Omelia (13-09-2009) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Il "segreto" è nella croce... Non appena Pietro individua la vera identità di Gesù come il Cristo, questi immediatamente raccomanda a lui e agli altri discepoli di non parlare di non proferir parola a nessuno sul suo conto.. Un particolare che, come tanti altri, non viene riportato nella versione che di questo episodio fa Matteo e che costituisce un’esclusiva del libro di Marco; il silenzio che Gesù pretende viene definito dai teologi "segreto messianico". Gesù evita di parlare di sé e lascia che siano altri a farlo e allo scopo di evitare adesioni superficiali, gratuite autoesaltazioni e possibili fraintendimenti del suo messaggio, preferisce usare molta discrezione; pertanto evita di comunicare agli altri per via diretta chi lui sia veramente(Jeremias). Si nota infatti come mai egli dica di se stesso di essere il Messia ma come altri dicano questo di lui. Questo soprattutto perché Gesù non vuole manifestare tanto la sua figura di uomo altolocato sulla massa e neppure essere latore di un messaggio qualsiasi, privo di significato, ma ancor di più perché il suo essere Messia non ha nulla a che vedere con le aspettative di grandezza umana che ci si sarebbe aspettati anche da parte dei suoi connazionali: egli è il Cristo non vittorioso in senso bellico e terreno, non il conquistatore invitto o il Messia nazionalistico e liberatore; non vuole soddisfare le attese immediate di coloro che chiedono giustizia in termini vendicativi e neppure far prevalere la sua forza sugli avversari. Piuttosto egli è il Messia Servo umile e sofferente, che mostra solidarietà con i poveri e con i peccatori, che manifesta l’amore del Padre attraverso le opere di misericordia e soprattutto che accetta la fustigazione e la condanna a morte in luogo delle predominanze personali di che gli sarebbero legittime. Solo coloro che sono disposti a seguire Gesù fino alla fine, percorrendo questo itinerario crudele che è la morte in croce, potranno comprendere lo svelamento di tale "segreto messianico", a condizione però che lo capiscano considerando l’evento stesso della croce più di ogni altra cosa. In altre parole Gesù parla realmente di sé nell’atto di umiliazione supremo della morte sul Golgota, nella quale manifesta la pienezza del suo messianismo e questo spiega il perché Gesù imponga il segreto a tutti i suoi interlocutori: sarebbe fin troppo facile conoscere il Cristo agevolati dalla sua rivelazione e dall’evidenza delle sue opere ed egli stesso otterrebbe solo un successo banale e privo di significato, alla stregua di qualsiasi altro leader o superuomo che attira al suo seguito migliaia di fans. Occorre invece mettersi alla sequela reale e convinta di Cristo per assimilarne tutta la portata, e soprattutto accettare di buon grado l’elemento portante chiamato croce. Per il mondo giudaico, abituato al Messia fautore di prodigi e di opere strabilianti e capace di sconvolgere tutti i suoi nemici con un solo cenno, la croce è quanto di più orripilante e inaudito si possa immaginare; per i sapienti essa è espressione di pazzia e di assurdità, eppure proprio in quell’avvenimento egli realizza la salvezza dell’uomo portando a temine l’opera estrema dell’amore del Padre: il riscatto dell’umanità. Certo, sulla croce avrà la parola definitiva la resurrezione, che ne spiegherà il senso e il fondamento, ma è esaltante che Gesù offra nello strumento del patibolo la sua divinità annichilendo se stesso come servo obbediente (Fil 2, 1 – 6); la sua sorte è paragonabile a quella del Servo Sofferente di Yaveh di cui ci parla il libro di Isaia. In Gesù piuttosto che le pretese dell’uomo vi è l’umiltà di Dio (Varillon). Il supplizio della croce viene accettato da Gesù con estrema libertà e seppure al Getzemani egli chiede al Padre che "allontani da lui questo calice" non lesina ad assumerlo fino in fondo senza opporvi resistenza, ben convinto che solo quello è il vero itinerario per realizzare la salvezza dell’uomo: solo la croce è indispensabile perché si realizzi il disegno d’amore del Padre e per ciò stesso prenda corpo il vero messianismo di Gesù: "IlFiglio dell'Uomo doveva molto soffrire, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e dopo tre giorni risuscitare. Ecco perché egli redarguisce Pietro con quei termini insoliti quanto perentori: "Allontanati da me, Satana" poiché è proprio maligno che, nelle sembianze di bene, tende ad allontanare Gesù dalla realizzazione di siffatto progetto in nome di un percorso più semplice e spedito ma di certo più sterile e infruttuoso che è quello comunemente prediletto dagli uomini. Se la croce è necessaria, è altresì necessario scongiurare ogni pericolo di essere allontanati da essa. Esaltare l’oggetto di venerazione ligneo a forma di croce latina, come noi si usa fare nelle celebrazioni liturgiche, non equivale quindi a d operare un atto di superstizione o di devozionistica sottomissione alla materia del legno ma a considerare l’elemento che è stato indispensabile al Cristo per la nostra salvezza e sul quale, per amor nostro, lo stesso Signore non ha ricusato di farsi appendere; la venerazione della croce durante il Venerdi Santo o in altri contesti celebrativi non può che rimandarci all’esaltazione del Signore crocifisso che svela la sua gloria messianica proprio nello strumento di supplizio e non può che incuterci riconoscenza verso questo Dio che si fa umile per noi in Cristo realizzando il nostro favore nella piena gratuità; ma ciò non è ancora sufficiente se anche noi non decidiamo di crocifiggerci con Cristo accettando con risoluta umiltà e disinvoltura la croce che egli stesso propone alle nostre membra nelle vestigia del dolore e della prova del quotidiano, specialmente nei casi disperati della frustrazione, dell’accettazione delle ingiustizie e della malattia. Le prove e le difficoltà oltre che a temprarci e ad ispirarci costituiscono l’opportunità per noi di essere partecipi delle sofferenze di Cristo che non sono mai finalizzate a se stesse ma che hanno un obiettivo di gloria e di salvezza per noi stessi e per gli altri; accettare di caricare la croce nella dimensione straziante e dolorosa della nostra vita è irrinunciabile giacché in ogni caso tutti, prescindendo da ogni cosa, ci si sottomette comunque agli affanni e alla prove, ma è anche necessario perché noi rafforziamo noi stessi, acquistiamo vigore ed esperienza molto più che nelle situazioni favorevoli, ci fortifichiamo nella virtù e soprattutto meritiamo il premio della gloria definitiva in questa e nell’altra vita associandoci al patibolo di Cristo e rendendoci così partecipi con lui dell’opera di salvezza. Anche se in effetti questo ci costa e comporta notevoli strazi e molte volte è difficile da accettare nell’ambito di situazioni deprimenti di dolore fisico, occorre che vediamo nella croce una grossa opportunità, l’avversità da accogliere con fiducia e risolutezza e la possibilità di attribuire anche noi un senso alle nostre lotte e al nostro dolore. Se pertanto altri rifiutano la croce da parte nostra la si dovrebbe accogliere di buon grado non trascurando di recare sulle nostre spalle anche quella degli altri per configurarci nella vera identità cristiana, quella che non procaccia il solo obiettivo della risurrezione ma che gode di questo non prima di essere passata per il Golgota. |