri. Guai a sprecare gli incontri! Il rischio supremo è restare senza persone. Se siamo capaci di vivere l'incontro con gli occhi e il cuore aperti non correremo questo rischio. E perché questo accada dobbiamo, come Gesù, lasciarci commuovere. Noi accampiamo sempre qualche scusa, abbiamo sempre un impegno, un programma che bloccano il miracolo, sempre una scusa per non commuoverci, come il levita o il sacerdote sulla strada da Gerusalemme a Gerico, per passare oltre quell'uomo caduto ai margini e bloccare il miracolo della misericordia. E Gesù invece si commosse per loro. È la commozione la risposta giusta, che ti porta fuori di te, che ti fa muovere insieme all'altro (con-muovere), che diventa motore delle tue azioni, non l'emozione sterile, fine a se stessa. E quando ti commuovi, il mondo si innesta nella tua anima. E i discepoli imparano da Gesù non solo le cose da insegnare, ma per prima cosa imparano a commuoversi. Se ancora c'è qualcuno che si commuove per gli altri, questo mondo può ancora sperare. È facile commuoversi per se stessi, è facile piangere su di me, ma ciò è inutile, sterile. Gesù si commosse per loro. Se uomo e Dio sentono dolore per il dolore d'altri, allora la terra ha «pastori secondo il cuore di Dio». «Erano come pecore senza pastore.» Pastore vero è solo colui che si lascia conquistare dalla commozione per gli altri, quella che dettò le stupende parole del Salmo 23: «Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla». Il Signore si commuove per me, non manco di nulla. I discepoli, partiti per restare in disparte, imparano a essere a disposizione di tutti, imparano che l'amore non va in disparte, non va in vacanza, non riposa, non ha tregua, finché c'è folla che tende le mani, che invoca pane e pace. Noi forse non saremo capaci di moltiplicare il pane, ma con Dio saremo capaci di moltiplicare il cuore e con esso misericordia e pace e compassione. Così saremo pastori, consapevoli che non siamo indispensabili, che non salviamo nessuno, sapendo bene che ciò che possiamo fare è solo una goccia nell'oceano, ma è questa goccia che dà profondità e significato a tutta la nostra vita. |