Omelia (26-07-2009)
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Commento su Giovanni 6,1-15

PRIMO COMMENTO ALLE LETTURE

"Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano."
Ho deciso di iniziare questa riflessione con due annotazioni e alcuni pensieri di carattere personale.
La prima nota riguarda una mia sensazione che si ripete sovente.
Quando partecipo alla messa, ed in particolare a quella festiva, al momento della comunione, spesso e volentieri, mi presento fra gli ultimi a ricevere il Pane ed il Vino consacrati.
Faccio questa scelta, fondamentalmente, per due motivi.
Il primo è che sono profondamente convinta della necessità di cantare con l'assemblea il canto di comunione, pur essendo io, da sempre, con poca voce e neanche intonata, credo che cantare sia comunque, una forma di preghiera gradita a Dio e non riesco a capire coloro che scelgono di non cantare per timore di non essere abbastanza "bravi" per elevare la propria voce, per cui io innanzi tutto canto...
Il secondo motivo è che mi piace moltissimo osservare la folla in fila che si accosta al prete per ricevere l'Eucarestia.
Mi commuove la diversità delle facce, delle età, delle condizioni sociali che si ricavano da tanti piccoli particolari... magari prima passa una signora ingioiellata, e poco dopo una badante straniera con un'anziana sotto braccio, magari passa nella fila un uomo che tiene per mano una bambina saltellante, e subito dopo un signore molto anziano che trascina i suoi passi, seguito dalla signora che provvede a tutto in parrocchia; e poi la ragazza di diciotto anni che viene a messa con il gruppo degli amici e a seguire la supermamma con i tre figli appesi ai fianchi; subito dopo la signora esaurita perché è morta sua madre, tre anni fa, e non si consola, e dopo, la mia amica cara, ed ancora la vecchietta che da quando si è rotta il femore cammina solo usando la stampella. E poi ancora ed ancora facce, persone... gente che conosco ed individuo e gente che mi è ignota... ognuna con la sua storia, i suoi pensieri, le sue gioie e le sue amarezze, i suoi lati belle, solari ed i suoi lati oscuri con le sue meschinità.
Mi commuove anche l'idea della fila che è anche gesto di umiltà davanti al dono grande che ci viene fatto, dove tutti sono uguali.
Una fila che, simbolicamente, si allunga nei secoli oltre il tempo e la storia umana: la fila del Popolo di Dio che cammina incontro al Suo Signore.
Di solito dopo l'Eucarestia il mio cuore trabocca di gratitudine per ciò che ho osservato oltre che per i benefici che ho ricevuto da Dio, e la preghiera successiva è quasi sempre di ringraziamento.
Il pensiero di carattere personale riguarda un episodio che mi è capitato recentemente.
Sono stata il 14 giugno a trovare a Loppiano (per chi non lo sapesse Loppiano è una "cittadella" dei Focolarini, movimento fondato da Chiara Lubich) un amico fraterno, di mio marito e mio, che è Focolarino consacrato ed è molto attivo sia nel movimento di cui fa parte sia nella vita e nella costruzione della nostra società. Bellissime opzioni che ci impediscono di frequentarci quanto vorremo... Per cui è raro vederci, ma ogni volta è una festa ritrovarci.
Il nostro amico ci aveva detto di andare ad una certa ora perché c'era un cardinale in visita alla cittadella e quindi, successivamente, finita la visita del cardinale, saremo stati insieme a cena.
Quando con mio marito siamo arrivati il nostro amico era ancora impegnato.
Ci siamo messi ad aspettare su un divanetto, ad un certo punto sono passati l'amico ed il cardinale con un seguito di persone... Il nostro amico si è fermato vedendoci, noi ci siamo alzati dal divanetto e siamo stati presentati al cardinale. Mentre stringevo la mano al cardinale e rispondevo velocemente alle sue domande di cortesia mi è caduto l'occhio sulla scritta che c'è sopra la portineria del luogo in cui eravamo, scritta che riportava le seguenti parole: "Nulla è impossibile a Dio " (Lc 1,37). Ho pensato "E' proprio vero, perché se una cosa ho io in comune col mio amico (oltre l'amicizia) e col cardinale, con tutta la nostra diversità di età, di sesso, di ruolo sociale, probabilmente di modo di affrontare la vita, io sono sposata e madre di tre figli, loro consacrati... la cosa che ci accomuna è il credere nello stesso Dio, il pensare che Gesù è il Messia, il servizio, anche in forme diverse, per l'avvento del Regno... ed allora ho riletto la scritta ed ho pensato fra me e me: "proprio vero, nulla è impossibile a Dio"; Egli può tutto, anche unire le persone tanto diverse.
