Omelia (06-09-2009) |
padre Antonio Rungi |
Apriamo la nostra mente ed il nostro cuore al Signore Celebriamo oggi la XXIII domenica del tempo ordinario ed il Vangelo ci riporta il miracolo della guarigione del sordo-muto operato da Gesù verso il mare della Galilea in pieno territorio della Decapoli. Questo particolare miracolo assume un significato speciale, sia nei gesti, sia nelle parole e sia nei contenuti. E’, d’altra parte, lo stesso schema che il sacerdote usa nell’amministrare il battesimo ai bambini e agli adulti: a conclusione del rito del battesimo, ripetendo gli stessi gesti e parole di Gesù, rivolge l’invito al neo-battezzato ad aprirsi con il cuore e la mente alla fede e alla parola. In questo miracolo di Gesù è interessante evidenziare l’atteggiamento di speciale benevolenza verso coloro che oggi vengono chiamati i "diversamente abili" e che spesso incontrano tante difficoltà nel realizzare le loro legittime aspirazioni ad una vita umana e sociale. I limiti della non comunicazione e del non ascolto sono evidenti in molte situazioni della vita quotidiana. Per relazionarsi con un sordomuto non basta conoscere il linguaggio dei segni, ma soprattutto è necessario conoscere il linguaggio dell’amore e della disponibilità. In termini metaforici qui ci troviamo di fronte ad una situazione che la sapienza popolare ha fissato i detti molti significativi e che vale la pena citare in questa riflessione sulla parola di Dio. Non c’è peggiore sordo di chi non vuole sentire e di cieco che non vuole vedere. Evidentemente di fronte ad un cambiamento radicale della nostra vita che ci viene proposto dalla Parola di Dio, dai consigli delle persone che vogliono il nostro bene, spesso facciamo finta di non ascoltare e di non vedere. Preferiamo il silenzio piuttosto che la comunicazione anche della propria debolezza e dello stato di bisogno. Il muto e sordo del Vangelo esprime questa situazione spirituale ed interiore di molti che credono di credere e credono di essere credibili. Spesso non credono e non sono credibili, perché alla base del loro modo di pensare e di agire non c’è Dio, ma se stessi, c’è quell’io espressione dell’orgoglio e della superbia umana che rende sordi agli altri e non mette in reale comunicazione con le persone. Immaginiamo quanto questo sia deleterio e profondamente distruttivo quando l’incomunicabilità avviene con l’Altro per eccellenza che è Dio. Venendo meno ogni riferimento religioso, morale, spirituale, etico, l’uomo si assurge a Dio di se stesso, entra in questo autismo di chiusura nel circuito della propria personalità, non sempre aperta o capace di apertura. La maggiore difficoltà del mondo di oggi è proprio questa incomunicabilità. Sembra una cosa paradossale, ma è la verità. Più mezzi e strumenti tecnici abbiamo a disposizione, quali computer, cellulari, sociali network e meno comunichiamo davvero e in profondità. Le nostre comunicazioni sono ostacolate non solo dagli strumenti, spesso mal funzionanti, ma dal vero difetto della comunicazione che sta dentro di noi: la paura di aprirsi agli altri, perché non sai cosa trovi e chi davvero l’altro. E se le sorprese oggi non sono rare nell’ambito del mondo reale, con tante fratture e rotture di rapporti affettivi e sociali, nel mondo del virtuale sono ricorrenti e rischiose. C’è un dialogo tra sordi, tra non vedenti, perché la virtualità della comunicazione non favorisce la vera e sicura conoscenza dell’altro. Ecco perché che dal virtuale è necessario passare alla realtà e confrontarsi con essa. Questo confronto non può avvenire per un credente se non su una base comune di fede, di valori su cui convergere. Il testo del vangelo di oggi è molto chiaro nei passaggi essenziali che portano al discorso della fede e della risposta individuale a Dio che chiama alla comunicazione