Omelia (16-08-2009)
don Maurizio Prandi
Il discepolo: colui che sa leggere dentro

La liturgia della Parola ascoltata ci aiuta a fare altri passi importanti nel nostro cammino di discepoli. Un tratto importante e decisivo ci viene offerto dalla prima lettura: il discepolo ha una vocazione ben precisa, quella di fare esperienza. Chi è inesperto venga qui!... Abbandonate l’inesperienza e vivrete, andate diritti per la via dell’intelligenza. E’ uno che legge dentro la sua storia il discepolo, non è uno spiritualista, uno che vive sulla luna. Leggere dentro, per la Bibbia, non è uno sforzo mentale, una conoscenza da studiare ma è partecipare ad un banchetto, assaporare. Nel brano del libro dei Proverbi, è imbandito un banchetto a cui sono invitati tutti gli inesperti. È la Sapienza qui personificata a chiamare gli uomini a nutrirsi e ad abbeverarsi alle sorgenti della saggezza. La Sapienza ha costruito una casa e ha preparato un banchetto. La Sapienza, cioè la manifestazione vitale di Dio, non consiste prima di tutto in un insegnamento, in una parola che si indirizza all’intelligenza. La Sapienza è un incontro: Dio si manifesta a noi perché ci incontra, perché cammina con noi, perché non è mai al di fuori della nostra vita. La Sapienza, Dio stesso quindi, si consegnano a noi attraverso l’immagine della casa e del banchetto.

Il brano di Vangelo ascoltato è sulla stessa lunghezza d’onda. Viene ripetuto da Gesù per otto volte che è necessario mangiare la sua carne e bere il suo sangue. Anche qui allora un banchetto al quale siamo invitati ed una esperienza necessaria per poter dire di essere in comunione con Lui: mangiare. I vangeli di queste domeniche ci parlano dell’Eucaristia. Il vangelo di Giovanni non ha l’istituzione dell’Eucaristia nel contesto dell’ultima cena; al posto dell’istituzione dell’Eucaristia Giovanni ha la lavanda dei piedi, mentre fa il discorso sull’Eucaristia, sul pane di vita qui, al cap. 6, immediatamente dopo la condivisione dei pani. Giovanni, essendo l’ultimo degli evangelisti in ordine cronologico, aveva già intuito che nelle liturgie vi poteva essere una sorta di ritualismo o la tentazione di considerare le liturgie come un’azione magica. Giovanni ha un obiettivo ben preciso allora: vuole opporsi alla ‘spiritualizzazione’ dell’Eucaristia, cioè vuole dirci che non può esserci distacco tra ciò che celebriamo ogni domenica e vita di tutti i giorni. E’ necessario scegliere quindi, e capire che il rito deve informare la vita. Ad esempio nel senso del dimorare, del rimanere. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui... bello questo invito a fare casa con Gesù, bello e impegnativo. Il verbo dimorare è uno dei verbi più importanti del vangelo di Giovanni. Per capirlo bene è necessario sapere (e anche questo è un sapere che nasce dall’esperienza), cosa vuol dire vivere con qualcuno che ci ama e che noi amiamo. E’ la condivisione di tutta la vita. Gesù dimora in noi, e facendoci dimorare in Lui ci rende anzitutto partecipi del suo amore così grande che lo ha portato a fare dono della sua vita fino al sacrificio della croce trogein che vuol dire masticare e mangiare con particolare cura, attenzione, cura per assaporare ogni frammento, cura per non perdere nulla di quello di cui ci nutriamo, cura per leggere dentro quello che mangiamo. Nel commentare questo brano, don Daniele Simonazzi sottolinea come "mangiare e bere" sono azioni che esprimono e realizzano l’accoglienza, realizzano l’assimilazione. "Mangio e bevo", vuole dire: accolgo dentro di me un nutrimento e una bevanda, e li assimilo, e diventano roba mia. Ebbene, "la carne e il sangue di Gesù" contengono la vita, perché sono "sangue e carne per", perché sono state trasformate da un amore che si dona a qualcuno. Quella "carne e sangue" – che sono carne e sangue umano, quindi con tutta la debolezza della condizione umana – in Gesù sono trasformate in amore, e per questo contengono la vita. Se "io mangio e bevo" vuole dire: accolgo dentro di me quella vita trasformata in amore, che è la vita del Signore; accolgo la forma del Signore dentro di me; assimilo la vita del Signore trasformata in amore; accolgo, mi lascio formare dentro secondo la forma della vita di Gesù. Per cui se la vita di Gesù è "una vita per", e io l’accolgo e l’assimilo, il senso è che la mia vita diventi "una vita per". Ed è l’unico senso che si può dare alla parola "assimilare", non posso assimilare una vita come quella di Cristo senza che la mia vita prenda quella forma, senza che la mia vita assuma la logica della vita del Signore.

Che possa essere così per ognuno di noi... desiderare di essere vita donata, spesa, non trattenuta, che possiamo vincere la paura di attraversare quel tratto di strada che separa le panche sulle quali ci sediamo dalla comunione con Gesù eucaristia per poter fare esperienza, leggere dentro, vivere.