Questa lunga introduzione di carattere personale mi porta ora a riflettere in maniera più compiuta sui testi proposti dalla liturgia di questa XVII Domenica dell'anno B ed in particolare sul testo evangelico che è tratto dal Vangelo di Giovanni, 6,1-15.
L'anno liturgico in corso, segue usualmente il Vangelo di Marco. Tuttavia per cinque domeniche consecutive (dalla diciassettesima alla ventunesima), la liturgia domenicale interrompe la lettura continuata del Vangelo di Marco per far spazio all'intero capitolo sesto del Vangelo di Giovanni. La ragione di tale inserzione risiede nella volontà di approfondire il tema del "pane" a cui è giunta la narrazione di Marco.
Il brano del Vangelo proclamato è molto noto: la moltiplicazione dei pani e dei pesci. E' l'unico miracolo del ministero pubblico di Gesù che viene narrato in tutti e quattro i Vangeli. Nel Vangelo di Giovanni, è all'inizio del capitolo 6 in cui Gesù si manifesta come "pane di vita".
"In quel tempo, Gesù passò all'altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade", e "Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei".
La localizzazione (non casuale) è molto precisa; chi narra sa dove e quando sono avvenuti i fatti ed è pronto a darne testimonianza.
A questo si contrappone la folla che è "grande", un "unicum" composto da molti, non individuati e non individuabili, una moltitudine indefinita che chiede miracoli, segni... decidendone finanche le modalità.
Gesù visualizza la folla e chiede al discepolo: "Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?"
In che ottica fantasticamente umana si pone Gesù: parla un linguaggio a cui siamo fin troppo abituati!!
Tra gli uomini quasi tutto è oggetto di compravendita. Mi viene da pensare che non lo siano la vita, la morte, la gioia, il dolore, l'amicizia, l'amore, qualche momento di felicità, di intimità con altri e poco più...
A pensarci bene non è soggetto a prezzo ciò che facciamo per gratuità, non lo posso comprare e non lo posso vendere... e quindi ogni forma di amore e /o servizio che ci venga in mente...
Tornando al Vangelo, il discepolo Filippo risponde a Gesù con "sano realismo":
«Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».
Ed è bellissimo che come, spesso accade nella narrazione evangelica, prima della rivelazione di Dio ci siano le coordinate della normalità.
Dio opera per gli uomini e mediante gli uomini, utilizzando la loro pochezza.
"Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci; ma che cos'è questo per tanta gente?»".
Dio utilizza ciò che è esistente: un ragazzo, del pane non pregiato (d'orzo, non di frumento!) e due pesciolini... ben poca cosa alla base del miracolo, ma qualche cosa che esiste nella nostra realtà e che è tangibile.
Agisce nei luoghi dell'uomo e fra gli uomini: C'era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini. L'erba verde è un accenno alla primavera, tempo in cui tutto rinasce e si rinnova, con la novità che viene da Dio.
Le persone presenti sono sedute in quanto hanno accettato il commando di Gesù che ha detto ai suoi di fare sedere la folla (in realtà la traduzione letterale più che seduti indicherebbe di "farli distendere" perché il pane che sta per essere distribuito è pane donato, che non si compera, che si gusta con calma).
Ed avviene il miracolo.
Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci quanto ne volevano.
Il pane del Signore è un pane infinito.
Senza cibo, qualunque essere vivente su questa terra muore.
Tutti gli animali hanno necessità, per la loro sopravivenza, di riempirsi la pancia, Così anche l'uomo.
Il Signore però offre un pane particolare: è pane che nutre lo spirito (Proverbi 9 "La Sapienza si è costruita la casa... A chi è privo di senno essa dice:"Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato. Abbandonate la stoltezza e vivrete, andate diritti per la via dell'intelligenza").
Inoltre, il pane che Gesù offre è un pane che non si esaurisce mai, un pane tale che "tutti furono saziati"; è un pane che non deperisce, che riempie, che si moltiplica all'infinito, pane di vita eterna.
Questo è un pane che nutre tutti i presenti ma anche le generazioni future: è pane di vita, un pane che viene condiviso da tutti perché Uno si è immolato per redimere ogni essere umano.
Radunare il sovrappiù, come ordina il Signore, ha un significato simbolico preciso: dal poco, dalla nostra povertà mediante l'amore, nasce il molto. Non basta saziarsi bisogna essere pronti a condividere. Il pane è stato distribuito per offrirlo a tutti, e non a caso viene posto in dodici canestri, dodici come le tribù di Israele, dodici gli apostoli, dodici i mesi dell'anno...
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: "Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!". Ma Gesù scappa sul monte a"sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo".
Il Signore fugge dal potere, dalla gloria terrena (a ben altra gloria è destinato), dalla folla, dal dominare gli altri, dai titoli e dagli onori.
Il Signore può stare solo, perché sa donare agli altri, non è schiavo dell'immagine che gli altri hanno di lui, dei condizionamenti sociali.
