Omelia (23-08-2009) |
mons. Antonio Riboldi |
Signore, da chi andremo? Se c'è un atteggiamento che urta nei nostri rapporti quotidiani, dalla famiglia agli amici, alla politica, è la mancanza di chiarezza nel dialogo, soprattutto quando questo chiama a scelte di vita, che non ammettono ambiguità o silenzi o incomprensioni. A volte nel proporci qualche cosa, si ricorre a giri di parole, che alla fine sanno solo di compromessi pericolosi, fino a togliere credibilità e bontà. Non è così per Gesù e non potrebbe esserlo per Lui, che è la Verità che si comunica a noi uomini, che abbiamo sete di verità, anche se fanno male, perché non è concepibile una vita basata sulla menzogna o sulla ignoranza. Nel Suo rapporto di divina amicizia con noi - un'amicizia che è fondamento di salvezza - Gesù parla con la lucidità della verità, senza alcun velo, in modo che il nostro 'sì' o 'no' sia totale: non vi sia insomma nessuna scusante per un 'ni', impossibile e assurdo in un rapporto fondato sulla vera amicizia. Quando si parla 'senza dannosi velì, ci si può trovare di fronte ad un 'discorso durò, cosa che capita anche tra di noi, quando la carità sí fa dono a chi si ama o a chi si vede fuori strada. Facile, ma ingannevole, parlarsi senza dire niente: è come mettere un grande sipario che nasconda il reale teatro interiore della nostra vita. D'altra parte un 'parlare chiarò esige sempre sincero amore alla verità, spirito di umiltà e carità. A volte stare zitti, per non avere fastidi o rifiuti o peggio, è come recitare la parte del 'sacerdote', raccontata da Gesù nella parabola del buon Samaritano, che 'vede' il semivivo abbandonato sulla via dai ladri e 'passa oltre'. Quanti fratelli e sorelle potremmo 'salvare' solo se avessimo il coraggio, tutti, di usare il linguaggio della verità nella carità. Ma si preferisce non avere fastidi e così si tessono conoscenze, o cosiddette amicizie, fasulle, fondate sul vuoto del mancato dialogo. Nel Vangelo di oggi, continuando il discorso sulla Eucaristia, Gesù fa esperienza dell'incomprensione e del rifiuto. Gesù aveva offerto il massimo dell'amore: 'farsi pané della nostra vita, farsi mangiare perché potessimo assaporare la forza, la bellezza di una vita, sapendosi amati al punto che il nostro Dio si fa nostra carne. Poteva dare di più, Dio, a noi uomini, che siamo assetati non di parole o gesti banali, ma dell'Amore totale ed assoluto? Quell'amore che entra nelle ossa e diventa gioia di vivere, se è vero, com'è vero che il 'pané di cui tutti abbiamo bisogno è l'amore? È già grande gioia quando sperimentiamo l'amore sincero di una persona cara. Cosa dire, poi, se questo Amore, che ci si offre, è la Vita, la Carne e il Sangue di Dio stesso? Quanti accorrevano in folla a Gesù, certamente erano attratti dalla sua divina personalità: uno che era diverso, venuto direttamente dal Cielo e non un povero uomo come noi, che abbiamo poco da offrire, anche quando amiamo. Gesù si imponeva per l'autorevolezza della Sua Parola e la testimonianza continua della sua carità, a differenza degli uomini del suo tempo - e anche del nostro -. Un'autorevolezza che sgorgava dal suo 'essere' la Verità, di cui tutti abbiamo sete. Era un punto di riferimento - diremmo noi - o, se vogliamo, una fonte di speranza, per tanti, troppi, che sguazzavano nella disperazione... come oggi. È impressionante, leggendo il Vangelo, vedere come le folle Lo cercassero e, per trovarlo, venissero da ogni parte, mettendolo al centro della vita, fino a togliergli il tempo per mangiare o dormire. E a queste folle 'affamate di amore', Gesù dava sempre una risposta di speranza e di fiducia, con l'annuncio della Buona Novella, racchiuso in poche certezze: 'Dio, il Padre, vi vuole bene, un bene così grande da mettere in gioco la vita del Figlio prediletto, fino a consumarla totalmente con la crocifissione e la morte, per poter farvi partecipare della Sua Vita, nella resurrezioné. E Gesù non esitava a moltiplicare í segni della carità del Padre nei miracoli, guarendo ogni tipo di malattia, moltiplicando i pani, risuscitando persino i morti, creando attorno al Suo Vangelo-Annuncio un'atmosfera di concreto amore. Un'atmosfera che le folle respiravano a pieni polmoni, fino a farsi coinvolgere totalmente, lasciando tutto pur di stargli vicino. Ma se era facile entrare in un amore che nutriva il corpo, ossia era fatto di segni diretti a questa nostra vita tribolata dalla fame, dalla sete, dalla malattia, non era altrettanto facile farsi coinvolgere ed entrare in un amore che interpellava il cuore, le scelte della vita. Così, quando, dopo la moltiplicazione dei pani, passa bruscamente all'offerta del Pane della vita, ossia del Suo Corpo e del Suo Sangue, la mente delle folle si confonde....come la nostra! "In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue non avrete in voi la vita eterna....Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui". (Gv. 6, 51-59) E' quanto ancora oggi Gesù offre a noi nell'Eucarestia e noi riceviamo nella Santa Comunione. Parole che davvero suscitano immenso stupore in chi davvero crede e fanno dire: 'Davvero Gesù con il suo Corpo, la Sua Vita, viene a me e si fa mia vita?'. Un dono che dovrebbe far sussultare di gioia chi crede: 'Signore, dammi sempre questo pane!' Ma è davvero così? Se onestamente riflettiamo sulla nostra fede e quanta parte nella nostra vita abbia la Santa Comunione, ci accorgiamo di essere davvero 'uomini di poca fede'. A volte io stesso mi stupisco come la Chiesa, un tempo e oggi, ricordi a noi questo grande Dono, chiedendoci di riceverlo 'almeno una volta a Pasqua?! Quando tutti sappiamo, o dovremmo saperlo, che si può fare a meno qualche giorno del pane della terra, ma è difficile fare a meno del Pane del Cielo, che è il segreto della gioia interiore e la forza di vivere, soprattutto nelle difficoltà. L'esperienza mi dice che altro è vivere ogni giorno del Pane del Cielo, altro è vivere soli con le nostre debolezze. Di fronte a tanto amore mi viene da mettermi nel Cuore di Gesù e vivere la grande amarezza del rifiuto. Cosa poteva dare dí più? Questa amarezza è il Vangelo di oggi: "In quel tempo, molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: 'Questo linguaggio è duro: chi potrà intenderlo?: Gesù, conoscendo dentro di sé che i suoi discepoli proprio di questo mormoravano, disse loro: 'Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dove era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho detto sono spirito e vita. Ma vi sono alcuni tra di voi che non credono'. Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con Lui. Disse allora Gesù ai Dodici: 'Forse anche voi volete andarvene?. Gli rispose Simon Pietro: 'Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna, noi abbiamo creduto e conosciuto che Tu sei il Santo di Dio'." (Gv. 6, 61-70) C'è tanta tristezza nelle parole del Maestro: e come non provarla nel vedersi incompreso proprio nel memento in cui offre l'incredibile, non un amore superficiale, ma il Pane della vita, Se stesso. Sembra impossibile che tanta gente, che gli era stata vicina per tanto tempo, aveva riposto in Lui ogni speranza, fino a seguirlo da vicino, aveva assaporato il gusto stupendo della Sua amicizia, che era il dono di Sé, abbia poi fatto marcia indietro, abbandonandolo per sempre. Viene da chiederci – è una domanda che ciascuno di noi deve avere il coraggio di rivolgersi personalmente -: Perché avevano, abbiamo, seguito Gesù? Cosa speravano, speriamo, da Lui? Chi era Gesù per loro, per noi? Sono domande che sorgono spontanee anche oggi, di fronte alle statistiche, secondo le quali tanti fratelli nella fede, senza una ragione plausibile, dall'oggi al domani, lasciano Gesù, svuotando così le nostre assemblee liturgiche. Uno staccarsi che è forse 'delusioné, perché nel rapporto con Dio non hanno ottenuto ciò che chiedevano di materiale? Uno staccarsi che è 'scontento', per non essere riusciti a cambiare la natura del Cuore di Dio, piegandolo ai capricci di questa vita terrena, che non porta da nessuna parte? Uno staccarsi che è la 'pretesa' di sapere cosa è meglio per noi e l'incapacità di mettersi in 'sintonia' con Dio, affidandosi a Lui, credendo che solo Lui, davvero, conosce quale sia il nostro vero bene? Gesù non richiama chi se ne va e Gli volta le spalle. Non può compiacere l'uomo con dannosi compromessi, sarebbe tradirlo: l'amore è anzitutto fedeltà al bene. Si chiude nel suo silenzio, pieno forse di tristezza, ma non per Sé, ma per chi si allontana, rischiando di diventare presto una... 'pecorella smarrità! Si volge poi a coloro che sono rimasti e hanno bisogno di essere confermati nella loro scelta. 'Volete andarvene anche voi?'. à pronta la risposta di Pietro: 'Da chi andremo?' Deve diventare la nostra risposta convinta ed appassionata. La Chiesa, come a confermare che la risposta di Pietro dovrebbe essere la nostra, ci offre un brano di Giosuè: "Giosuè radunò tutte le tribù di Israele in Sichem e convocò gli Anziani d'Israele, i capi, i giudici e gli scribi del popolo che si presentarono davanti a Dio. Giosuè disse a tutto il popolo: 'Se vi dispiace di servire il Signore, scegliete oggi chi volete servire: se gli dei che i vostri padri servirono oltre il fiume oppure gli dèi degli Amorrei, nel paese dei quali abitate. Quanto a me e alla mia casa, vogliamo servire il Signore'. Allora il popolo rispose e disse: 'Ungi da noi l'abbandonare il Signore per servire altri dèi! Poiché il Signore nostro Dio ha fatto uscire noi e i padri nostri dal paese d'Egitto, dalla condizione servile, ha compiuto questi grandi miracoli davanti ai nostri occhi e ci ha protetti per tutto il viaggio che abbiamo fatto e in mezzo a tutti i popoli fra i quali siamo passati. Perciò anche noi vogliamo servire il Signore, perché Egli è il nostro Dio. (Giosuè 24, 1-18) Oggi il Signore chiede anche a noi se vogliamo andarcene o accogliere il Suo Dono? Qual è la risposta? |