Omelia (09-08-2009) |
padre Antonio Rungi |
Solo la fede ci apre al dialogo vero con Cristo Celebriamo oggi la XIX domenica del tempo ordinario e il vangelo di oggi ci presenta Gesù impegnato a fare capire alla gente la sua vera identità e la sua precisa missione nel mondo. Egli è pane della vita, egli è l’atteso messia, egli è il salvatore, egli è colui che il popolo attende, egli, nonostante che sia il figlio adottivo del carpentiere, è il Figlio di Dio venuto nella storia dell’umanità perché questa umanità si riscattasse dalla sua condizione di peccato. Quanto è difficile far accettare la verità, quanto è problematico mediare la vera dottrina ai tempi di Gesù come ai nostri giorni. Le posizioni preconcette, i pregiudizi, le sicurezze delle proprie verità spesso ci fanno chiudere gli occhi di fronte alla vera verità, non ci fanno riconoscere che Gesù Cristo è l’unico salvatore del mondo. Il tempo che stiamo vivendo è un tempo di profonda crisi della fede in Gesù Cristo. Al tempo di Gesù egli stesso provò a far capire alle persone la sua vera identità, ma non ci riuscì in quanto ci volle l’esperienza della croce, della risurrezione, del dono dello Spirito Santo ad aprire il cuore dei discepoli all’intelligenza della Sacra Scrittura ed alla comprensione della missione del Cristo Redentore. Nel vangelo di oggi troviamo le persone che mormorano contro Gesù, come gli israeliti mormoravano contro Dio e contro Mosè. Di fronte agli inciuci della gente, ai pettegolezzi, ai sospetti, alla non fede, all’incredulità, Gesù risponde non con il silenzio ma con la formazione delle coscienze e delle menti della gente. Fa catechesi, evangelizza, cerca di far capire, prova a far incentrare il discorso non sull’esteriore, ma sulla sua persona. E’ evidente che l’approccio fondamentale con Cristo avviene nella fede. Conoscere la sua provenienza, i suoi genitori ufficiali, non significa conoscere esattamente chi è Cristo nella sua vera natura e nella sua vera identità. E’ necessario avere un contatto con lui direttamente e questa via privilegiata è il dono della fede. Dono che Dio Padre fa a tutti, ma non tutti accolgono questo dono. Lo sappiamo benissimo come siamo in crisi di fede e come la fede venga messa in discussione sempre. Vogliano trovare le ragioni e motivazioni e le giustificazioni di tutto e di tutti, ma ci accorgiamo che non possiamo arrivare alla pienezza della conoscenza. La ragione non basta, la fede non sempre ci viene in soccorso perché gli tarpiamo le ali, di conseguenza siamo persone che vagano nel dubbio e nell’incertezza. Gesù ci dice che chi cerca lui ed incontra lui nella fede, incontra la verità, fa esperienza di vera felicità, tocca con mano l’eternità. Possiamo però ben dire che è lungo il cammino della fede, molte volte è difficile, presenta ostacoli di ogni genere, si arresta e nella nostra debolezza di pensiero e nella fragilità dei nostri sentimenti vorremo fermarci e non andare più avanti, come ci ricorda il brano della prima lettura di questa domenica tratto dal primo libro dei Re, in cui ci viene presentata la figura e la missione del profeta Elia. Egli stanco, scoraggiato, demotivato, anche per l’infruttuosità della sua missione, vorrebbe morire. Ma Dio interviene gli dà il sostegno materiale e spirituale per continuare la sua missione. E’ quel pane del cammino che noi popolo della nuova alleanza individuiamo nella Santissima Eucaristia, il nostro alimento per camminare nel tempo con la forza che ci viene dal Verbo Incarnato fattosi cibo e bevanda per noi bisognosi delle forze interiori per affrontare il combattimento della vita presente. Elia con quel pane portò a compimento la sua missione nel tempo, descritta nei numeri di 40 giorni e 40 notti che ci richiamano un’altra situazione del genere, quella dei 40 giorni di Cristo nel deserto prima della sua attività pubblica. La quaresima della ricarica spirituale che Cristo fece per prepararsi alla missione, ma soprattutto alla passione e morte in Croce. Cristo per 40 giorni si ferma. Elia per 40 giorni cammina. Fermarsi per riflettere e ricominciare. Camminare per sostare al termine di un viaggio è la storia della nostra vita spirituale ed interiore. Abbiamo bisogno di sostare, di fermarci a riflettere, ma non per autodeprimerci, ma per recuperare le energie necessarie per ricominciare. E sappiamo che da soli possiamo fare ben poco o nulla. Chi ci può aiutare è solo Lui, nostro Signore al quale ci rivolgiamo anche in questo momento della nostra vita, perché egli venga in nostro soccorso, non ci faccia mancare quel cibo e quella bevanda che ci rilanciano nella vita quotidiana di cristiani. E’ necessario, come scrive l’apostolo Paolo nel brano della lettera agli Efesini che oggi ascoltiamo, non rattristare lo Spirito e non rattristare noi stessi. Dobbiamo essere persone positive, guardare il futuro nell’orizzonte e nel segno della speranza e della felicità. Per raggiungere questo obiettivo è necessario cambiare stile di vita, atteggiamenti e comportamenti. Il miracolo della nostra personale conversione parte dal cambiamento del cuore. Via qui l’asprezza, lo sdegno, l’ira, le grida, le maldicenze e malignità. Facciamo posto alla benevolenza, alla misericordia, al perdono, alla carità, al sacrificio, al vero e sincero amore tra di noi in quel Cristo che "ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore". Sia questa la nostra preghiera di oggi: Guida, o Padre, la tua Chiesa pellegrina nel mondo, sostienila con la forza del cibo che non perisce, perché perseverando nella fede di Cristo giunga a contemplare la luce del tuo volto. |