Simbolicamente ritirarsi sulla montagna significa stare col Padre, colui che gli darà la vera gloria.
Mi sono sempre piaciute queste parole che Ernesto Balducci ha scritto a proposito della solitudine del Signore nel suo commento al Vangelo di Giovanni:
"Gesù fugge sul monte, solo: questa sua solitudine non finisce mai, perché è vero, sì, che Egli è nostro fratello, che il nostro rapporto con Lui, anzi, è tale che siamo, noi e Lui, una cosa sola tuttavia, se guardiamo a Lui nella sua persona, sentiamo che il suo vero clima è la solitudine: nessuno arriva alla sua santità. La sua santità è oscurata dalla nostra bassezza; Egli è sempre solo e ha bisogno dell'amicizia dei suoi, che invece quando sono invitati a consolare la sua solitudine, dormono, come gli apostoli nel Getsemani: Il Figlio di Dio chiede conforto agli uomini, e non trova che il sonno e l'indifferenza, oppure come qui un entusiasmo di cui non si fida" (E.Balducci).
Volendo riflettere ora brevemente sulle altre due letture proposte dalla liturgia odierna mi soffermo sulla prima lettura sottolineando che il brano letto è tratto da 2Re 4,42-44, ed è un racconto parallelo a quello della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Infatti alcune analogie sono evidenti: la presenza del pane d'orzo, la moltiplicazione del medesimo, il miracolo, e la sovrabbondanza del pane moltiplicato.
Però Gesù con cinque pani sfama 5000 persone, mentre Eliseo con venti pani sfama cento persone.
Il dono di Gesù è dono totale. Dono di se stesso per ognuno di noi. Dono di chi da la vita per amore. Dono di ci fa fratelli con chi non ha molto da dividere con noi.
E qui intervengono le parole di San Paolo nella seconda lettura di oggi: "Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti".
E' cosi che davanti a quel pane che ci viene donato a profusione diventiamo un corpo unico che si raduna davanti agli altari di tutto il mondo, in tutti i tempi.
Ecco il perché delle mie riflessioni iniziali: uniti dalla stessa Eucarestia, dallo stesso servizio, dallo stesso amore, dallo stesso Sangue effuso, anche quando siamo estranei o vicini fisicamente ma lontani.
Che il Signore ci aiuti ad avere una percezione nitida di tutto questo.
A Colui che era, che è e che viene, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen

SECONDO COMMENTO ALLE LETTURE
a cura di Daniele Salera

Il Vangelo di questa domenica (ma vedremo lo si seguirà anche nelle prossime) non è più quello di Marco. Il ciclo B prevede dopo la XVI domenica del t.o. quest'interruzione, dovuta alla lettura del capitolo VI di Giovanni, la famosa catechesi eucaristica di Gesù. L'inserzione del quarto Vangelo all'interno della lectio semi-continua di Marco è legata ad una piena corrispondenza di quest'ultimo con la bellissima e trascinante catechesi sul Pane della Vita che ne sostituisce il passo parallelo.
Mentre nel capitolo V Gesù operava in Giudea, ora Egli si trova sul lago di Tiberiade in Galilea e si autorivela come Pane della Vita. Il testo giovanneo riprende la tradizione veterotestamentaria e nella fattispecie proprio il brano di Eliseo (2Re 4, 42-44) che ascolteremo in questa stessa domenica come prima lettura.
Il pane (l'eucarestia), rimanda al vino delle nozze di Cana e all'acqua della samaritana e ci fa pensare agli alimenti necessari per vivere; la novità è che nella narrazione di Giovanni vino, acqua e pane non sono "naturalmente" dati a chi ne abbisogna, ma piuttosto "soprannaturalmente" offerti. Tutto ciò ci fa pensare ad un invito che sembra sollecitare la nostra libera adesione: desideriamo il passaggio da questa vita a quella eterna? Il nostro orizzonte si ferma all'appagamento offerto dai beni di prima necessità o accettiamo di guardare oltre, liberandocene? Vino, acqua, pane, non immediatamente a disposizione dell'uomo ma donati miracolosamente e per grazia, evocano la vita donata da Cristo ai credenti, per mezzo della fede ed in risposta ad un desiderio di rinascere dall'alto.
