Omelia (23-08-2009)
Marco Pedron
Ma da chi vuoi che andiamo, Signore

Questo vangelo è la continuazione di quello di domenica scorsa e conclude il lungo discorso di Gesù sul pane.
In questo lungo discorso Gesù ha detto ai suoi discepoli che bisogna nutrirsi di cose vere, profonde e ha smascherato le ipocrisie dei suoi ascoltatori: "Non basta dirsi credenti... non basta una preghierina... non basta un’opera buona... non basta avere l’intenzione di... non basta proporsi di...". Le pie intenzioni e i buoni propositi non sono sufficienti.
Quante volte ci siamo proposti di fare questo o quello. Ma poi non l’abbiamo fatto. Non ci sono scusanti: vuol dire che non lo volevamo, che non avevamo sufficienti motivi e ragioni profonde. Chi mi vuol seguire deve mangiare la mia carne, deve respirare della mia aria, deve fidarsi del Cielo, deve avere i piedi radicati in terra, deve sentirsi protetto e sicuro nella mani della vita, pur in mezzo a conflitti e difficoltà di ogni tipo e soprattutto deve vincere la paura, ogni paura.
Non è un "deve" che ci obbliga. E’ un "deve" che è una possibilità. L’importante è non prendersi in giro, non dirsi delle cose che non sono vere.
Scuola superiore, due amici: uno studia, si applica, rinuncia qualche volta ad uscire e ce la mette tutta. L’altro, invece, non apre mai i libri, non si applica, non sacrifica mai qualche pomeriggio per le interrogazioni del giorno dopo. A fine anno il primo viene promosso, il secondo no. Allora quest’ultimo dice: "Ma come? Com’è possibile?". Com’è possibile? era ovvio, non diciamoci bugie.
Gesù non costringe nessuno a seguirlo. Dio non costringe i suoi fedeli. Dio non sa che farsene di persone che lo seguono per obbligo, per dovere, per costrizione. Voi vi sposereste una donna che non vi piace, per obbligo (purtroppo questa cosa succede ancora, pensate alla ragazza pakistana morta pochi giorni fa), per dovere? E’ assurdo! E vorreste mai una donna che vi sposa non perché vi ama, non perché vi vuole bene e gli piacete, ma perché è costretta? E come potete pensare di piacere a Dio se lo seguite, se lo frequentate per "dovere", perché così vi è sempre stato insegnato, perché tocca, perché è tradizione? Dio non sa che farsene di gente che non lo ama!
Gesù vuole essere seguito nella libertà e per amore. Nella libertà vuol dire che lo fai perché lo hai scelto tu, perché lo vuoi, perché hai deciso che tu vuoi questa cosa. Nell’amore, nella passione, vuol dire che hai deciso questo perché è l’aria che respiri, il pane che ti sazia e l’acqua che ti disseta; perché senti che la tua vita sarebbe vuota senza di Lui, che hai bisogno del Pane che nutre, della Strada e della Via della verità. Lo segui perché "te ciapa", ti prende l’anima.

I discepoli di fronte alle parole di Gesù rimangono costernati, allibiti, pietrificati: "E’ duro questo linguaggio, chi può intenderlo?". Ma non lo dicono direttamente a Gesù, ne parlano tra di loro.
E’ tipico delle persone mediocri fare così. Se hanno qualcosa da dire, se non sono d’accordo, se c’è qualcosa che a loro non va, non sono chiari, ma rifuggono nella critica, nella maldicenza, nel parlare dietro le spalle. E fanno così perché hanno paura. Perché temono il confronto, temono di non saper sostenere le loro idee e le loro posizioni. E siccome spesso sono solo dicerie, il non confronto è l’unico modo per non rivelare la falsità di ciò che dicono. "Hai qualcosa da dire a Tizio, prendi e vai da Tizio. Hai qualcosa da dire a Caio: prendi e vai da Caio". Solo l’uomo vero dice le cose a chi le deve dire.
Quando critichiamo alle spalle, quando giudichiamo da dietro, è perché siamo ancora quei bambini che temono la mamma. Non siamo ancora cresciuti. Non abbiamo ancora il coraggio di affermare il nostro pensiero e ciò che crediamo. La bocca è davanti perché un altro ti possa rispondere. Se parli alle spalle, queste non ti possono rispondere e vuol dire che hai paura delle risposte.
Criticare è il gesto dell’irresponsabile. Responsabile, respondeo, vuol dire rispondere. Se dici una cosa, devi anche rispondere di ciò che dici. Se non rispondi, sei un’irresponsabile. Altrimenti, è come dire una cosa e poi aggiungere: "Non l’ho mica detta!" (appunto come fanno a volte i bambini). "Ma se l’hai detta tu!".
Una volta, ad un camposcuola c’era un’animatrice che dopo mangiato andava a fumarsi una sigaretta: una sua scelta. Tutti lo sapevamo, ma lei negava. Un giorno, prima che termini il pranzo, lei prende e se ne va. Noi la seguiamo di nascosto ed entriamo all’improvviso in camera spalancando la porta. Lei con gesto repentino mette la sigaretta dentro la lattina di coca-cola. "Stavi fumando", diciamo noi scherzosamente. E lei seria: "No, assolutamente no", e dalla lattina veniva fuori il fumo della sigaretta.
Responsabilità, maturità è rispondere di ciò che si dice e di ciò che si fa. (Se facessimo così, staremmo un po’ più attenti alle tante "cazzate" che diciamo e che feriscono le persone).