con lui. Il sordomuto guarito, è guarito non solo nel fisico, ma soprattutto nell’intimo, perché ha incontrato Cristo e con Lui ha instaurato un dialogo, basato sull’ascolto e sulla comunicazione. D’ora in poi quell’uomo potrà ascoltare la parola del Signore e trasmetterla con la vita e la comunicazione globale agli altri. Penso che oggi siamo tutti un po’ sordi alla parola di Dio e poco disposti a rischiare di persona per comunicare e trasmettere questa parola di vita e verità. Preferiamo il silenzio, la chiusura in noi stessi o al massimo nel gruppo ristretto degli amici e dell’associazionismo di tipo religioso. La parola di Dio deve essere proclamata da tutti, con la competenza necessaria e soprattutto con una forte esperienza spirituale alla base. Non si tratta di fare i professori della parola, ma di essere i testimoni della parola. E per parlare degnamente è necessario ascoltare ripetutamente. In poche parole dovremmo provare la stessa gioia ed avere lo stesso coraggio del sordomuto guarito e di quanti sperimentano ogni giorno il miracolo della parola che avviene dentro di loro di comunicare agli altri l’esperienza di un incontro che ti cambia la vita. come quella di Gesù. Questa prospettiva messianica di salvezza, come apertura a Dio nella totalità della persona, è preannunciata nel testo del profeta Isaia che oggi ascoltiamo come prima lettura. Qui viene lanciato un chiaro messaggio di speranza e di fiducia in Dio, che solo uomini e donne di vera fede accolgono e rendono operativo nella loro vita e nella vita del loro tempo. I tempi difficili di oggi non sono molto diversi dai tempi problematici nel periodo in cui visse il grande profeta dell’Antico Testamento. Solo un ordine morale basato sulla fiducia illimitata in Dio può creare davvero prospettive di vita e di sviluppo per l’umana società, anche di oggi. Chi pensa di poter fare a meno di Dio ha scritto la sua sentenza: la morte di tutto ciò che dà vero senso alla vita dell’uomo e di conseguenza della società. Un mondo senza Dio è un mondo alla deriva morale e di relazioni umane e internazionali. Perciò giustamente San Giacomo nella seconda lettura di oggi, tratta dalla sua unica lettera che fa parte dei testi canonici e quindi della Bibbia, ci scrive cose interessanti da un punto di vista religioso, umano, sociale, di diritto, sulle quali è opportuno riflettere con grande attenzione e assumere da esse la lezione per la vita di relazione che siamo chiamati ad alimentare nella famiglia, nella parrocchia, nel mondo del lavoro, ovunque siamo ed operiamo. Come sarebbe bello che tra noi uomini e cristiani ci fosse una vera uguaglianza, anche nel rispetto dei ruoli e delle funzioni di ciascuno. La corsa al prestigio, ai primi posti, all’eccellenza, al titolo, alla posizione dominante, all’essere rispettato, temuto, corteggiato, è una malattia che investe l’anima e il modo di pensare di molti uomini e donne di tutti i tempi, compresi quelli presenti, più a rischio di visibilità e carrierismo e prestigio sociale, di ricerca di fama ed importanza a livello non più locale ma mondiale. Via dai noi ogni favoritismo o soggiacenza ai potenti, ma nella logica del Vangelo ogni uomo sia davvero nostro fratello e venga rispettato solo ed esclusivamente per questo. Quanto cammino dobbiamo ancora fare in questo ambito dei rapporti umani e sociali! Sia questa la nostra umile e sentita preghiera oggi, all’inizio della celebrazione eucaristica, ma che diventi stile di vita in ogni circostanza e situazione: "O Padre, che scegli i piccoli e i poveri per farli ricchi nella fede ed eredi del tuo regno, aiutaci a dire la tua parola di coraggio a tutti gli smarriti di cuore, perché si sciolgano le loro lingue e tanta umanità malata, incapace perfino di pregarti, canti con noi le tue meraviglie". |