Omelia (26-07-2009) |
Marco Pedron |
Benedire per moltiplicare Il miracolo della moltiplicazione dei pani può risultare abbastanza difficile da capire. Di fronte ad un tale miracolo ci viene da dire: "Bravo Gesù; che grande; che forte. D’altronde, però, era Dio". E, invece, questo miracolo è la base della vita e della convivenza comune di ogni popolo, di ogni solidarietà. Il vangelo inizia col raccontare che Gesù ha un gran seguito di gente, anche se non lo segue per un buon motivo. Lo segue perché aveva fatto dei miracoli e perché aveva guarito degli infermi. Questa gente, forse, si aspetta qualcosa da Gesù: un aiuto, un miracolo, una guarigione. Ma Gesù lo si segue perché lo si ama, non perché ci fornisce qualcosa fosse anche la guarigione. Dio non lo si usa per i nostri scopi, per i nostri bisogni. Dio lo si ama perché è la Verità, la Strada. Poi il vangelo racconta di una situazione di bisogno. Di un’apparente impossibilità di sfamare l’esigenza. Filippo risponde: "Duecento denari di pane non sono sufficienti perché ognuno possa averne un pezzo". Gesù però non si spaventa di fronte al problema e li fa sedere. A volte, di fronte i problemi noi andiamo in fibrillazione, in agitazione e perdiamo la lucidità. Gesù invece lo affronta: "C’è un problema, c’è una difficoltà: affrontiamolo, vediamo cosa si può fare. Per prima cosa sediamoci, prendiamo un po’ di respiro, stiamo tranquilli e vediamo un po’". Poi viene fuori che c’è un ragazzetto che ha cinque pani e due pesci. Cos’è per tutte queste persone? E’ vero niente. Davvero poco. Ma il miracolo è che se ognuno mette il poco che ha allora tutti ne mangiano e ne avanzano. C’è addirittura abbondanza. Dividendo le cose si moltiplicano. Se si condivide, allora ce n’è per tutti. Altrimenti ce n’è solo per l’arroganza di pochi. (E questi pochi saranno colpevoli e giudicati di ciò che hanno sottratto agli altri!) A volte la gente dice: "Quello che faccio io è sempre poco!, non lo vede nessuno, è niente". Lo dici tu. Se tu credi a te e benedici ciò che sei, che puoi fare, guarda cosa succede. Fidati di quel poco che sei, fidati di Dio e il miracolo si ripeterà. E’ un invito forte a non temere il poco che si è. "Non ho niente di buono, non valgo. Ho così poco da dare!". Gesù ci invita a non nascondere il nostro poco, ma a tirarlo fuori, ad usarlo, a fidarci del poco che siamo; a non fare le vittime, a non nasconderci dietro al fatto che non siamo niente, che siamo poco. Anche se fossi poco, Dio non guarda mai la quantità, quanto fai: Dio guarda il cuore. Le montagne sono nate da piccoli sassi. Il mare è nato da piccole gocce. L’uomo è nato dall’incontro di molecole quasi invisibili. Tutto all’inizio era piccolo. Tutto all’inizio era niente. Se ti fidi di quel poco che hai, se lo usi, se lo metti a disposizione, se non te ne vergogni, se lo mostri, un giorno diventerà grande, crescerà e si svilupperà. Benedire vuol dire fidarsi di quel che c’è, di quel che si è. Gesù si fida di quei 5 pani e 2 pesci e Dio moltiplica quel poco. Benedire vuol dire: "Amo e accolgo ciò che sono perché viene da Dio, perché se sono così c’è un motivo, perché Lui vuole che io sia così, perché Lui, che sa ogni cosa, che sa che è bene così, mi ha fatto così". Allora smetto di lottare per essere diverso, un altro, come gli altri ma non me stesso, di invidiare chissà chi. E, invece, benedico ciò che sono e ringrazio; e cerco di scoprire a partire da ciò che sono cosa devo compiere in questa vita e quali miracoli io posso fare ed eseguire con questa mia vita. Forse a te pare poco, ma fidati di Dio. Ti ha creato Lui, Lui