Anche i discepoli hanno paura di Gesù. Temono il suo giudizio e non possono dirgli quello che sentono.
Quando temiamo di dire le cose a qualcuno, allora temiamo quella persona. Vuol dire che abbiamo paura di lui. Se non avessimo paura, glielo diremmo in faccia (sempre con la modalità giusta!).
Ai nostri bambini dobbiamo dire che non devono temere di dire quello che pensano di noi, quello che sentono, anche se sono cose che non ci piacciono. "Sono arrabbiato con te!": è giusto, può essere arrabbiato con noi. "Ti odio, mamma!". "A tua mamma queste cose non le devi dire!". E invece sì, perché può essere che in quel momento ci odi. E’ quello che prova. Non vuol dire che non ci ama, ma in quel momento, magari per motivi banali, lui ci odia. Diamogli il permesso di farlo, che non vuol dire che ci debba picchiare, prendere in giro od offendere.
Quando temiamo di dire le cose, siamo ancora i bambini che temono le conseguenze del genitore. Temiamo che se diremo qualcosa, saremo puniti. Quanti di noi, quando ci permettevamo di dissentire, le abbiamo prese!
Siamo in un negozio di scarpe. Madre e figlia di sei anni sono lì per acquistarne un paio. La bambina vede un paio di scarpe verdi e rosse che le piacciono tantissimo. La mamma, invece, ne vuole un altro di più classico. "Mamma voglio quelle!". "No, a te quelle non piacciono!". "Ma sì, dai mamma, voglio quelle! Mi piacciono quelle!". "No, ascolta la mamma: a te quelle non piacciono", e gli compra quelle più classiche. Se è sempre così, questa bambina, un domani, perché dovrà raccontare cos’ha dentro a sua madre? Tanto sa già quello che lei prova!
Un giorno venne a casa nostra mia zia. Mia zia era insopportabile. Parlava, parlava e parlava sempre. Era logorroica e pesante. Secondo me i miei genitori la sopportavano solo perché era una parente (comunque a me non importava perché loro la sopportassero: era un problema loro! Per me era odiosa!). Aveva sempre qualcosa da dire su com’eri vestito, su come dovevi muoverti o su come dovevi giocare. E poi parlava e sparlava di tutti. Avrei fatto di tutto, per non esserci quando veniva. E il problema era che veniva spesso. Ma dove andavo? Ero troppo piccolo. E come non bastasse mia madre mi diceva sempre: "Comportati bene con la zia!" (sapeva che non la sopportavo). Un giorno mia madre, per "farsi bella ai suoi occhi" mi disse: "Marco quanto bene vuoi alla zia!" (la zia mi aveva appena fatto un regalo). E io istintivamente risposi: "Ma neanche un po’!". Ci fu il gelo, ma io dentro ridevo. E’ che quando se ne andò, non ci fu niente da ridere perché le presi di santa ragione: "Non si dicono queste cose alla zia!". Ma era quello che provavo!
"Devi sorridere alla nonna; devi essere felice del regalo che ti ho fatto!; ti deve stare simpatico il tuo cuginetto": come se i bambini non avessero i loro gusti. Se non gli sta simpatico il cuginetto o la zia, avrà i suoi buoni motivi, rispettiamolo.
Quando insegniamo ai bambini che cosa devono provare e che cosa no, stiamo insegnando a loro la falsità. Stiamo dicendo loro che alcune cose che sentono non si devono provare, che sono sbagliate, che non le devono neppure sentire. Ma se le sentono, come potranno avere fiducia in sé? Come potranno credere nelle loro potenzialità in futuro? Non potranno far altro che essere pieni di dubbi, timori e chiedere a destra e a sinistra conferme. C’è stato insegnato così tanto che non dovevamo dire quello che veramente avevamo dentro, che adesso molti di noi non riescono neppure più ad ascoltarsi. Non sanno neppure più cosa provano.

