Omelia (30-08-2009) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Purchè l'interno sia davvero pulito... Non sempre vanno lanciati anatemi contro la forma e l’esteriorità. L’eleganza, la disciplina, la cura dell’aspetto, dei modi e della persona molte volte sono anche sinonimo di perfezione interiore e rappresentano il nostro status reale: la compostezza dei movimenti, la signorilità, le attitudini di eleganza, atti manierati e attillati non di rado esprimono un carattere maturo e riflessivo, come anche la pulizia e il decoro di una casa o di una città esprime le abitudini delle persone che la abitano. Consuetudini radicate nella nostra ( e nelle altre) civiltà come l’accoglienza calorosa degli ospiti, il saluto, il ringraziamento e le parole gentili sono atti di rispetto e di riverenza in tutti i casi e non vanno mai accantonati né omessi perché anche la forma esteriore ha la sua importanza nei nostri rapporti con gli altri. Non sempre l’apparire e il mostrarsi corrispondono a falsità e ipocrisia. Lo dice del resto anche la Scrittura che "un volto gioioso è espressione di un animo buono" intendendo per estensione che molte volte l’esterno esprime eloquentemente l’interiore e il bello dell’uomo e Dio non avrebbe chiesto certamente le sontuose decorazioni del tempio di Gerusalemme se queste non fossero state atte a significare la grandezza della spiritualità che in esso si sarebbe esercitata; apprendere il significato di ogni segno, simbolo, colore liturgico è molto importante per capire come nelle nostre celebrazioni ogni cosa esprime il mistero di Cristo Risorto, avendo ogni cosa il suo significato appropriato che aiuta non soltanto a recepire sotto altri aspetti il Vangelo, ma anche ad impostare le nostre opere di evangelizzazione, sicché usi e consuetudini della nostra liturgia andrebbero curati e spiegati dettagliatamente al popolo: in essi l’esteriorità simbolica esprime la nostra fede profonda; che sia sconcertante sgranare il rosario recitando le "Ave Maria" senza attribuirvi alcun senso non significa che tale preghiera perda in se stessa la sua importanza e che la si debba abbandonare (come certuni credono), poiché è risaputo che essa costituisce il "vangelo degli illetterati" e pertanto, nella meditazione dei misteri, assume la sua consistenza. Ribadiamo pertanto che non è mai indovinato aborrire a priori il carattere esteriore delle cose e non è affatto vero che l’apparire sia sempre difforme dall’essere, che l’abito non faccia il monaco. In parecchi casi l’esteriorità e la forma traspaiono la realtà interiore delle cose e delle persone e trasmettono anche la fiducia, la simpatia e la convenienza in generale. Tutto questo però ad una condizione: che l’esteriore sia solamente la risultante di un lungo processo di maturazione interiore e di un percorso obiettivo di formazione personale. Quando infatti vi è un previo itinerario di perfezione umana e spirituale, un cammino precorso di costruzione di se stessi in vista degli altri e di costruzione della propria persona, ebbene è inevitabile che questo traspaia all’esterno attraverso simboli, atteggiamenti e attitudini poiché quello che realmente conta è la formazione e la cultura (non il culto!) della propria persona quando questa si realizzi nella piena sincerità. Non si deve lottare per l’eliminazione dell’apparire ma perché l’apparire sia conforme all’essere e lo renda trasparente; chi mira all’apparenza finalizzata a se stessa, chi tende ad ostentare un’eleganza o una compostezza che di fatto non gli è propria; chi tende a coltivare l’esterno della coppa senza curarsi dell’interiorità e della sostanza, questi molto spesso cade nell’ipocrisia e nella falsità e deplorevole è l’atteggiamento di chi suole mostrare una ricercatezza che mira solo ad accattivare la simpatia delle persone ai fini della sola conquista e del successo personali; come pure disdicevole è la gentilezza e l’educazione ostentata ai fini di vantaggio personale a volte anche economico: siamo nel caso della reale falsità ed ipocrisia, tipica di degli ammazzasette e dei presuntuosi che curano l’esterno della coppa a puro fine esibizionistico. Contro questo tipo di persone si scaglia Gesù nel Vangelo di oggi mostrando tutta la sua disapprovazione: non che la cura delle abluzioni o di altre osservanze comuni del tempo, da parte dei suoi interlocutori, sia da rigettare o da svilire in se medesima, ma va condannata la fissità di certe norme prescindendo da tutto il resto, la falsità di chi ritiene