Omelia (17-08-2003) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Mangiarlo in senso materiale... La volta scorsa ci siamo soffermati sulla fede per un motivo molto semplice: è attraverso di essa che possiamo comprendere Gesù come il "pane vivo disceso dal cielo" per poterlo assimilare e vivere nel quotidiano. E' attraverso la fede infatti che ci è possibile vedere in Lui il Dio fatto uomo per la nostra salvezza, talmente interessato delle precarietà e delle vicende umane da entrare nella nostra storia addirittura come cibo. Ebbene, la fede è ancora più importante se consideriamo l'argomento di oggi, il quale ci immerge nello stesso discorso con ulteriore profondità, poiché ci invita a considerare che Gesù è nostro cibo non soltanto a livello spirituale o in senso traslato e metaforico, ma anche secondo un significato del tutto materiale ed effettivo: Cristo vuole "davvero" essere mangiato da noi! Dimenticavamo di dire infatti che nel cap. 6 del Vangelo di Giovanni che ci sta accompagnando per l'intero mese di Agosto Gesù rivela poco alla volta il significato del suo essere "pane vivo disceso dal cielo" procedendo da un senso figurativo ad un senso materiale, senza smentire né il primo né il secondo, e adesso leggendo attentamente la sezione odierna di questo capitolo ci viene mostrato il significato "materiale" del suo discorso. Ma consideriamo il passo attentamente, quasi alla stregua di replay televisivo: in esso vi è il verbo "mangiare"; nei primi versi esso assume un significato figurativo e lo si può intendere a livello spirituale o metaforico (Mangiare il suo corpo= assimilare Lui nella nostra vita e immedesimarci in Lui); ma al verso 58- praticamente l'ultimo che leggerà il nostro parroco in chiesa- la lingua greca ci mostra che "mangiare" significa proprio "stritolare", "lacerare"... "masticare"! Allora è chiaro: Gesù vuole che lo si "mastichi", che lo si consumi nel senso più "crudo" della parola! E' evidente che il "luogo" in cui possiamo trarre un tale nutrimento è il Sacramento dell'Eucarestia, istituito da Gesù stesso durante l'Ultima Cena e perpetuato nel tempo dai successori degli apostoli (i vescovi) e dai presbiteri tutte le volte che celebrano sull'altare tale Sacramento. Gesù garantisce che chi si avvale del nutrimento eucaristico avrà in sé la vita e la salvezza per tutta la vita terrena e un pegno glorioso di eternità. Ma intendiamoci bene: che si debba "mangiare la sua carne" non è soltanto di una pretesa da parte di Gesù, quanto piuttosto una necessità che noi stessi occorre che riscontriamo. Nell' Eucaristia Cristo, il Verbo fatto carne che aveva creato il mondo assieme al Padre e allo Spirito (Gv 1, 1-20; Gen 1) realizza la propria comunione con noi, e con essa ci sostiene nelle vicende della vita. Noi questa comunione la trasmetteremo agli altri in una dimensione testimoniando con la nostra vita la gioia e l'entusiasmo che Cristo ha comunicato di se stesso a noi; giacché il "pane eucaristico" non va' solo consumato ma "comunicato" agli altri attraverso una vita esemplare e gioiosa per la quale anche chi non crede possa restare affascinato. L'Eucarestia è quindi comunione con Dio e con il prossimo ed è per noi il Sacramento per eccellenza che sprona e motiva tutte le nostre attività e il nostro agire offrendo rinnovato vigore e slancio vitale incondizionato. Tutte queste riflessioni dovrebbero far comprendere in primo luogo a me sacerdote quanto sia importante quello che tutti i giorni celebro sull'altare, perché possa prestarvi maggiore attenzione: non bastano gli studi teologici o la laurea perché io mi possa "immedesimare" nel Sacramento che celebro; né è sufficiente averlo celebrato se poi esso, -come afferma il Messale- potrebbe diventare per me "giudizio di condanna" allorché non lo avessi testimoniato agli altri. In secondo luogo dovrebbero farci rivedere le nostre azioni pastorali relative a questo eccellente Sacramento: quante volte nelle nostre parrocchie da parte di molte famiglie si obietta che il percorso catechistico (due anni nella mia Diocesi) verso la Prima Comunione è troppo lungo? Vista l'importanza di un tale Sacramento, almeno negli ideali non sarebbe opportuno pretendere invece che gli itinerari della catechesi occupino molto più tempo di quello che è a loro concesso? Quante volte succede che si chiede di poter ricevere il Sacramento solo per una consuetudine legata alla tradizione familiare e non per una piena coscienza del Medesimo? Ed è triste notare che in moltissime parrocchie tanti nostri ragazzi una volta ottenuta la "Prima Comunione" non pratichino più la chiesa... Molte volte si obietta che questo dipende anche dalle inadeguate strutture e metodologie pastorali della nostra comunità ecclesiale; sarà anche vero, ma una simile affermazione, chissà, potrebbe anche nascondere un alibi ingiustificato... Ciò che invece è alla base di tutti questi problemi e difficoltà si riscontra nell'argomento di cui all'apertura della nostra riflessione: non si può considerare l'importanza di Cristo pane vivo disceso dal cielo se non nella prospettiva della fede. Occorre cioè in primo luogo che si "creda" intensamente nella presenza reale di Gesù nelle sembianze del pane e del vino, che si sia coscienti di ciò che si riceve tutte le volte che ci si accosta all'altare e che non si ometta di considerarlo. Certo, la fede nella presenza sostanziale di Gesù Eucaristia non sempre è facile: a livello puramente razionale bisogna ammettere che è del tutto impossibile concepire che Cristo sia presente in un dischetto sottile di pane e a volte chi non ci crede ci ritiene "folli" e insensati.... Ma proprio questo ha scelto Cristo per comunicare con noi: quello che umanamente parlando è stolto e insensato! Ed è giusto che l'Eucarestia sia un mistero da accogliersi per fede, in quanto solo così ci si può prospettare come dono scaturito dal cielo... LA PAROLA SI FA' VITA Nel tentativo di accogliere l'invito di San Giacomo a non essere soltanto ascoltatori della Parola di Dio, ma di cercare di metterla in pratica (Gc 1,22,) a partire da questa domenica mi sovviene offrire ai lettori alcuni spunti di riflessione relativamente alla Liturgia della Parola appena commentata. Questi possono essere oggetto di riflessione individuale o motivo di condivisione e/o meditazione a gruppi; poiché non si vuol pretendere che siano ogni volta adeguati alle varie circostanze, ciascuno potrà liberamente modificarli di volta in volta secondo particolari esperienze o situazioni. SPUNTI DI RIFLESSIONE -- Riesco ad accettare che Gesù sia realmente presente in quella piccola ostia che il sacerdote mi presenta ogni domenica? --Quale "effetto" riscontro nella mia persona ricevendo la Comunione ogni domenica? --Con quale spirito partecipo alla Messa domenicale? E' per me una forzatura, una vana consuetudine o vi prendo parte con entusiasmo? --Riflessione generale sul ministero del sacerdote: il rapporto con il mio parroco; che cosa non mi soddisfa dei presbiteri, come vorrei che fossero, ecc... |