Omelia (16-08-2009) |
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PRIMO COMMENTO ALLE LETTURE a cura del Prof. Rocco Pezzimenti 1. "Presero a discutere tra loro dicendo: come può darci Costui la sua carne da mangiare?". Segno che avevano capito quello che Gesù aveva detto anche se non riuscivano neppure ad intuire come ciò sarebbe potuto avvenire. D’altra parte, per fugare ogni dubbio, Cristo va addirittura oltre: "se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita". Lo sgomento non può che essere grande; per i nemici è la certezza che Gesù è uscito di senno. Eppure non sono pochi, già tra i Padri, coloro che ci dicono che questo è il primo passo per affermare, in seguito, qualcosa di ancora più misterioso: quello che sarà il Corpo Mistico, del quale ogni credente è chiamato a far parte. 2. Perché questo mistero non debba essere considerato come una sorta di elisir della lunga vita, che ogni generazione a modo suo insegue, Gesù ci ricorda subito che sta parlando del suo Regno ed aggiunge: "E io lo risusciterò nell’ultimo giorno", non smentendo che chi mangia e beve ha già la vita eterna, perché a questa partecipa già nello spirito. È per questo, che "la mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda". Cibo che consente al Cristo di dimorare in noi, rendendoci immortali, e consente a noi di essere saziati da quell’unica fame che tutti ci attanaglia e ci rende insoddisfatti: il bisogno di una vita che non finisce, cioè della vita eterna. 3. Fonte di questa vita, Cristo solo è in grado di placare quella sete. Noi, come la Samaritana, dovremmo dirgli: dacci da bere. Gesù, per soddisfare questa nostra sete, si è annientato completamente sulla Croce, dove il suo corpo ed il suo sangue si sono fatti cibo e bevanda per noi. Forse il prendere la nostra croce e seguirlo sta anche per noi nel cercare di dimenticare un po’ noi stessi. Solo così possiamo realmente capire le altrui necessità, diventare sensibili, mettendo da parte il nostro egoismo che, sarebbe più giusto, definire egocentrismo. Insomma, il mistero dell’Eucaristia è quello del chicco di grano che, se non muore, non dà frutto. 4. Si capisce perché, consolidati nella fede, San Paolo ci esorti a riscattare il tempo, e, visto che "i giorni sono cattivi (...) studiate bene quale sia la volontà del Signore". Insomma, non dobbiamo essere sprovveduti e dimentichi, come spesso ci capita, ma dobbiamo continuamente ringraziare Dio perché questo ci consente di sentirci alla sua presenza e di non smarrire i nostri obiettivi, senza inebriarci nelle tentazioni del mondo che mirano solo a confondere e indebolire la nostra fede. 5. Cristo ci ricorda che anche lui vive per il Padre, "così anche chi mangia di me vivrà per me". In quel "per me" dobbiamo trovare il senso della nostra vita e non come vorremmo noi, ma come ha fatto lui. Questo vuol dire seguirlo sulla via della vita eterna della quale ci rende già partecipi col suo corpo e col suo sangue. Quel pane degli angeli per il quale non saremo mai capaci di rendere grazie in modo adeguato. SECONDO COMMENTO ALLE LETTURE a cura di Sr. Piera Cori Qualche anno fa ho ascoltato la storia del "Paese dei pozzi", mi è piaciuta molto per questo ve la voglio raccontare. C’era un paese abitato solo da pozzi, pozzi colorati. Un paese arido, perché quel paese ha pozzi senza acqua. Ogni pozzo è pieno di tante cose, le più varie, le più stravaganti. La vita nel paese trascorre tranquilla, sempre uguale, un po’ monotona per la verità. Ogni tanto si scambiano una parola sugli ultimi acquisti o si lamentano perché il paese non offre sufficienti attrazioni. Un giorno un pozzo torna con una novità: l’apertura di un nuovo supermarket con prezzi favolosi. Di nuovo il paese si anima e il pozzo marrone comincia a dare una sistemata alle sue cose per far spazio alle nuove che desidera acquistare. Vuole proprio dare una bella sistemata, da tempo non arriva in profondità e così si dà da fare. Nel fondo della sua realtà si accorge di una sensazione di freschezza che è così bella! È tutta un’altra cosa, rispetto all’aridità della superficie. Allora cerca di comunicare la scoperta agli altri pozzi: "ragazzi, cercate nel vostro profondo proverete una sensazione meravigliosa". Alcuni lo prendono in giro, altri invece cominciano a cercare. Il pozzo azzurro si accorge che quella cosa nel fondo non dona solo freschezza, ma è anche luminosa. È così entusiasta che getta via tutto quello che ha, tutto ciò che occupa spazio per lasciare posto solo all’acqua. Il paese questa volta si anima davvero, anche i più restii sono contagiati dalla novità dell’acqua e così si danno da fare per liberarsi di tutto ciò che non serve. Anche il rapporto tra i pozzi è diverso, si salutano con gentilezza e si accorgono che intorno la terra comincia a fiorire. Un giorno alcuni pozzi si chiedono: "ma da dove viene questa sostanza così preziosa?" Notano che viene dalla montagna. Come mai, si dicono l’un l’altro, non ce ne siamo mai accorti? Eppure la montagna è sempre stata lì in mezzo a noi e non ce ne siamo mai accorti! A noi che come i pozzi della storia, siamo così presi e preoccupati da troppe cose, affannati cercatori di apparenti felicità, la liturgia di oggi ci invita a cercare e a gustare ciò che conta, ciò che serve per la vita. È la voce della sapienza, nella prima lettura che chiama tutti a un banchetto imbandito nella casa forse costruita apposta per questa festa. Casa lussuosa dalle sette colonne. La mensa è ricca, viene descritto il cibo preparato e il vino che accompagnerà le pietanze succulenti. Poi manda le sue ancelle a far conoscere il suo invito. E l’annuncio, fatto nei punti più alti della città, riguarda anche noi, inesperti di sapienza. Ci chiama, ci invita, perché nutriti alla sua mensa troviamo il coraggio di abbandonare l’inesperienza, la stoltezza, per scegliere sapienza, per andare verso la via dell’intelligenza. L’intelligenza non è la semplice cultura, o il sapere le cose. L’intelligenza è la capacità di leggere dentro le cose per coglierne il senso, il valore e il bene per la nostra vita. Questa sapienza dal volto femminile, ci racconta l’amore provvidente di un Dio che si "china verso di noi per darci da mangiare". Dio nella liturgia di oggi si fa gustare e vedere nella sua bontà, nella sua misericordia. Il Vangelo ci mostra a che vertice arriva questa misericordia bontà del Signore. Lui offre se stesso come carne da "mangiare". Per sette volte Giovanni nel suo Vangelo ripete questo termine. È un termine importante. Mangiare significa fare comunione. Noi siamo chiamati a nutrirci di lui. Ad accogliere questa Alleanza eterna che Dio offre a tutti ma che ciascuno di noi è chiamato ad accogliere personalmente. Nella celebrazione eucaristica fatta di tanti ‘amen’ che come popolo di chiamati pronunciamo insieme, fa eco l’amen personale del momento della comunione, quando ciascuno di noi accogliendo il Dono di Dio, s’incammina verso di Lui per ricevere quel dono di amore che chiede a chi l’accoglie di diventare amore capace di mostrare l’amore accolto. Essere cristiani non è garanzia di nulla se non c’è nella volontà e nel cuore dell’uomo il desiderio di vivere con saggezza, di vivere secondo lo Spirito. Che il Signore ci sostenga in questa volontà di bene. |