sa! Forse i tuoi occhi considerano meschino ciò che hai, ma fidati di Dio, perché ai suoi occhi nulla è meschino! Forse quando ti guardi allo specchio ti butteresti via. Ma ricordati: vieni da Dio! Ogni giorno della tua vita benedici ciò che sei; ogni giorno ringrazia per essere così; ogni giorno cerca la tua trasformazione; ogni giorno cerca per chi devi diventare pane; ogni giorno fidati di Dio". Poi c’è il miracolo: il senso del miracolo è che più si condivide e più le cose si moltiplicano. Più si mette insieme e più i miracoli s’avverano. Se ognuno fa la sua parte l’impossibile diventa possibile. In un’azienda più ognuno mette a disposizione di tutti le informazioni, le proprie capacità e risorse professionali e umane, e più quell’azienda funzionerà. Tra amici più si condivide ciò che si vive, ciò che si prova, gli alti e i bassi delle proprie giornata e più l’unione si moltiplica, diventa forte, intima e profonda. In un pranzo se ognuno porta qualcosa e poi si condivide, tutti mangiano di tutto, a sazietà, e ne rimane sempre tanto. In Equador, come in tante altre parti del mondo, si collabora insieme per costruire le case. Uno deve farsi una casa? Tutti lavorano i fine settimana per lui. In poco tempo la casa si costruisce e poi si aiuta un altro. Quando c’è un progetto da costruire, ideare, se tutti si giocano e mettono le loro idee, i loro punti di vista, e sono disposti ad accettare quelle degli altri, allora la condivisione genera idee geniali. In un quartiere c’era il problema delle baby-sitter. Così c’erano 15 bambini e 15 baby-sitter. Ma qualche mamma illuminata ha detto: "Perché non ce li teniamo a turno noi i nostri figli, senza pagare!?". Così ognuna di loro si è impegnata in un giorno libero dove teneva i bambini degli altri. Un’idea semplice, ma geniale, economica ed educativa. Mentre la società tende a dividerci sempre più, a privatizzarci, a singolarizzarci, noi abbiamo bisogno di metterci insieme, di aiutarci, di condividere, di offrire ciascuno ciò che può offrire. Il centro del miracolo è il bene-dire il poco che si ha. Quando Gesù benedice avviene che ce n’è per tutti. Le parole richiamano le parole che ogni domenica sentiamo durante l’eucarestia: "Prese i pani, rese grazie, distribuì (diede loro) e lo stesso fece con i pesci (allo stesso modo il vino, il calice)". Benedire e spezzare per tutti è ricordarsi da dove viene ogni cosa. Ogni cosa non è tua. Non è una tua proprietà. Quindi ricordati l’origine. Quindi ricordati che è di tutti. Quindi ricordati che è di diritto di tutti. Quando la gente dice: "Questo campo è mio", e se ne sente padrona, a me viene da ridere. Questo campo è stato nel corso dei secoli di migliaia di persone. Le persone sono passate, ma il campo è ancora qua. Molti ne hanno usufruito, ma nessuno n’era il possessore. Questo campo c’era prima di te, e ci sarà anche dopo di te. Sei sicuro che sia proprio tuo? Allora è bene ricordarsi che l’uomo scambia per proprietà ciò di cui usufruisce. Chiama proprietà ciò che non può portare con sé, che non può vincolare a sé, ciò che non è suo. Si è mai visto un uomo portarsi con la morte i suoi beni? No. E Perché? Perché semplicemente non è possibile (ci piacerebbe, eh!!!). Ma in vita l’uomo si arroga il diritto di chiamare proprio ciò che usa. E’ una grande illusione. Neppure la nostra vita è nostra. Basta una malattia e ce la sottrae. Basta un incidente, magari noi non c’entriamo niente perché uno ci viene addosso, e la vita si spegne, ci viene sottratta. Ma ciò che ci viene sottratto, chiaramente non può essere nostro. Altrimenti mica ce la faremo