Gesù coglie le loro mormorazioni e coglie la loro difficoltà. Alcuni dei suoi discepoli, infatti, dicevano: "E’ troppo esigente Gesù, ci chiede troppo". Altri dicevano: "Se è così, noi ce ne andiamo".
Molte persone adducono motivi banali sul perché lasciano la fede e la chiesa. Dicono che la chiesa dovrebbe cambiare, che anche nella chiesa ci sono "le mele marce" (il che è vero come in tutti gli ambienti), che loro hanno la "loro" religione, che non per questo vuol dire che non siano cristiani, ecc.
Ma il motivo vero è che Gesù è esigente. Il motivo vero è che non vogliono mettersi in gioco e che seguire Gesù non è come andare al cinema. Quando vai al cinema, vedi un bello spettacolo, ti diverti, mangi pop corn, bevi coca-cola e poi te ne ritorni a casa. Ti fai una bella dormita e il giorno dopo torni a fare le tue cose e ti puoi dimenticare tranquillamente del film. No, seguire Gesù è come avere un figlio: è meraviglioso, è la gioia più grande che ti può capitare, dà senso alle tue giornate e ti riempie di vita. Ma te ne devi occupare, lo devi nutrire, te ne devi prendere cura. Perché se lo lasci lì, muore. Avere un figlio è una scelta (dovrebbe!). Non è come andare a fare shopping.
Seguire Gesù è una scelta che ha le sue conseguenze. Non puoi dire: "Sì voglio un figlio" e non rinunciare a niente: "Voglio anche tutti i week-end liberi per andare a sciare, e uscire con gli amici la sera, e avere silenzio in casa". Se vuoi seguire Gesù, devi dire sì a certe cose e no ad altre.

