Omelia (13-09-2009) |
don Marco Pratesi |
Il Signore è al mio fianco La liturgia ci propone nella prima lettura il terzo dei quattro canti del Servo del Signore che leggiamo nel Secondo Isaia (50,4-9). Il protagonista è presentato come un profeta che è discepolo sperimentato, uno che ascolta in modo permanente. Per lui non si dà nessuna nuova partenza senza ascolto: ogni mattina il Signore risveglia il suo orecchio, affinché entri in una sapienza nuova e misteriosa, che supera e sconvolge le prospettive e le attese umane. Perché per lui aprire l'orecchio significa farsi pronto a presentare il dorso a chi lo colpisce, la guancia a coloro che gli strappano la barba. Per lui ascoltare significa rendersi disponibile a rimetterci di persona e dare la vita, perché è ascoltare il mistero di un amore folle, divino, eccessivo, che dà tutto e chiede tutto. Per questo, egli lo sa, non è solo (cf. Gv 16,32): nelle sue lunghe ore di ascolto ha imparato bene che il Signore Dio è con lui e come lui, e con questa incrollabile sicurezza affronta ogni rifiuto. La sua vicenda viene presentata come un processo, nel quale l'avversario cerca di mostrare che lui, il profeta discepolo, sta dalla parte sbagliata, che è nel torto. Perciò egli deve essere rifiutato e condannato, non in nome della semplice forza, ma della giustizia, della verità. Non è una storia di semplice sopraffazione: la sua vicenda deve attestare che cosa - chi - è giusto o empio davanti a Dio. Chi esce perdente dalla disputa si trova confuso, disorientato, deve ammettere di aver sbagliato tutto. Nella fornace di questa prova egli sperimenta l'aiuto di Dio (vv. 7 e 9). Non si tratta tanto di un aiuto che consista nell'essere liberato dalla prova: il testo non ne parla. Si tratta piuttosto di un aiuto nella prova, che consiste nel fatto che Dio mantiene il profeta nella certezza di essere dalla parte giusta di fronte al Signore. Qui si prescinde dal criterio del successo: il profeta non è certo del sostegno di Dio e della sua approvazione sulla base del fatto che alla fine ha vinto sui nemici. Questo successo, infatti, non c'è ancora. Si tratta invece di una intima, solidissima consapevolezza, che sgorga dalla comunione profonda con Dio. Questa è la sorgente della sua granitica fortezza, che si esprime nella ferma sopportazione del disonore e del disprezzo. La sua faccia è dura come pietra, egli tira dritto (cf. Lc 9,51). Così davvero è in grado di portare al popolo sfiduciato, stanco, abbattuto, una parola che non sia vuota retorica o consolazione a buon mercato, ma carica di senso e portatrice di vita. Sì, la sua parola è Spirito e vita (cf. Gv 6,63), perché parola di chi, nella prova, ha perseverato sino alla fine (cf. Eb 2,18; 4,15). I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo. |