Omelia (06-09-2009) |
CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie) |
«Effatà» (Apriti!). Questa parola si accampa imponente nella liturgia della 23a domenica del Tempo Ordinario e, se non sul piano storico, almeno su quello simbolico si collega all’evangelo sul quale abbiamo riflettuto domenica scorsa. Se allora il messaggio di Gesù era di onorare Dio non in modo formale, ma con il cuore, oggi il messaggio è di ascoltare la voce dello Spirito che ci parla attraverso la nostra coscienza e di parlare con franchezza (parrhèsìa). Ma andiamo con ordine. Gesù si trova fuori della Palestina, in una regione pagana (cioè di cultura ellenista) chiamata Decapoli.. La sua fama di "guaritore" è giunta fin lì e dunque un gruppo di persone gli porta un sordomuto pregandolo di imporgli la mano. Gesù «lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: "Effatà", cioè: "Apriti!". E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: "Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!"». Che cosa ci suggerisce questo episodio? Prima di tutto che Gesù non ama vedere una persona sofferente e dunque si china sempre con compassione sulle difficoltà fisiche e spirituali di chi incontra. Eppure, l’interpretazione del "miracolo" va ben al di là di questo significato e riveste un valore simbolico fondamentale anche per la coppia e la famiglia. Le orecchie del sordo si aprono e la lingua si scioglie. Anche per noi che fisicamente non siamo forse né sordi né muti dovrebbe essere operato il medesimo miracolo. Spesso la coppia e la famiglia vivono in un mondo isolato, fatto di preoccupazioni materiali, di incontri superficiali e fugaci, di incapacità di paziente ascolto reciproco. Sentiamo, ma non ascoltiamo. Non lasciamo entrare dentro di noi, nel nostro intimo, la parola dell’altro, una parola che può essere rigeneratrice e ristrutturante, oppure, all’opposto, può rappresentare una pressante domanda d’aiuto destinata purtroppo a restare, spesso, senza risposta. Effatà!... apriamo le orecchie e il cuore all’ascolto. E apriamo anche il nostro intimo all’ascolto dello Spirito che, attraverso la nostra coscienza, ci istruisce e ci guida nelle realtà della vita che oggi, come sempre d’altronde, non è una vita facile per la famiglia. La quale, però, è sovente muta... E anche qui, allora, deve risuonare forte quella parola: Effatà, apriti! Apriamo la bocca e l’intelligenza per esprimere con chiarezza i nostri desideri, le nostre esigenze come coppia e come famiglia. Se non lo facciamo noi, altri lo faranno per noi. Sciogliamo la lingua! Non lasciamo che i poteri politici, ed anche quelli religiosi, decidano che cosa è meglio per la famiglia e per la coppia senza consultarci e senza considerarci. Sì, anche nella Chiesa e non solo nella società è molto importante che il popolo recuperi la capacità di parola, per poter esprimere sia la propria esperienza di vita familiare e di coppia, sia la propria esperienza di Dio. È un arricchimento e un aiuto per tutti. Nella Chiesa tutti hanno diritto di parola, non ci possono essere discriminazioni. Come ci ricorda con un linguaggio molto diretto l’apostolo Giacomo, se nell’assemblea entrano un ricco con un costoso anello al dito e un abbigliamento splendido, e un povero con l’abito sporco, non possiamo fare discriminazioni e dire al primo: "Tu siediti qui, al primo posto"; e al secondo: "Tu invece mettiti in fondo o sotto lo sgabello dei miei piedi...". Fuori di metafora, sia a livello sociale che ecclesiale occorre prendere in considerazione le esigenze di tutti, ma - proprio per una questione di redistribuzione di considerazione e di giustizia – rimettere i poveri al centro affinché venga loro restituito quanto è stato loro ingiustamente tolto. Diceva Papa Giovanni: La Chiesa è sì la Chiesa di tutti, ma è soprattutto la Chiesa dei poveri. Una lezione dimenticata. Una povertà evidentemente non solo materiale: sempre fuori di metafora, sia la società che la comunità cristiana avrebbero molto da guadagnare nell’ascolto non insofferente né disattento delle coppie e delle famiglie più povere, non solo economicamente, ma anche sul piano delle esperienze che sono spesso tristi, devastanti e cariche di inaudita sofferenza. Solo allora potremo cantare con Isaia: 4Dite agli smarriti di cuore: Questa è anche la nostra speranza. Traccia per la revisione di vita Come revisione di vita riproponiamo una traccia di riflessione proposta nel 2006 per questa stessa domenica da Silvana e Luca Molinero del CPM di Carmagnola (Torino): In coppia - Parliamo? Quanto tempo in una giornata dedichiamo a parlare davvero con il nostro coniuge, a parlare di desideri, di fatiche di paure? Oppure quanto tempo passiamo in banali "Comunicazioni di Servizio" (chi va a prendere i figli, chi passa in tintoria...) - Guardiamo? Quanto tempo dedichiamo a guardare l'altro/a negli occhi, a cercare di vedere con gli occhi del cuore le ansie, le paure, le aspettative? - Ascoltiamo? Quanto tempo dedichiamo a sentire davvero quello che l'altro/a ha da dirci, senza avere il pensiero già a quello che devo dire io o, peggio ancora, a quello che dovrò fare domani? Con i figli - Parliamo con loro di cose profonde, di preoccupazioni, disagi, paure, ma anche di gioie... - Li guardiamo negli occhi almeno una volta in tutta la giornata? - Li ascoltiamo davvero? Oppure quando ci parlano mentre li accompagniamo a scuola il nostro pensiero è già al lavoro? Luigi Ghia Direttore della rivista dei CPM "Famiglia Domani" |