La folla segue Gesù poiché osserva i segni che Egli compie sugli infermi (v. 2): non c'è ancora il ricorso alla fede per riferirsi a Lui, piuttosto si segue il proprio bisogno di vivere bene, nella speranza che qualcuno sia garante della propria vita. È l'istinto di conservazione che crea per ora il legame. Attraverso questo segno, il Figlio di Dio farà capire che il fine ultimo dell'esistenza si lega all'eternità, che solo Dio può offrire a chi si riconosce come suo figlio, e come tale gli si affida. Massimo il Confessore scriveva che i tre effetti del peccato originale sulla natura umana sono la sofferenza, la corruttibilità e la morte, da quel momento l'uomo ha fatto esperienza del piacere e del dolore. Queste due "forze" hanno un potere fortissimo sull'uomo, egli è attratto dal piacere mentre prova ripulsa per il dolore. Il santo spiegherebbe l'attrazione verso il piacere non solo come soluzione per fuggire il dolore, ma anche come ricordo dell'appagamento spirituale vissuto nel Paradiso. Sta di fatto che la paura di soffrire e di morire sarebbe così nell'uomo un "trampolino di lancio" per il peccato. Da questa paura Cristo è venuto a liberarci con la sua morte e resurrezione: vincendo la morte Egli ci ha mostrato la possibilità di non cedere più alla paura che ne deriva, e quindi ci libera da quei bisogni naturali che intaccano la nostra libertà di figli.
Ora Gesù raccoglie il bisogno di protezione della folla ma lo orienta educandolo, come i rabbini del tempo si siede ed istruisce. È vicina la Pasqua e questa annotazione ci fa pensare alla volontà di favorire il passaggio dalla Pasqua giudaica a quella cristiana il cui memoriale è vissuto nella celebrazione dell'eucarestia. Ecco il miracolo: Cristo vince la paura di morire, solleva il nostro desiderio terreno orientandolo alla vita divina e ci offre il cibo necessario per il cammino, è il cibo che fa memoria. Tutti vengono coinvolti in quest'opera pedagogica, anche i discepoli, evidentemente la loro prossimità al Salvatore ancora non favoriva questo passaggio che solo la fede matura rende possibile.
In questo tempo di vacanza alcuni scelgono di mettersi in cammino, di farsi pellegrini: Santiago, Roma, Gerusalemme, Lourdes, Fatima, ecc. Il pellegrinaggio immette l'uomo in una situazione di voluta precarietà: la difficoltà del cammino, le conseguenze sul fisico, il caldo, l'indisponibilità di cibo e di acqua... tutto questo pone in quella stessa situazione di bisogno che ha sollecitato a suo tempo l'intervento miracoloso di Gesù. Questa precarietà "scelta" dal pellegrino favorisce il passaggio dall'appagamento dei bisogni primari a quello dei bisogni veri. Camminando il pellegrino riscopre la verità su se stesso ed il bisogno di Dio; si accorge così che mai si è veramente soli e abbandonati e che sorella Provvidenza ancora custodisce chi la cerca. Cristo è veramente "Colui che deve venire nel mondo" (v. 14), l'atteso... noi lo vogliamo cercare!
Cari amici, siate seminatori di fiducia e di speranza. E' infatti profondo il senso di smarrimento che spesso vive la gioventù di oggi. Non di rado le parole umane sono prive di futuro e di prospettiva, prive anche di senso e di sapienza. Si diffonde un atteggiamento di impazienza frenetica e una incapacità a vivere il tempo dell'attesa. Eppure, questa può essere l'ora di Dio: la sua chiamata, mediata dalla forza e dall'efficacia della Parola, genera un cammino di speranza verso la pienezza della vita. La Parola di Dio può diventare veramente luce e forza, sorgente di speranza, può tracciare un cammino che passa attraverso Gesù, "via" e "porta"; attraverso la sua Croce, che è pienezza d'amore. E' questo il messaggio che ci viene dall'Anno Paolino appena concluso. San Paolo, conquistato da Cristo, è stato un suscitatore e formatore di vocazioni, come si vede bene dai saluti delle sue lettere, dove compaiono decine di nomi propri, cioè volti di uomini e donne che hanno collaborato con lui nel servizio del Vangelo. Questo è anche il messaggio dell'Anno Sacerdotale appena iniziato: il Santo Curato d'Ars, Giovanni Maria Vianney - che costituisce il "faro" di questo nuovo itinerario spirituale - è stato un sacerdote che ha dedicato la sua vita alla guida spirituale delle persone, con umiltà e semplicità, "gustando e vedendo" la bontà di Dio nelle situazioni ordinarie. Egli si è così dimostrato un vero maestro nel ministero della consolazione e dell'accompagnamento vocazionale. L'Anno Sacerdotale offre pertanto una bella opportunità per ritrovare il senso profondo della pastorale vocazionale, come pure le sue scelte fondamentali di metodo: la testimonianza, semplice e credibile; la comunione, con itinerari concertati e condivisi nella Chiesa particolare; la quotidianità, che educa a seguire il Signore nella vita di tutti i giorni; l'ascolto, guidato dallo Spirito Santo, per orientare i giovani nella ricerca di Dio e della vera felicità; e infine la verità, che sola può generare libertà interiore.