Omelia (15-08-2009) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Un Dio amore e giusta ricompensa Specialmente fra i giovani che aspirano a raggiungere un determinato traguardo, le mete che ci si prefigge non di rado appaiono come esorbitanti e irraggiungibili, spesso si dubita di poterle raggiungere e di vedere il frutto delle nostre fatiche i giusti risultati delle nostre lotte; questo soprattutto per l'incompatibilità fra la franchezza dei nostri desideri, la costanza delle nostre lotte e le ingiustizie di un sistema perverso e discriminante. Non sempre infatti le fatiche e le apprensioni che il perseguimento di un obiettivo impongono trovano la soluzione di un compenso proporzionato; non sempre è vero che chi semina raccoglie e non di rado succede che i vantaggi e il successo vengano riservati più a coloro che "hanno fortuna" o che hanno "i santi in paradiso" che non a quanti sudano e si affaticano con lungimiranza e coerenza. Il vissuto a cui l'umanità ci costringe è ingiusto e malvagio e non sempre apporta le dovute ricompense e gratificazioni. Ma anche se così non sembra, è mia personale esperienza che quanto la società non è ingrado di darci il Signore ce lo garantisce con certezza e la giustizia di Dio alla fine prevarica le aberrazioni e le ipocrisire dell'uomo. Dio prima o poi si rivela dando a ciascuno il merito della propriia fedeltà ed è proprio questo in effetti l'argomento della liturgia odierna. Infatti che cos’è, in termini di concretezza, la solennità dell’Assuzione al Cielo di Maria se non la realizzazione delle gloria piena, straordinaria e definitiva che Dio promette a Colei che, nella prova, nel dolore, nelle precarietà e sotto ogni altra sofferta circostanza, non ha mai omesso di usare fedeltà indiscussa e sottomissione? Nell'Assunzione della Vergine al Cielo troviamo la ricchezza della ricompensa divina proporzionata agli sforzi e alle sollecitudini da parte di chi a Lui si è sempre mostrato fedele e ben disposto, soprattutto quando questo è costato l'ssillo della prova e il coraggio degli imprevisti. La Bibbia ci ragguaglia su una figura di Maria tutt’altro che oggetto di privilegi e agi terreni: la Vergine, sin dal momento dell’annunciazione dell’Angelo, è esposta a pericoli, inquietitudini, angosce, ansie, insicurezze e privazioni; come se non bastasse, deve anche accettare di assistere allo straziante episodio della morte del proprio Figlio sul patibolo e di aver predetta questa atrocissima "spada che le trafiggerà l’anima"; è costretta spesso alla fuga e al nascondimento e anche alla precarietà dei mezzi e delle condizioni con cui affrontare la divina maternità e la divina infanzia. In tutto questo però Maria non omette di perseverare nella fedeltà al Signore rendendosi anzi partecipe della vicissitudine della lotta contro il male che il Figlio Gesù deve sostenere, essendo sempre associata a Lui nel combattimento contro il "serpente antico" che noi chiamiamo demonio. Maria non si rassegna alla sofferenza e alla prova, ma assume l’una e l’altra come opportunità di convinta sequela del suo Figlio; non si arrende di fronte allo scenario del dolore e delle ingiustizie per cui è costretta a dover vedere spirare il suo Gesù, ma interpreta queste ultime come occasione per esercitare la fiducia e la speranza nel Dio che non manca mai di intervenire a favore del giusto. Non accetta con passività di dover fuggire in Egitto nascondendo il proprio pargoletto agli avversari, ma coglie l’occasione di mostrare nella difesa del suo Bambino, la fede certa e motivata di dover proteggere l’Altissimo Onnipotente Creatore sotto le umili vesti di un Fanciullo. A motivo di tanta costanza e di tanta decisione che la rendono donna emblema di vera fammilitità in progresso anche ai tempi attuali, Maria ha prontamente realizzati i suoi innati desideri di giustizia e di condecorazione: Dio le concede un premio glorioso tanto grande quanto vessanti e umilianti erano state le insidie e le prove e questo non può che essere l’Assunzione piena in Cielo della sua anima e del suo Corpo. E’ vero che la Bibbia non fa alcun riferimento esplicito all’innalzamento materiale della Vergine al Cielo, ma se la Scrittura è davvero Parola di Dio, allora è doveroso sostenere che tale Parola ci si rivolga anche in senso indiretto, soprattutto quando si tratti di ragguagliarci sull’amore di giustizia e di equità divina: negare che Maria sia stata Assunta equivale ad affermare che Dio non è abbastanza benevolo e neppure è sufficientemente giusto e retto nei confronti dei suoi fedeli, perché non ricompenserebbe i suoi fedeli nella forma e nella misura proporzionate. Come poter dubitare che Dio, sempre pronto a ricompensare in oro ogni nostro minimo atto di amore nei Suoi confronti, possa concedere che anche il Corpo di Colei che aveva ospitato il Suo Figlio affrontando tante e tali intemperie, venga preservato dalla corruzione? Come poter anche sospettare che Dio possa permettere che il corpo esile di Colei che lo aveva ospitato come Verbo Incarnato si confonda con la putredine e la corruzione della polvere e della cenere? E’ necessario è legittimo allora che Maria sia stata assunta in Cielo in anima e corpo, affinché anche la sua corporeità si salvasse dalla distruzione. Una sola osservazione: a differenza di Cristo, che è asceso egli medesimo alle sfere della gloria celeste, quale creatura umana assolutamente limitata e circoscritta, Maria non poteva ascendere ella medesima, ma ESSERE ASSUNTA, ossia essere elevata da Altro alle sfere celesti. Così testimoniano autori vari della nostra Tradizione, come Epifanio di Salamina e Germano di Costantinopoli, ma così ha sempre avvertito soprattutto, da tempo immemorabile, il popolo cristiano che in diversi ambiti e luoghi della terra ha sempre coltivato questa certezza e questa fiducia che è diventata verità assoluta di fede nel 1950 quando papa pio XII la espresse definitivamente come Dogma di fede, da accogliersi indiscutibilmente da parte di tutti. Come dicevamo all’inizio, il destino di salvezza e di gloria definitiva della Vergine Assunta ci incute coraggio nella certezza che anche per noi non potrà mancare la giusta elargizione per le nostre fatiche e il proporzionato compenso per i nostri impegni e per le lotte sostenute, purché lo sguardo si orienti sempre in alto e non si demorda mai negli ostacoli e nelle mine che la vita ci riserva. |