"Questo linguaggio è duro: chi può intenderlo", viverlo, farlo proprio?
Evidentemente Gesù non poteva essere più duro di così; evidentemente aveva superato ogni limite di sopportazione. Qui gli dicono: "Chi ti può seguire Gesù, se è così come dici tu?".
Gesù era un uomo così duro da togliere il fiato. Gesù non faceva sconti o saldi a nessuno. D’altronde la vita non ne fa. Tutti i nodi arrivano al pettine e la vita ti dà in base a quanto tu ti giochi.
Gesù ti mette di fronte alle tue responsabilità. Ti dice: "Tuo figlio è come te; lo hai educato tu". "Ma io veramente... e poi mio marito...". "Potevi farti aiutare; potevi chiedere aiuto; lo hai educato tu". Non ci piace questa verità, "dura" ma è la verità. E se la accettiamo, diventa salvezza per noi e per mio figlio.
Gesù ti dice: "La tua vita è come l’hai voluta tu". "Ma no Signore. Guarda che compagno che ho avuto?". "Te lo sei scelto; potevi farti aiutare; potevi chiedere aiuto; potevi lasciarlo; potevi scegliere. Invece hai deciso di rimanerci insieme e di lasciare tutto lì, senza toccare nulla". Gesù ti costringe a scegliere: "Devi fare la tua scelta. O di qua o di là. Se non scegli, scegli di rimanere fermo".
Molte persone dicono: "Quando vengo in chiesa mi "incasino". Mi fai pensare, mi metti in crisi, fai venire fuori cose che neppure pensavo di avere; mi metti in difficoltà". Vuoi o non vuoi conoscerti? Avete mai visto le bottiglie di plastica nel fiume? Dove vanno? Dove va la corrente. Ecco, molte persone sono così: non hanno mai scelto per cosa vivere, per quali valori o per quale strada. Vanno, si lasciano trasportare.
Gesù era un uomo risoluto: "Se non lasci tuo padre e tua madre, non mi puoi seguire". "Se ti volti indietro e ti attacchi al passato, a quanto bello era una volta, a come si stava bene prima, a com’era bello quand’eri piccolo (chissà perché il passato è sempre più bello del presente: idealizzazione?), non mi puoi seguire!". "Se ami ma sei geloso o se ami ma possiedi, non mi puoi seguire".
Stavo parlando con un uomo e gli dicevo che forse il suo comportamento era segno di gelosia.
E lui: "No, padre, io non sono affatto geloso, ma voglio che mia moglie veda solo me".
E che non era gelosa!
A volte Gesù appariva minaccioso, severo, tanto che le persone lo temevano. D’altronde la vita è così: in certi momenti ci richiede decisione, fermezza, durezza, fedeltà alle nostre scelte.
"Se ti comporti così, perdi tuo figlio; se non smetti di bere muori; se non ti apri con nessuno rimarrai da solo; se non lasci tua madre ti prosciugherà l’anima; se non glielo dici vivrai una vita di falsità; adesso devi scegliere, non si può più rimandare; devi farlo, anche se ti sembra di morire tanto è doloroso" ecc.. sono frasi severe, "cattive", dure. Ma la vita è anche questo. Per questo molte persone temono Gesù, perché Gesù non te le manda mica a dire.
Questo discorso Gesù lo fa in una sinagoga (5,59). Chi vi partecipava era certamente religioso. Molti di loro se ne vanno. E Gesù non li ferma. Gesù non è affatto preoccupato da quanta gente lo segue. Gesù non vuole folle di discepoli, vuole amanti della vita e dello spirito.
Si diceva che il maestro orientale Lin Chi avesse cento, forse duecento mila monaci. Un giorno un giornalista gli chiese: "I vostri monasteri sono pieni di monaci. Quanti saranno più o meno in tutto i vostri monaci?". E lui rispose: "Quattro o cinque".
Gesù con dodici persone (undici perché uno lo tradì) cambiò il mondo. La preoccupazione per il numero è segno della nostra sete di potere, di essere importanti, di essere riconosciuti". Guarda quanta gente! Guarda, quanti ne abbiamo". Non siate troppo preoccupati dal numero, non è affare vostro; siate preoccupati che le vostre parole e la vostra vita siano spirito e vita.
Gesù non dice a chi se ne andava: "Ma perché te ne vai? Cos’ho detto che ti ha fatto male? Non andare, ti prego!". Gesù non li ferma perché non vuole sudditi, marionette. Gesù vuole uomini liberi. Se rimangono, rimangono perché lo vogliono e ci credono.
Nessuno doveva rimanere con Lui per paura o senso di colpa o del dovere. La paura trasforma l’obbedienza in schiavitù. L’amore trasforma l’obbedienza in libertà.
C’era un uomo matto che si credeva un topo. Quando vedeva un gatto impazziva dalla paura e terrorizzato, urlava, correva e si nascondeva. Dopo un lungo ricovero e una lunga cura dallo psichiatra, si rese conto che lui non era un topo ma un uomo e che non c’era motivo di aver paura dei gatti. Così lo psichiatra lo riportò a casa. Sembrava veramente guarito. Ma ecco che, casualmente, attraversa il suo giardino un gatto. L’uomo corre, urla ed è terrorizzato. Allora lo psichiatra gli dice: "Ma tu non sei più un topo, sei un uomo!". "Sì io lo so, ma è il gatto che non lo sa!".
Un giocatore incallito disse al maestro: "Ieri ero su al secondo piano del casinò e stavo giocando a carte. Mi hanno sorpreso mentre baravo e mi hanno buttato giù dalla finestra. Che cosa mi consiglieresti di fare?". Il maestro lo fissò e gli disse: "Se fossi al tuo posto, d’ora in poi cercherei di giocare al pianterreno". Questa risposta lasciò esterrefatti i discepoli del maestro: "Perché non gli hai detto di smettere di giocare?". "Perché sapevo che non l’avrebbe fatto".
Per quanto meravigliose fossero le parole di Gesù, se uno non cambiava dentro non serviva a niente. Gesù sapeva che le sue parole non potevano cambiare molte persone. Gesù sapeva che molte persone consideravano troppo elevato il costo della libertà. Ma voleva che quelli che stavano con Lui fossero davvero liberi nel cuore, nella mente e nell’anima.
E’ la domanda che pone anche a me: "Vuoi andartene anche tu? Se vuoi, vai, io non ti costringo, io non mi arrabbio, io non me la prendo. Se rimani, rimani per tua scelta e tua convinzione. Se vuoi andare, vai!".

