Omelia (23-08-2009)
padre Gian Franco Scarpitta
Gesù pane di vita: facciamo la nostra parte

Con questi brani liturgici il discorso sul "pane vivo disceso dal cielo" avente per soggetto e per oggetto Gesù Cristo Figlio di Dio, giunge alla sua conclusione, con un epilogo che comporta anche un passaggio dalle garanzie alle esortazioni: adesso infatti si conclude la proposta gesuana della vita eterna nella prerogativa del pane vivo da assumersi come ideale, criterio di vita, riferimento primario e da consumarsi materialmente nella forma del sacramento dell’Eucarestia; si chiude la descrizione delle promesse e delle garanzie di vita che Gesù offre proponendo se stesso come il pane farmaco di immortalità e inizia l’esortazione a che da parte dell’uomo ci si decida per il sì, cioè per l’accettazione senza condizioni delle proposte e prerogative suddette.
Il pane di vita di cui si è fatto excursus infatti è il Verbo Incarnato, Gesù Dio coeterno con il Padre, Sapienza infinita di Dio, partecipe con Lui nella creazione e nella redenzione unitamente all’azione dello Spirito Santo; il pane di vita è il Figlio di Dio mediante il quale nello Spirito si giunge al Padre, il Rivelatore del vero Dio unico eppure in Tre Persone nell’identità della sostanza dell’unica natura, è insomma il Dio Ineffabile e misterioso che si concede all’uomo nel mistero dell’incarnazione e nella comunicazione di se stesso come alimento di vita che si fa mangiare ma che tuttavia resta pur sempre Egli Medesimo, il Dio Uno e Unico. Noi abbiamo accesso a questo Dio attraverso il Verbo incarnato Gesù Cristo che nello Spirito Santo ci conduce al Padre e pertanto Gesù va accolto nella duplice dimensione umana e divina, come il Dio fatto uomo per la nostra salvezza e non va post posto alle altre preferenze terrene. Egli ha il primato in fatto di importanza e tutte le priorità appartengono a Lui.
Di conseguenza si deve necessariamente accettare che questo pane di vita sia il Dio che oltre che a dare delle garanzie richiede degli impegni e anzi, ancor prime, delle decisioni indiscutibili e irrevocabili che comportano il mettersi in discussione, la revisione della propria vita e dei propri intendimenti, l’incondizionatezza e la libertà di accettare il Mistero di Dio senza remore e senza discussioni. In altre parole, se Gesù si dispone per noi come pane di vita nella piena gratuità, da parte nostra lo si deve accogliere nella globalità del suo essere Figlio di Dio e Verbo Incarnato.
Evidentemente l’accettazione libera e disinvolta in questi termini impone anche un coraggioso ripensamento della propria vita, una revisione dei propri atteggiamenti e un mutamento radicale del nostro comportamento che sia atto a prescindere da ogni cosa che si opponga a Gesù.
Ci viene chiesto insomma di operare la scelta radicale e definitiva tipica della Prima Lettura dal libro di Giosuè, nella quale tutto il popolo, messo alle strette su chi scegliere fra Dio e gli idoli (le varie divinità locali), si decide risolutamente per il Signore: alla pari di Giosuè anche Gesù chiede la nostra determinazione nell’accettare lui come pane vivo disceso dal cielo una volta terminato il suo discorso illustrativo e resa dimostrazione effettiva nell’evidenza della moltiplicazione dei pani e domanda che la nostra sia una scelta convinta e radicale.
E’ una pretesa assurda quella di Gesù?
Certamente per quanti preferiscono precludersi alla verità anche di fronte all’evidenza della Rivelazione, la proclamazione che Gesù fa di se stesso non può che risultare aberrante e inammissibile perché quando ci si ostina nella chiusura di cuore senza accettare le meraviglie strabilianti di un Dio che può tutto pur di servire l’uomo neppure l’evidenza dei miracoli è capace di trasformazione. Chi non ama fare il "salto di qualità" nella fede superando la propria mediocrità e optando per l’eroismo dell’apertura del cuore che prescinde dalla razionalità esasperata e dalla facilità delle nostre conclusioni personali, ebbene non potrà mai accettare la pienezza del mistero di Dio nel Verbo Incarnato e pertanto il discorso di Gesù non potrà che sembrare illogico e assurdo.
Per dirla in termini più elementari, molte volte del messaggio di Cristo si rifiuta ciò che comporta mutamento di vita, impegno e conversione personale accettando invece solamente quello che è piacevole, comodo e immediato.
Ecco perché assistiamo alla fuga in massa dei discepoli di Gesù, che, eccettuando la viltà dei discepoli al momento dell’arresto, costituisce forse l’evento unico e singolare di tutte le redazioni evangeliche: solo qui notiamo con meraviglia che i discepoli, solitamente zelanti nella sequela del Signore, decidono di abbandonarlo dopo un solo discorso, sia pure ben congegnato e motivato. Se ne vanno dopo aver ascoltato la denuncia di Gesù della loro fondamentale mancanza di fede e della mancata accettazione del suo Mistero di Figlio di Dio. Anziché imporre a se stessi autocritica e reimpostazione di vita, preferiscono abbandonare il Maestro. Avrebbero preferito infatti ascoltare da lui solo il dolce delle promesse e delle garanzie e non l’amaro degli impegni e dei sacrifici che queste garanzie comportano; la loro propensione sarebbe stata quella di accogliere non la verità in assoluto per come vuole mostrarci e per come deve essere accolta, ma solo quell’aspetto accomodante e piacevole della verità, per il quale si trovano giustificazioni per ritenere come falso tutto il resto.
Gesù non si scompone di fronte all’abbandono dei suoi discepoli e non si turba affatto il sonno sui calcoli demografici su coloro che restano al suo seguito o su coloro che si allontanano da lui, perché è ben lungi da qualsiasi proselitismo e da ogni compromesso puramente umano: pur di annunciare ciò per cui il Padre lo ha mandato non solo accetta il suddetto abbandono, ma si predispone anche alla possibilità che anche i Dodici possano allontanarsi da lui: "Volete andarvene anche voi?" Se anche gli apostoli se ne andassero lui non avrebbe di che obiettare e nulla toglierebbe al suo messaggio franco e perentorio sulla necessità che Dio lo si accetti secondo i Suoi parametri e non sotto le nostre condizioni; il suo atteggiamento dovrebbe ispirare anche i pastori e gli evangelizzatori dei nostri giorni tutte le volte in cui il timore di perdere i favori, le simpatie e le amicizie della gente inducono ad omettere il "coraggio della verità", per il quale si tende a tacere al popolo ciò che nuoce e che risulta scomodo ma che sarebbe necessario realmente proferire: l’amore per la Parola di Dio e l’accanimento missionario motivato dal nostro amore per il solo Signore dovrebbe scongiurare ogni nostro desiderio di avere le chiese o gli oratori pieni a tutti i costi e indurci ad accettare persino di restare soli, pur di avere la certezza di adempiere il nostro mandato fino in fondo, anche annunciando e proferendo quello che al popolo da fastidio ma che è pur sempre dettato dalla volontà del Signore per la reale salvezza dell’uomo.
Che Gesù sia il nostro pane vivo disceso dal cielo che vuole offrirci realizzazione e salvezza e che sia per noi indispensabile non comporta che si giustifichino da parte nostra negligenze, torpori e ricettività eccessive, ma che ci si disponga ad uscire dalla mediocrità per accettare la realtà profonda di questo pane vivo disceso dal cielo con tutte le conseguenze di mutazione che esso comporta e che ci si configuri attivamente in tutto a Lui.