Omelia (30-08-2009) |
mons. Roberto Brunelli |
Le labbra e il cuore La legge di Dio: questo è il tema che accomuna le letture di oggi. Nella prima (Deuteronomio 4,1-8), costituita da un brano dei discorsi attribuiti a Mosè, egli che aveva trasmesso la legge divina al popolo d’Israele gli raccomanda di mantenerla intatta, senza aggiungervi né togliervi nulla, perché è costituita da norme giuste, e osservarle è segno e fonte di saggezza. Il salmo scelto a commento della prima lettura è il 14, in cui tra l’altro si dice che chi osserva i precetti divini "abiterà nella tenda" di Dio, "resterà saldo per sempre": avrà insomma la vita eterna. Per una fortuita combinazione anche la seconda lettura, di solito tematicamente sganciata dalle altre, oggi parla dello stesso argomento: "Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza. Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi" (Lettera di Giacomo 1,21-22). Le leggi, e a maggior ragione la Legge suprema, non esistono per fare bella figura in un Codice, o per dimostrare l’acume di chi le ha formulate, o per essere studiate e discusse, ma perché si traducano nella vita: parole chiarissime, che non richiedono commento. Un chiarimento invece è utile a capire il passo evangelico, che riporta una delle controversie di Gesù con i suoi avversari, i quali non perdevano occasione per cercare di metterlo in difficoltà. Era accaduto, nel popolo ebraico, che i "sapienti" studiosi della Legge l’avevano corredata di norme pratiche, tanto discutibili quanto numerose e minuziose, sino a diventare soffocanti e far perdere di vista la ragione stessa per cui dovevano essere osservate. Un esempio è dato proprio dall’episodio del brano odierno: era prescritto di mantenersi puri davanti a Dio, e allora "i farisei e tutti i giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti". La pulizia è buona cosa, naturalmente, purché non diventi una mania, un’ossessione, e soprattutto non si creda che basti per essere "puliti dentro", cioè agli occhi di Dio. Per questo, quando alcuni scribi e farisei rimproverano a Gesù di non impedire ai suoi discepoli di prendere cibo senza prima essersi lavati le mani, egli dà loro degli ipocriti, preoccupati delle apparenze e non della sostanza, e applica a loro un severo monito del profeta Isaia: "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini". Anche tra i cristiani si corre un simile rischio. In duemila anni si sono introdotte nella vita cristiana usanze e tradizioni di cui non c’è traccia nel vangelo, e può accadere di perdere di vista quest’ultimo, credendosi a posto solo perché si osservano appunto quelle usanze e tradizioni. E’ importante allora ricordare che tra i compiti della Chiesa è anche quello di vigilare e vagliare, di distinguere tra gli insegnamenti di Dio e quelli introdotti dagli uomini; tra questi ultimi, poi, segnalare quelli pseudo-religiosi che in realtà allontanano da Dio perché gli sono contrari o estranei (si pensi alle eresie, o a tante presunte apparizioni della Madonna) e richiamare quelli positivi (ad esempio il rosario, i pellegrinaggi) alla loro finalità, che è quella di portare a Dio o sostenere la vita con lui e per lui. Occorre stare attenti a non credersi "a posto" solo con l’osservanza esteriore dei riti e delle usanze: formule vuote, se non esprimono l’adesione della mente e del cuore. |