Omelia (16-08-2009) |
don Marco Pratesi |
Chi è inesperto venga! La sapienza ci è presentata come una gran dama che, costruito il suo ben rifinito palazzo, appronta un banchetto e manda le ancelle in tutta la città a chiamare gli invitati. E' invitato chi è "inesperto" e "privo di senno" (v. 4). L'inesperto è colui che non ha ancora considerato attentamente la realtà, dunque immaturo e sprovveduto. Uno sciocco ma, a differenza dello stolto, tale non per scelta. In questo senso può ancora, se accoglie l'invito, diventare saggio. L'inesperienza non è ancora stoltezza, nondimeno rimane molto rischiosa, perché facilmente l'inesperto è imprudente e si caccia nei guai (cf. 22,3; 27,12). Non sottopone a discernimento quanto gli viene detto e proposto (14,15), e perciò si lascia facilmente traviare. "Privo di senno": l'ebraico dice, molto meglio, "privo di cuore". Nel cuore, infatti, nella profonda interiorità personale, si conosce, si vaglia, si riflette, si vuole, si progetta, si conserva l'essenziale, il proprio "tesoro" (cf. Mt 6,21; Lc 12,34). L'organo della sapienza è il cuore (cf. 2,10; 14,33; 16,23). Si può "mancare di cuore", essere interiormente vuoti, inconsistenti, privi di profondità. La sapienza si rivolge proprio a questi sciocchi. Se dietro alla loro inconsistenza sta soltanto una insufficiente consapevolezza, essi devono sapere che adesso è possibile superarla. Proponendo la sua attenta considerazione della realtà ("intelligenza", v. 6), la sapienza offre la vita stessa. La metafora del cibo è trasparente: la sapienza dà vita ed energia, è cibo buono e nutriente per il cuore. E' doveroso accogliere l'offerta, perché il destino dell'inconsistenza interiore è quello di lasciarsi sedurre e ingannare da false promesse di vita, come accade a quelli che si lasciano attirare da "dama follia" al suo banchetto di morte (cf. 9,13-18), e come il "giovane sciocco" che si lascia allettare dalla prostituta (cf. 7,7). La vacuità interiore guasta la vita in quanto, priva di discernimento, non è in grado di sfuggire ai vari incantatori che affascinano con proposte scintillanti ma inconsistenti, e in sostanza rovinose (cf. 22,3=27,12; Os 7,11). Segno di intelligenza è saper riconoscere i limiti della propria intelligenza, non fidandosi esclusivamente di essa e mettendosi alla scuola del Signore (cf. 3,5); perché "conoscere il Signore è intelligenza" (9,10), e il semplice "è reso saggio dalla sicura testimonianza di Dio" (Sal 19,8). I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo. |