Omelia (10-08-2003) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Un preambolo necessario: la fede Il discorso su "Gesù pane di vita" ci sta accompagnando per tutto il mese di Agosto, così come quello sulla "missione" è stato il tema oggetto delle nostre riflessioni per tutto lo scorso mese. Questo è molto significativo, poiché qualsiasi missione o opera di evangelizzazione mira a comunicare qualcosa di cui si è fatta esperienza e da cui ci si è lasciati in prima persona "interpellare". Come si potrebbe infatti operare un adeguato apostolato se non prima di averne assimilato noi stessi i contenuti? Ebbene, chi ha accolto Gesù Cristo come pane di vita e di salvezza non potrà che comunicarlo a tutti in quanto tale; però ci domandiamo: in che senso, e secondo quali modalità Gesù può essere accettato come il "pane vivo disceso dal cielo"? La domanda trova risposta nell'atteggiamento dei giudei che notiamo ansiosi e perplessi davanti a Gesù, allorquando parla loro di sé secondo termini del tutto nuovi: "Non è forse costui Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: "Sono disceso dal cielo?". La loro è una pretesa del tutto sperimentale e razionalistica accompagnata da un'ostinata durezza di cuore; vale a dire che vogliono a tutti i costi conoscere Gesù dal solo punto di vista sociale e "umano", senza voler accettarlo come Dio. Quando invece il vero Gesù Cristo lo si riconosce con altri occhi, che sono quelli della "fede". Intrattenendoci un attimo su questo argomento, non possiamo non considerare che esso non è di facile portata; c'è chi di fronte alla proposta della fede si mostra indifferente, escludendo qualsiasi riferimento al sacro e al religioso dalla propria vita; c'è poi chi questa fede non la possiede ma vorrebbe averla, cercandola a tentoni dappertutto e a nulla valgono i sottili ragionamenti teologici e i discorsi articolati a cui presta l'attenzione nel tentativo di poterla ottenere; o ancora chi presume di averla ottenuta sin dalla prima infanzia, accorgendosi poi come questa sia "vacillante" e poco fondata di fronte alle amarezze e alle delusioni della vita; e c'è anche chi la ottiene dopo essersi disperso in tante delusioni.... Ai fini di esprimermi adeguatamente sull'argomento, dirò che ho una nipotina di 3 anni che, causa la mia lontananza, vedo pochissime volte e alla quale ogni tanto faccio dei regalini; tutte le volte che mi vede arrivare con il pacco in mano, è sua consuetudine mostrarsi sospettosa e interrogarsi che cosa esso contenga e si mostra sempre alquanto titubante prima di scartare il regalo... Credo che in fondo in questo consista, analogamente parlando, la nostra difficoltà sull'argomento della fede: innanzitutto, non si può concepire un discorso su di essa come su qualcosa che si possa acquistare in un mercato o che si possa raccogliere e mettere in tasca; ma come un dono che Dio concede a chiunque voglia ottenerlo, a condizione tuttavia che lo si accetti attraverso la disponibilità interiore e l'apertura del cuore, senza pretese razionalistiche o spiegazioni scientifiche e razionali; in atre parole, si tratta di un "regalo" divino che va subito accolto senza riserve e titubanze: quando lo riceviamo sta' a noi aprire il pacco! Vuol dire: dipende da noi metterci all'ascolto e aprire il cuore alla presenza di Dio che ci interpella, convincendoci della sua presenza misteriosa ma benefica nella nostra vita e del valore infinito della sua bontà e misericordia (in una parola, come già detto più volte, convertendoci) Quando da ragazzino aspiravo al giornalismo ed ero ben lungi dall'idea del sacerdozio e dalla pratica della vita ecclesiale, non mi sarei mai aspettato che avrei potuto intraprendere la realizzazione di un tale progetto vocazionale nella mia vita; ebbene, varie vicissitudini in positivo e in negativo mi fecero capire che il nostro destino non dipende da noi, e che tutto è prestabilito sin dall'eternità. Concludevo: "Non può esserci spiegazione umana in quello che mi sta capitando"... e che era necessario che rinunciassi ad"impostare" determinati piani e progetti per il mio futuro sulla base delle mie presunte convinzioni per mettermi ad "interpretare" i disegni che Qualcun Altro stava realizzando su di me. Riepilogando: la fede è un dono che Dio dispensa a tutti e cha va accolto come tale, nella piena convinzione. Questo però non basta: una volta ottenuto un tale dono va accresciuto, alimentato, coltivato nella preghiera e nella relazione di intimità con il Signore: esso è come una fiamma che va sempre alimentata, pena la sua estinzione. Non per nulla vi è una preghiera che include un verso: "Signore, accresci la mia fede." La fede vuol dire credere? Si, ma non soltanto... Vuol dire credere e "affidarsi" a Dio nella gioia, nel dolore, nella tristezza, nella precarietà, nelle avversità, insomma in tutte le circostanze felici o avverse della vita, ben consci che in ogni momento il Signore morto e risorto vive e lotta assieme a noi. E non perdere la fiducia e la speranza. Quello che molte volte suggerisco durante le mie confessioni dopo aver analizzato con il penitente una situazione difficile che lo ha interessato, è un dialogo a cuore aperto con Dio, poiché anche per esperienza ritengo che questo aiuti molto all'apertura del cuore e comunque incentiva la serenità di spirito: "Prega il Signore a parole tue, come se se avessi di fronte (e di fatto così è) un amico disponibile ad ascoltarti e a condividere con te dispiaceri e problemi; fallo anche se potrà sembrarti sulle prime cosa stramba e assurda..." Tutti questi preamboli sono necessari per comprendere che Gesù è il nostro cibo quotidiano. E' nella fede infatti che si riscopre Gesù come alimento necessario della nostra vita, perché solo in questa prospettiva lo si riconosce "mandato dal cielo". Che cosa vuol dire? Che lo si riconosce innanzitutto come Dio venuto a vivere la nostra storia e ad apportarci la salvezza e la serenità di spirito e che ci si offre come alimento di vita e che quindi non si potrà che vivere se non in Lui e secondo Lui per ottenere vigore, coraggio e costanza in tutto quanto ci propini la nostra esperienza, e alla fine ottenere il premio. |