Omelia (30-08-2009) |
don Mario Campisi |
Vacuità dell'apparire Sin dall’inizio della vita pubblica Gesù afferma che la legge e i profeti non devono essere aboliti, anzi portati a compimento, ma ricollegandosi proprio ad essi egli ingaggia una lotta serrata col fariseismo. Il formalismo religioso è un atteggiamento che non riguarda solo il passato, ma costituisce una tentazione risorgente e forte anche ai tempi nostri. Si può degenerare anche oggi nel legalismo e nell’esteriorità, vivere un cristianesimo periferico, tendente a obbedire passivamente a norme sclerotizzate, e non dare una risposta personale e responsabile alla chiamata di Dio e alle invocazioni dei fratelli bisognosi. Si può diventare farisei quando più che ad «essere» si pensa ad «apparire». Cadono sotto queste tentazioni le resistenze al rinnovamento conciliare, al sano aggiornamento ecclesiale, liturgico e pastorale. Una fedeltà a ogni vacua forma di tradizionalismo vanifica il rinnovamento, sterilizza la fede, rende infeconda la spiritualità. La fedeltà allo Spirito, invece, è dinamica e porta all’autentica conquista interiore e missionaria nella Chiesa. Riflettiamo sull’atteggiamento della folla che seguiva Gesù nell’itinerario della sua vita pubblica. Essa ascoltava il discorso della montagna, percepiva in forma complessa il fenomeno religioso, ma non penetrava sino al centro del mistero, rimaneva alla superficie della dottrina. La folla ascoltava la parola, ma si interessava di più alle guarigioni, ai miracoli, specialmente alla moltiplicazione dei pani e dei pesci per calmare la fame, ma era refrattaria ad accogliere il mistero di un «pane che scende dal cielo» e placa le esigenze dello spirito. Era una folla religiosa. E il tentativo di Gesù, prima con gli apostoli e poi col popolo, consisteva nello sforzo di portare la folla da livello della religiosità naturale a quello della fede. E’ questo lo sforzo richiesto pure alla Chiesa di oggi. Condurre la folla dalla sfera dello spettacolo religioso alla riflessione religiosa, dall’ammirazione per il sacro al coinvolgimento del sacro nella vita: dalla religiosità alla fede. Anche oggi la folla si entusiasma di fronte ad un Gesù di Nazaret dello Zeffirelli; si commuove di fronte alle apparizioni vere o presunte della Madonna; si mobilita per vedere e acclamare il Papa; si strugge di passione per i pellegrinaggi-gita; ritiene suo dovere seguire la processione del santo protettore o di un santo specialista nelle guarigioni o nel risolvere i casi difficili; magari va a messa ed accetta i sacramenti della Chiesa; non manca mai quando si tratta di una cerimonia religiosa rumorosa. E’ folla religiosa. Ma tutto questo basta? No. La fede, quella vera, autentica, voluta da Cristo, è di qualità diversa e superiore. La fede ci spinge ad una attenta e rigorosa analisi della nostra vita; esige una penetrazione profonda dei nostri comportamenti; stana i nascondigli più riposti del cuore; strappa le bende delle piaghe umane; toglie la maschera dell’insincerità; denuncia in maniera forte i pensieri e i desideri più torbidi; scrolla le fallaci sicurezze culturali e sociali; promuove il risveglio delle coscienze; pretende impegni concreti; opera la giustizia non violenta; fa ascoltare il gemito dell’insicuro «Da chi andremo?»; fa ripetere nella speranza «Tu solo hai parole di vita eterna». La fede non è l’oppio, ma lo stimolo, il fermento della vita dell’uomo. |