Omelia (15-08-2009) |
don Maurizio Prandi |
Il discepolato: lo stupore che nasce dall'ascolto, la gioia che nasce dalla gratuità La solennità che celebriamo è desiderio di portare la parola. Maria ha appena ricevuto un annuncio importantissimo: sarà madre e Madre di Dio! Bello che tutto questo muova in lei il desiderio di partire, di andare; non vuole conservare, conservarsi, non risparmia energie ma va sospinta da uno slancio che i Padri della Chiesa amano legare alla carità, al servizio. In realtà di tutto questo non si parla nel vangelo della visitazione. Il viaggio intrapreso da Maria (e che ognuno di noi è chiamato ad intraprendere), ha piuttosto il carattere della missionarietà e Luca dice bene come deve essere il viaggio missionario: un andare in fretta perché sei mosso da chi porti dentro di te, Gesù. Un andare in fretta perché desideri che l’altro al più presto conosca Gesù, un andare in fretta perché senti in te la bellezza e l’urgenza della vocazione che viene da Dio: essere il tramite per questo incontro con Gesù. Enzo Bianchi a proposito di questo dice che è proprio ciò che senti dentro di te che accende quella luce che fa risplendere la tua vita e la rende capace, come quella di Maria di trasmettere una luminosità che è quella di Gesù e non quella delle cose (per quanto belle e importanti) che fai. Il problema non consiste nel fare le cose per essere visti, perché questa non è testimonianza, ma esibizionismo. Essenziale invece è la luce che deve risplendere internamente e che rende luminose anche le opere compiute dal credente: e che altro è questa luce se non il Cristo stesso che abita per la fede nel cuore dell’uomo? L’essere testimoni non lo si progetta e nemmeno lo si programma: è questa luce che devi soltanto lasciare uscire da te dilatando il cuore e i sentimenti. E poi l’incontro, la bellezza di un incontro tra persone che non si misurano, che non entrano in competizione in una scala di importanza (banalizzo: io sono più importante perché Gesù vale più di Giovanni Battista...) ma si accolgono l’un l’altra riconoscendo reciprocamente le meraviglie che Dio ha operato in ciascuna di loro. Un incontro che avviene nella più totale gratuità perché entrambe sono capaci di conoscere, accogliere, apprezzare l’altra nella vocazione che il Signore le ha rivolto. Torno a quanto scrive E. Bianchi e che mi pare molto significativo: l’incontro delle due madri diventa l’incontro dei due figli nel grembo materno, e in quel sussultare di Giovanni alla voce di Maria dice che la promessa dell’angelo a Zaccaria è compiuta. Sarà pieno di Spirito santo fin dal seno di sua madre... ha ricevuto lo Spirito secondo il vangelo di Luca, e da quel momento più che battezzatore sarà evangelizzatore. C’è una conseguenza che sento importante per me e per gli incontri che faccio: non è importante definire subito l’altro, inquadrarlo, conoscerne pregi e difetti; ogni incontro, anzitutto dovrebbe provocare come una Pentecoste, una discesa dello Spirito. Allora non parti da quello che l’altro può significare per te (e quindi anche quali vantaggi o svantaggi per te da quell’incontro), ma parti da un unico desiderio: che la vita della persona che hai di fronte sia avvolta dall’amore di Dio. Un brevissimo accenno al resto del brano che ci presenta il canto di Maria, il Magnificat, un accenno che tiene in considerazione soltanto le due azioni che hanno come soggetto Maria in quanto tutto il resto è una lode a Dio. Maria magnifica, rende grazie, riconosce la grandezza di Dio e proprio per questo esultanza e gioia coinvolgono tutta la sua persona. Perché mi fermo qui? Perché come discepoli e come credenti siamo chiamati allo stesso agire di Maria e come lei siamo chiamati a gioire perché troviamo in Dio la sorgente e il fondamento della nostra vita. Ci scopriamo allora in lei anche noi in relazione a Dio e quindi da noi decentrati. Questo decentramento trova una conferma nel lavoro degli esegeti che ci dicono come i verbi usati per indicare la lode che Maria rivolge al Signore si trovino frequentemente nei salmi proprio in bocca agli ‘anawim cioè i poveri, i curvati, le persone di bassa condizione sociale che pongono la loro fiducia nel Signore e non hanno alcuna sicurezza su cui contare. La donna che qui sta pregando è una donna povera, (qui è importante far nostra questa idea: la chiesa è chiamata a configurarsi come povera per poter accogliere la salvezza portata da Gesù) che riconosce l’importanza della relazione personale con Dio, il mio salvatore. Alle volte parliamo di salvezza come di una cosa astratta, distante, futura: ecco che Maria ci dice che la salvezza è la relazione personale con Dio. Che il percorso fatto in questo giorno ci aiuti a radicare sempre più la nostra vita in Dio, riconoscendo le meraviglie da lui compiute nella vita dei nostri fratelli e delle nostre sorelle. |