Omelia (06-09-2009) |
don Marco Pratesi |
Coraggio! I capitoli 34-35 di Isaia formano, così come il libro si presenta adesso, una unità chiamata spesso "piccola apocalisse", composta da due quadri: castigo dei nemici (rappresentati da Edom, c. 34) e salvezza di Israele (c. 35). La prima lettura ci presenta una parte del secondo quadro, dove il profeta invita Israele a gioire e a riprendere vigore. I suoi oppressori hanno prevalso, Israele ha mani deboli, ginocchia che traballano e fanno inciampare. Ansia e agitazione, paura e disorientamento hanno preso il sopravvento. Adesso però è il momento di riprendere coraggio, serenità, forza e fiducia. Motivo di tale capovolgimento è l'annunziato intervento di Dio, descritto come la fioritura del deserto e la guarigione di ciechi, zoppi, etc.: in concreto l'aprirsi per gli esiliati della strada del ritorno in patria. È questa la "vendetta e la ricompensa divina" (v. 4), che da un lato significa castigo degli oppressori (cf. 34,8, con lo stesso vocabolario), dall'altro liberazione per Israele. È evidente che si tratta di due facce della stessa medaglia, perché nessuna liberazione potrebbe darsi se Dio non colpisse i nemici soverchianti, come esplicita Geremia: "Poiché il Signore ha riscattato Giacobbe, l'ha redento della mano di uno più forte di lui" (31,11). Per questo sulla nuova strada "non ci sarà più il leone, nessuna bestia feroce la percorrerà, vi cammineranno solo i redenti" (v. 9, omesso nella pericope liturgica). "Ricompensa" significa che Dio porta a compiutezza l'azione dell'uomo, la "retribuisce", facendone emergere pienamente l'intrinseco potenziale. Questo significa anche "vendetta", ovvero ristabilimento della giustizia. Si noti bene, però, che all'altro polo, quello della salvezza, non corrisponde alcuna azione meritoria da parte d'Israele. Si ha qui semplicemente una iniziativa di Dio che, fedele a sé e alla sua promessa, salva il popolo, puro beneficiario di un'azione liberatrice. Lo troviamo ben evidenziato in un altro passo di Isaia, che riproduce letteralmente alcune espressioni del nostro: "Svégliati, svégliati, rivèstiti di forza, o braccio del Signore. Svégliati come nei giorni antichi, come tra le generazioni passate. Non sei tu che hai fatto a pezzi Raab, che hai trafitto il drago? Non sei tu che hai prosciugato il mare, le acque del grande abisso, e hai fatto delle profondità del mare una strada, perché vi passassero i redenti? Ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con esultanza; felicità perenne sarà sul loro capo, giubilo e felicità li seguiranno, svaniranno afflizioni e sospiri" (Is 51,9-11). Invano si cercherebbe nel nostro testo altra spinta all'azione salvatrice di Dio. Qui "retribuzione" viene a significare puramente: grazia, come leggiamo in Sal 103,2: "Benedici il Signore, non dimenticare tutti i suoi benefici", dove "benefici" è appunto "retribuzioni". Questa stessa azione di Dio è castigo al superbo: "rendi la retribuzione al superbo" (Sal 94,2; cf. 28,4). Ecco il fondamento della forza che Israele deve ritrovare. Ogni volta infatti che questa retribuzione appare evidente, i poveri esultano e riprendono forza (cf. Sal 27,14; 31,24); quando rimane celata sono gli empi a prendere coraggio (cf. Sal 64,5). Precisamente un grande intervento di questo tipo annunzia il profeta. L'annunzio di Isaia è oggi rivolto a noi, a tutti gli oppressi sotto il giogo di vari dominatori, vecchi o nuovi, scelti da noi stessi o imposti da altri, che comunque assoggettano mediante la paura e l'ansia. Riprendiamo coraggio: il Signore viene a liberarci da questi fardelli, a offrirci il suo giogo lieve e riposante (cf. Mt 11,28-30): il bastone dell'aguzzino è spezzato (cf. Is 9,3). I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo. |