Omelia (09-08-2009)
mons. Roberto Brunelli
Alimenti per il viaggio

Il brano evangelico di oggi è costituito dalla seconda parte dell’insegnamento di Gesù a quanti l’hanno seguito a Cafarnao, dopo avere beneficiato della moltiplicazione dei pani e dei pesci. All’auto-rivelazione di lui ("Io sono il pane disceso dal cielo"), sentita domenica scorsa e ripresa oggi, i suoi ascoltatori restano sconcertati e si chiedono: "Costui non è forse il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre; come può dunque dire: Sono disceso dal cielo?" Ma Gesù ribadisce: "Chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita, il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno".
E’ già chiaro – lo sarà più avanti ancora meglio – il riferimento all’Eucaristia. E per spiegarne la portata egli riprende il confronto con quello che gli ebrei chiamavano il pane dal cielo, la manna che aveva nutrito gli antenati liberati dalla schiavitù dell’Egitto: "I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; io sono il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia". Gesù stesso stabilisce così una sorta di parallelo tra il "pane del cielo" dell’antico testamento e quello del nuovo, in cui l’antico preannuncia il nuovo, e anzi trova nel nuovo il suo senso, il suo compimento, la sua perfezione.
Il duomo di Mantova, non a caso nella cappella del Santissimo Sacramento, si orna di una serie di scene decisamente insolita, che forse non ha l’uguale in alcun’altra chiesa. Sono sette tondi, in cui sono richiamati altrettanti preannunci, o prefigurazioni, dell’Eucaristia nell’antico testamento. C’è appunto la manna, e prima la cena con l’agnello arrostito consumata dagli ebrei in procinto di lasciare l’Egitto, e poi vari aspetti rituali del tempio di Gerusalemme, e un paio di altri episodi. Questi richiami, che dimostrano la sollecitudine di Dio per il suo popolo, i cristiani le interpretano come preparazione a comprendere la sollecitudine massima, l’aver mandato il suo Figlio, a beneficio non del solo popolo ebraico ma di tutti gli uomini, ai quali egli si offre appunto nell’Eucaristia.
Uno dei due episodi ricordati è oggetto della prima lettura di oggi (1Re 19,4-8). Riguarda il profeta Elia, vissuto nell’antico regno dissidente d’Israele, colto in un momento di sconforto: dopo tante lotte, tanti rischi, tante imprese memorabili per ricondurre a Dio un popolo ribelle, egli deve costatare il proprio fallimento. Allora se ne va; si inoltra nel deserto, si corica sotto un ginepro e chiede a Dio di farlo morire; ma Dio interviene, mandandogli pane e acqua con l’ordine di proseguire il cammino, che lo porterà all’incontro diretto con lui. Lo sconforto di Elia riflette quello che prima o poi tanti provano: delusione, sfiducia, amarezza, coscienza dei propri limiti, voglia di gettare la spugna in quel match senza fine che a volte sembrano, uno dopo l’altro, i giorni dell’uomo. Ma quando avviene così, è perché ci si dimentica degli aiuti di Dio: la sua Parola, le sue promesse, la certezza che egli è sempre con i suoi e offre a loro sostegno il "pane dal cielo". Elia, come gli ebrei con la manna, come la folla per la quale Gesù ha moltiplicato i pani e i pesci, ha ricevuto un cibo materiale, concesso "una tantum" in circostanze particolari; quanto più grande è il nutrimento spirituale! Eppure esso non è appannaggio di qualche privilegiato, ma è disponibile per chiunque lo voglia ricevere, e non una volta sola, ma sempre, per quanto possa durare il viaggio sino alla meta.