Omelia (26-07-2009) |
mons. Roberto Brunelli |
Non di solo pane Circa cinquemila uomini: tanti, nel resoconto del vangelo di oggi, sono coloro che seguono Gesù, instancabili e speranzosi, avendo visto quello che egli sa fare. Viene il momento in cui tutta quella gente deve pur mangiare; si trovano sulla riva del lago di Galilea, in un luogo isolato, e mentre Gesù pensa a dove trovare pane, il più prosaico apostolo Filippo si chiede come pagarlo, visto che "duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo". E per il gruppetto degli apostoli duecento denari, pur se pochi allo scopo, sono una somma inarrivabile, considerando che un denaro era la normale paga giornaliera di un operaio. Poste così le basi per evidenziare l’eccezionalità della vicenda, il vangelo prosegue con un altro apostolo, Andrea, il quale segnala che un ragazzo ha con sé cinque pani d’orzo e due pesci, rilevando tuttavia l’assoluta insufficienza di una tale risorsa. Ma ecco il prodigio: Gesù fa sedere la folla sull’erba e fa distribuire quei cinque pani e due pesci, e bastano per tutti, anzi di più: solo con gli avanzi si riempiono dodici canestri. Visto l’accaduto, i beneficiari commentano: "Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!" Individuano cioè in Gesù il Messia annunciato da secoli, il liberatore che doveva venire a risollevare le misere condizioni del suo popolo. In realtà non sbagliano nel riconoscere in Gesù il Messia, ma sbagliano la prospettiva, perché si aspettano da lui provvidenze tutte terrene: la libertà dalla dominazione straniera e benessere per tutti. La moltiplicazione dei pani e dei pesci può risultare ingannevole, in tal senso, perché sembra andare nella direzione delle attese, mentre – come si vedrà le prossime domeniche – Gesù ne fa la premessa per annunciare altro. Tuttavia, anche con questo miracolo Gesù dimostra di usare la sua potenza sempre e solo a beneficio degli uomini, invitando i suoi seguaci ad operare in modo conforme, vale a dire a impegnare le loro capacità e possibilità a beneficio del prossimo. In particolare il suo dar da mangiare alla folla richiama uno dei problemi più gravi che sta vivendo il nostro mondo, dove milioni di uomini muoiono letteralmente di fame e centinaia di milioni si caricano di malattie dovute alla denutrizione, a fronte di altri immersi nell’abbondanza sino allo spreco. Non c’è crisi che tenga: pur se anche qui non mancano gli sfortunati (per costatarlo, basta passare alla Caritas all’ora di pranzo), noi italiani siamo tra i privilegiati. Incombe dunque sulla coscienza di ciascuno il dovere della solidarietà. Peraltro, la fame del mondo non può, non deve farci dimenticare che non di solo pane vive l’uomo. Dunque, concorrere a creare le condizioni perché ogni essere umano mangi abbastanza non è la meta finale, ma solo il primo traguardo di tappa; per un mondo più giusto, più propriamente umano, sono anche da perseguire l’istruzione, il lavoro, la libertà e quant’altro occorre a una vita dignitosa e sicura, una vita rispettosa dell’intima grandezza di cui ogni essere umano è portatore. E per chiudere un discorso passibile di ramificazioni a dismisura, ricordiamo un’altra fame, che solo chi ha moltiplicato i pani e i pesci è in grado di soddisfare: la fame di vita e di felicità, di fronte alla quale non ci sono differenze tra primo, secondo e terzo mondo. Lui solo è in grado di saziarla: e lo fa di buon grado, anzi non chiede altro. Lo fa', a una condizione: che riconosciamo davanti a lui la nostra povertà interiore; in altre parole che non ricorriamo a lui da più o meno consapevoli presuntuosi, i quali hanno già le loro idee e le loro strade, e da lui pretendono conferme e approvazioni, non la verità. |