Omelia (30-08-2009) |
padre Antonio Rungi |
La religione dell'apparenza e la religione del cuore Celebriamo oggi la XXII domenica del tempo ordinario e nel Vangelo di Marco c’è un discorso molto severo di Cristo nei confronti del popolo di Israele e in particolare verso quanti onorano Dio solo con le labbra, ma non si lasciano prendere dal cuore, cioè dalla profondità della fede e della religione. Tanto è vero che Gesù condanna apertamente quanti tra i suoi conterranei e contemporanei sono molto attenti all’osservanza esterna della legge di Dio e trascurano invece comandamenti molto più importanti, quali la carità, la giustizia, la verità. Esemplari di una religiosità fatta solo di riti, di prescrizioni, di pura osservanza esteriore sono i farisei, ben conosciuti per il loro modo di agire ligio alle norme esteriori, ma pochi inclini all’amore, alla misericordia. Sono passati alla storia del pensiero cristiano e laico come coloro che salvano la faccia, ma nel privato, nella vita profonda del loro essere sono incapaci di gesti di bontà, misericordia, perdono. Non bisogna andare ai tempi di Gesù per ritrovare, in modo accentuato, oggi, le stesse categorie di persone che, in ogni ambito, compreso quello religioso, tendono solo a salvaguardare la faccia, a dare un’immagine perfetta di se stessi a livello esterno, ma che poi non sono capaci di riflettere nel cuore i valori e le cose che davvero contano davanti a Dio e ai fratelli. Il Vangelo di oggi ci impone una severa rilettura del nostro modo di credere, del nostro modo di esprimere e manifestare la fede, molte volte solo esteriorità, apparenze, manifestazioni, liturgie svuotate dalla consapevole e sentita partecipazione alla vita della grazia. Una mentalità che affiora sempre più in un uso occasionale della fede, tipo usa e getta, tanto da fare determinate cose religiose (vedi i sacramenti dell’iniziazione cristiana e lo stesso matrimonio) solo per tradizione, solo perché si è fatto sempre così, senza capire a volte l’importanza della scelta che si sta facendo davanti a Dio. I tanti battezzati dove sono? I tanti bambini che hanno ricevuto e rivedono ogni anno la santa comunione, dove sono nelle nostre comunità parrocchiali? I tantissimi giovani che hanno ricevuto il sacramento della cresima, dove vanno, quale itinerario continuano a fare dopo questo sacramento? Le famiglie cristiane fondate sul sacramento del matrimonio dove sono più, quali risposte danno alla cultura della dissacrazione della famiglia e della sua repentina distruzione? E tanti altri temi sensibili a livello religioso: come la preghiera, la partecipazione alla messa, alla confessione, alla vita della comunità ecclesiale, alle opere di bene, alla condivisione e alla solidarietà. Ecco c’è davvero molto da pensare e riflettere su questo brano della parola di Dio di oggi. Cristo ci invita ad un cambiamento radicale di marcia e di direzione ci invita ad una seria conversione del nostro cuore e della nostra vita. Non possiamo non fare attenzione a quanto troviamo scritto qui dentro, per la nostra personale santificazione e per la salvezza dell’umanità intera. Queste sono parole sante e santificanti. Sta a noi recepirle e metterle in pratica, eliminando tutto il male che sta nel nostro cuore e nella nostra vita. Sono dodici le parole che sono citate in questo testo e che indicano la depravazione morale in cui viene a trovarsi l’uomo quando agisce solo per fini indegni: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Vedo in questo numero dodici in negativo quello che può essere l’imperfezione totale, rispetto al numero 12 in positivo che viene indicato nella storia e nei simboli dell’antico e nuovo popolo d’Israele. San Giacomo nel brano della seconda lettura di oggi ci riporta alla nostra responsabilità diretta che abbiamo rispetto all’accoglienza della parola di Dio e della sua pratica attuazione. Non possano essere tra quelli che ascolano solo, ma è necessario collocarsi tra quelli che operano in ragione e in risposta della parola ascoltata e meditata. I cristiani delle pie intenzioni ce ne sono tanti, quelli che alle pie intenzioni fanno corrispondere sante azioni ce ne sono pochi. Ecco perché la crisi di fede oggi non è più strisciante, marginale, ma evidente e consistente. Una riposta concreta la troviamo in questo brano della parola di Dio che ci interpella. Una religione che proclama soltanto, annuncia, emette sentenze è una religione vuota se a queste cose non corrispondono fatti dei singoli e della comunità. Religione pura, infatti, ci ricorda san Giacomo, che è molto esplicito al riguardo, è senza peli sulla lingua, come si dice nel linguaggio comune, è questa: "visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo". Non ci resta altro da fare che andare all’origine di questa nostra religione e fede, non solo nel senso biblico e storico, ma nel senso personale e familiare. Se oggi siamo ancora cattolici o diciamo di esserlo bisogna che questo nostro modo di vivere la cattolicità sia espresso con comportamenti consoni alla fede alla quale apparteniamo. Non si può accettare una parte ed escludere l’altra. Ogni regola, ogni legge, ogni consiglio è utile per la nostra santificazione come ricorda il testo della prima lettura odierna, tratto dal Libro del Deuteronòmio. Emerge qui di nuovo la figura del grande condottiero verso la libertà, quel Mosé che il Signore scelse come guida di Israele dalla schiavitù dell’Egitto alla Terra Promessa. Quelle che Dio ha consegnato a Mosè, i dieci comandamenti, sono norme giuste, che servono a mantenere unito un popolo, a farlo camminare nella moralità e nella verità, sia nel tempo presente e soprattutto in vista di quella Terra promessa che è l’eternità. Dio non ha abbandonato mai il suo popolo. Dio ha fatto sentire ad Israele la sua vicinanza, con l’indicare la strada giusta da percorrere se vuole salvarsi. Osservare la legge di Dio a partire da quelle dieci norme, è garanzia per tutti di vita e benedizione, di pace e riconciliazione, di onestà e rettitudine, di rispetto di se stessi e degli altri, della difesa del bene comune e del bene personale, della famiglia, della donna, della proprietà, della fedeltà, delle buone e rette intenzioni. In poche parole la vita incentrata su Dio evita la ricorsa che l’uomo fa per raggiungere beni e benesseri che non lo possono appagare perché come dice il grande Agostino, il nostro cuore è inquieto finquando non trova Dio e riposa nel cuore di Dio. Non avrai altro Dio, se non il Dio che ha manifestato il suo amore, inviando a noi il suo Figlio Gesù e sacrificandolo per noi sulla croce. Sia questa la nostra preghiera che esprima la nostra volontà di ricominciare e ricominciare davvero o di continuare il cammino con maggiore cognizione dei nostri diritti e doveri di fedeli: "Guarda, o Padre, il popolo cristiano radunato nel giorno memoriale della Pasqua, e fa’ che la lode delle nostre labbra risuoni nella profondità del cuore: la tua parola seminata in noi santifichi e rinnovi tutta la nostra vita". |