Omelia (23-08-2009)
mons. Roberto Brunelli
Da chi andremo ?

"Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue...", "Colui che mangia me..." Queste e simili espressioni, usate da Gesù, come abbiamo sentito le scorse domeniche, nel discorso di Cafarnao relativo all’Eucaristia, non possono lasciare indifferenti. Sono parole così "pesanti", che inevitabilmente suscitano una reazione decisa, una risposta lontana da ogni incertezza o ambiguità: o le si rifiuta in blocco, o ci si basa la vita. E’ interessante allora sapere come hanno reagito quanti hanno ascoltato quelle parole direttamente da chi le ha pronunciate.
"Molti dei suoi discepoli dissero: Da quel momento tornarono indietro e non andavano più con lui". Per chiunque si offra al bene del prossimo, vedersi rifiutato, pubblicamente, dev’essere un’esperienza frustrante, tale da indurre a ritirarsi nell’amarezza della solitudine. Se invece dietro l’offerta c’è un calcolo, un tornaconto personale, l’interessato prova a non demordere, tentando più facili approcci. Invece Gesù, di fronte al rifiuto, non adottò né l’uno né l’altro di questi comportamenti. Lo sappiamo bene; egli non si ritirò di certo, non abbandonò il suo impegno; ma neppure scese a compromessi. Diversamente da come avrebbe fatto un imbonitore in cerca di seguaci, di popolarità, di successo, egli non fece nulla per trattenere quei suoi ormai ex discepoli, non si mise a spiegare, ad attenuare, ad ammorbidire le precedenti dichiarazioni. Anzi, si volse agli apostoli e con un atteggiamento quasi provocatorio chiese loro: "Volete andarvene anche voi?" Come dire: la verità è quella che è; prendere o lasciare. Di qui la responsabilità, il dramma di dover scegliere: con lui, o senza di lui? A quella domanda rispose per tutti Pietro, con parole che basterebbero ad assicurargli la nostra eterna riconoscenza: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna!"
Sono molti coloro che, più o meno scopertamente, cercano seguaci: uomini politici, filosofi, opinionisti della televisione o della stampa, i tanti che tramite la televisione o la stampa vogliono farsi applaudire. Ancor più numerosi sono quanti hanno il potere di incidere sugli altri: o perché (insegnanti e giornalisti, ad esempio) hanno credito, o perché sanno abilmente sfruttare le umane debolezze, vendendo a una marea di illusi tanti surrogati di felicità. Ma di tali "maestri" un occhio appena appena attento scopre presto i limiti, quando malgrado i cosmetici e la palestra la giovinezza sfiorisce, quando si trova a lottare contro la malattia o il portafogli vuoto, quando – molti ricorderanno il secolo da poco concluso – miti che parevano invincibili li vede crollare come castelli di carte. E anche i discorsi dei migliori, che propongono cose in sé belle e buone, presentano un limite di fondo: valgono solo per questa vita; sul "poi", sono tutti degli sprovveduti.
Tu, dice Pietro, tu solo hai parole di vita eterna. Questo mondo, la nostra stessa esistenza, sono pieni di oscurità, di dubbi, di misteri, e più si indaga, più il buio sembra farsi fitto, perché mentre la scienza scopre sempre cose nuove, sulle ragioni di fondo della nostra vita le indagini, con le sole nostre forze, non approdano a nulla di convincente: proposte, inerpretazioni talora in contrasto tra loro, sempre opinabili e in ogni caso relative solo al buio in cui siamo immersi. Per non smarrirsi, per non finire nel baratro, occorre una luce, "la" luce. Dove trovarla? Da chi andremo? La risposta, il cristiano la conosce: colui che a Cafarnao si è presentato come il Pane della vita, in un’altra occasione ha anche assicurato: "Io sono la luce del mondo".