indispensabile ciò che in realtà è solamente secondario escludendo quello che in realtà sarebbe indispensabile coltivare. Si tratta infatti in questo caso di un tipico accanimento ipocrita per l’osservanza di usi e costumi locali di mera formalità esteriore che prescindono da quello che è indispensabile, ossia la schiettezza, la sincerità e l’amore per la Parola di Dio. Per fare un esempio, potremo ricordare tutti coloro che acquistano un’elegante enciclopedia illustrata la cui copertina si intona con l’arredamento della stanza e contribuisce all’estetica e al decoro dell’appartamento, ma che non viene mai sfogliata da nessuno. E’ più ammirevole chi possiede dei volumi sgualciti e consumati dall’uso e dispersi per la casa per la loro lettura, che non chi acquista costose enciclopedie che servano solo a presenziare nell’arredamento ma non a coltivare il sapere; così è l’ipocrisia di quanti si affannano alla cura dell’aspetto esteriore senza minimamente preoccuparsi dell’essenziale, tipico di questi farisei. Chi infatti ha curato realmente il proprio intimo ha acquisito tanta e tale edificazione personale che adesso non si permette di giudicare le attitudini degli altri, ma si mostra piuttosto comprensivo e rispettoso delle altrui abitudini mostrando in tal senso una generosità e una disposizione di fondo verso il prossimo; anziché insomma disprezzare chi gli sta di fronte per la differenza degli usi e dei costumi, nella sua perfezione personale è votato ad interagire omettendo formalismi e ritrosie di sorta. E soprattutto è stato abituato alla ricerca di ciò che realmente è essenziale e conveniente, ossia il vero amore per il Signore che, come già accennato sopra, precede ogni sorta di osservanza esteriore perché la pratica della parola di Dio assume molta più rilevanza che non le osservanze di natura esteriore. Quando vi è la riscoperta dell’essenziale, insomma, automaticamente anche l’esteriorità ottiene la sua parte e quando questo non accada ebbene ciò non costituisce problema o motivo di eccessiva preoccupazione: purché vi sia la sincerità, la bontà, il perseguimento personale della volontà di Dio e soprattutto la sincera apertura verso il prossimo, tutto il resto passa in secondo piano e non vale neppure la pena formalizzarsi tanto Giacomo ci ricorda nella II Lettura odierna quello che è interessante in primo luogo riscoprire e coltivare, ossia l’ascolto della Parola di Dio non ai fini di sfoggio della propria preparazione teo0logica o di ostentazione di presunte doti intellettuali, ma per la sua immediata messa in pratica nella concretezza delle opere buone. Il che non ammette alcuna forma di ricercatezza che sia finalizzata a se stessa poiché solamente la carità sincera ed effettiva è la concretizzazione della nostra fede. A questo punto occorre però che alla luce della Parola di Dio di questa domenica anche noi optiamo per un serio esame di coscienza personale e collettivo nella nostra vita ecclesiale: come si è detto all’inizio, la cura esteriore della liturgia è molto importante perché accresce i contenuti della celebrazione del Mistero di Cristo... Siamo però davvero intenti a realizzarla con la vera finalità per cui essa esiste? Siamo cioè davvero propensi a rendere sincero culto al Signore nelle nostre celebrazioni liturgiche a volte impostante con libera creatività, senza rischiare di ostentare solo noi stessi e la nostra presunta competenza, solo ai fini di cogliere il plauso della gente? Non è raro infatti il caso di celebrazioni liturgiche che esprimono la bravura materiale di chi le organizza senza però esternare il serio amore e la lode per il Signore; come pure si trovano (chiedo perdono a chi agisce con assoluta sincerità e schiettezza) non poche opere di apostolato, di carità e di assistenza sociale realizzate fondamentalmente allo scopo di procacciare l’approvazione e la stima del popolo o peggio ancora con la reale intenzione di guadagnare qualche altro gradino nell’ascesa verso le alte posizioni. E comunque senza reale interesse e apertura di cuore verso gli altri. Insomma non dobbiamo trascurare il rischio della vanagloria e della presunzione anche nelle nostre attività ministeriali perché non si ricerchi l’immediatezza dell’esteriorità solo per la "bella figura". E’ per questo che prima che ci immettiamo in qualsiasi opera di ministero e in qualunque attività, sarebbe indispensabile collocarci di fronte a Dio nella preghiera intensa e profonda. Perché sappiamo pregare nel momento in cui operiamo. |