Poi Gesù si rivolge direttamente agli apostoli: "Volete andarvene anche voi?". Gli apostoli erano la sua casa, i suoi amici, "il partner" di Gesù. Ma Gesù non si attacca a loro, vuole un rapporto libero, vero. Chi di noi ha questo coraggio: "Sei libero di rimanere e di andartene". Chi di noi può dire così a chi ama? Gesù non costrinse mai nessuno a fare niente. Non utilizzò nessuna strategia per tenere i suoi discepoli: i sensi di colpa, il suo fascino, il suo potere, la manipolazione, l’adulazione, ecc.
C’è un uomo molto ricco che diceva a sua moglie: "Se te ne vai, perdi tutto". E un altro che diceva a suo figlio: "Tu fa’ quello che vuoi, ma ricordati che poi torni qui" (cioè: "Se non fai come dico io non torni affatto qui"). E una donna a suo figlio: "Se ti sposi quella lì, mi farai morire".

Allora interviene Pietro: "Ma Signore da chi vuoi che andiamo? Dove altro troveremo quello che ci dai tu?".
L’economia ci può dare i soldi e il benessere, ma non ci può dare la felicità dell’anima, la sensazione di essere vivi, la passione e la vitalità. "Ma da chi vuoi che andiamo, Signore?".
La giustizia e la magistratura ci possono dare sentenze, ma solo tu sai cosa c’è nel cuore dell’uomo. Solo tu conosci la vera giustizia e la verità. "Ma da chi vuoi che andiamo, Signore?".
Il matrimonio mi può dare amore e affetto, gioia e unione, ma nessun amore può spegnere la mia sete e la mia ricerca infinita d’amore, d’approvazione. Solo tu mi puoi amare di un amore incondizionato.
Lo psicologo (insieme a me ovviamente!) può curare le mie relazioni e suturare certe ferite. Ma poi, altri dolori e altri dispiaceri si accumulano nel mio cuore. Dove vuoi che vada? Chi mi può ascoltare sempre? Chi accoglie in ogni istante le mie lacrime? Chi c’è sempre?
Quando sbaglio, quando combino delle "cazzate" terribili, da chi posso andare? Chi mi può dire: "Io ti perdono, va’ in pace, tutto è cancellato e ricomincia da uomo nuovo"?
Quando "scantono", quando mi dico bugie perché non ho "balle" di affrontare certe difficoltà, Tu mi riporti a me, Tu fai in modo che le situazioni mi costringano a farlo. Per fortuna che ci sei Tu!
Un uomo tanti anni fa ha abusato di sua figlia. Poi ha fatto diversi cammini e oggi è molto cambiato, tanto da esser una persona totalmente diversa da quella di ieri. Ma ciò che ha fatto rimane. Ciò che ha fatto non si può più cancellare. Adesso si rende conto del dramma che ha commesso. Dice: "Chi mi può perdonare? Mia moglie? Mia figlia? Lei, padre, mi perdonerebbe?". In effetti, sentendo quello che mi raccontava, mi sarebbe venuto da tirargli un pugno in faccia! Chi lo può perdonare? Chi può ridargli vita? Solo Tu! Solo Tu puoi dirgli: "Quello che hai fatto è stato grave, molto grave. Però adesso basta, io ti perdono e tu va’ in pace. Io ti sciolgo, ti libero da tutto questo". Solo Tu puoi far tornare a vivere chi, dopo fatti così, era morto, ucciso e oppresso dai sensi di colpa.
Chi mi può dire: "Va bene così", così che io possa sentirmi a casa, anche se non sono perfetto.
Chi mi può dire: "Ci sono io", così che io mi possa sentire accompagnato, quando non so dove andare.
Chi mi può dire: "Non aver paura", quando io sono paralizzato e terrorizzato dal muovermi.
Solo Tu, Signore. Ma da chi vuoi che andiamo, Signore? Solo Tu hai parole di vita eterna.


Pensiero della Settimana


Accetta ciò che non puoi cambiare,
ma perché sopportare ciò che puoi cambiare?