sottrarre! Cos’è nostro? Solo l’attimo presente, l’oggi, l’adesso, il qui e ora. Noi pensiamo che la vita ci sia dovuta. E, invece, no. E’ un regalo, un’opportunità. Ci arrabbiamo quando ci viene tolta. Ma non ci ricordiamo mai di gustarla, di benedire chi ce l’ha data, di ringraziare per questa immensa possibilità che ci ha dato. Se ringraziassimo di più, se la vivessimo di più, se fossimo coscienti del dono che ci viene fatto, saremmo meno angosciati dalla paura di perderla e meno attaccati di tutti (-il Padre è nostro; il pane quotidiano è nostro-). Chi si crede possessore delle cose non ha motivo di ringraziare, di stupirsi, di benedire: sono sue, perché farlo? Solo chi sa che nulla è suo (ed è così proprio per tutto!) allora può essere grato per tutto ciò che è e che ha e che non gli è dovuto, che non gli spettano, che sono un dono. Solo quando mi renderò conto che tutto è un dono, solo allora sarò felice. Allora quel "distribuire a tutti il pane" vuol dire: siamo un'unica famiglia. Questo è il concetto di globalizzazione. Globalizzazione vuol dire che ciò che succede alla borsa di Tokio ha delle ripercussioni fortissime anche qui. O se capita che Due Torri Gemelle negli U.S. A. cadono, tutto il mondo ne risente. Come dire: quando in una famiglia uno sta male, tutti ne sono coinvolti. Siamo un’unica grande famiglia. Il bene o è di tutta la famiglia o tutta la famiglia ne soffrirà. Come dire: se sto male allo stomaco o se ho il mal di denti, tutto il corpo ne risente. Solo se ogni singola parte del corpo sta bene, la persona sta bene, è sana. Se c’è condivisione allora ce n’è per tutti. Se manca condivisione, allora ce n’è solo per pochi. La torta c’è. Ma se uno ne mangia metà da solo, allora qualcuno ne rimane senza. John Young in occasione del quinto viaggio sulla Luna, il 16 aprile 1972 diceva: "Da questa prospettiva non ci sono bianche o neri, divisione tra est ed ovest, comunisti e capitalisti, Nord e Sud. Formiamo tutti un’unica terra. Dobbiamo imparare ad amare questo pianeta di cui siamo una piccola parte". Mi metto dalla prospettiva di Gesù. C’era tanta gente quel giorno: alcuni gli credevano; altri lo seguivano solo per riceverne qualcosa; altri per metterlo alla prova; altri stavano già cercando motivi per ucciderlo; altri erano solo curiosi; altri intuivano qualcosa di grande e di diverso in quell’uomo. Gesù non guarda in faccia le persone, non si chiede se colui che ha davanti sia con lui o contro di lui. A tutti da il pane, offre il nutrimento. A tutti è dovuta questa possibilità. E’ una prospettiva universale. Mi metto dalla prospettiva di Dio e guardo questo mondo. E’ una prospettiva universale. Non ci sono bianchi o neri, buoni o cattivi, quelli di destra e quelli di sinistra, quelli ricchi e quelli poveri, quelli intelligenti e quelli stupidi, quelli religiosi e quelli no. Ci sono solo uomini che hanno fame di cibo e soprattutto fame di Dio, di verità. C’è solo un Padre e tutti suoi figli. Lui a tutti da e offre il pane del lieto annunzio: alcuni lo mangiano, altri non sanno che farsene. Lui li ama tutti: alcuni si aprono al suo amore, altri no. Ma sono tutti suoi figli. Lui è preoccupato per tutti: alcuni lo ascoltano, altri no. Lui vuole nutrirli di Vita tutti: alcuni si sfamano, altri no. Lui li vuole tutti nella sua casa: alcuni ritornano, altri no. Lui vuole che nessuno si perda: alcuni lo accolgono, altri lo rifiutano. Ma sono tutti suoi figli. Tutti gli stanno a cuore. Tutti ama. E’ il padre di tutti. E’ il pane di tutti. Pensiero della Settimana Il vero successo è solo fare ciò per cui si è nati. |