Omelia (13-09-2009)
padre Paul Devreux


Anche oggi vediamo Gesù, maestro della comunicazione all'opera. Non spiega chi è direttamente, prima vuole sapere cosa pensano i discepoli di lui, e per farlo parte da lontano, domandando loro cosa dice la gente di lui. Quando si tratta di esprimersi su cosa dicono gli altri, tutti hanno voglia di dire la loro. E come se Gesù fomentasse il pettegolezzo riguardo a lui e tutti parlano, ma quello che gli interessa veramente viene dopo, quando fa la domanda diretta e più impegnativa: "Ma voi, chi dite che io sia?".
A questa domanda diretta, non si può rispondere con una battuta. Il primo che osa sbilanciarsi è Pietro dichiarando che Gesù è il Cristo.
In realtà era il pensiero di tutta la gente che lo seguiva, sia perché avevano visto la moltiplicazione dei pani che per la guarigione del sordo muto, che era il segno che avrebbe dato il Messia che tutti aspettano, ma Gesù, pur essendolo, sa che che deluderà le aspettative della gente, perché non vuole essere un messia guerriero e liberatore come fu il re Davide. Per questo vuole che non se ne parli e prova a spiegare ai suoi più intimi collaboratori qual è il suo progetto e a cosa si devono preparare, ma i discepoli fanno fatica e rifiutano la prospettiva di un Messia immagine del servo sofferente.
Di nuovo Pietro fa da portavoce e interviene rimproverandolo. Questa è la tentazione di tutti i tempi: spiegare al Signore cosa deve fare e non fare se vuol essere un buon salvatore.
Gesù lo tratta da satana, che significa avversario; avversario o oppositore del suo ragionamento, del suo progetto, e gli intima di non provare più ad insegnagli il mestiere ma piuttosto di seguirlo, di stargli dietro, come deve essere tra un discepolo e un maestro, per poter imparare a ragionare non più secondo i ragionamenti e le priorità dell'uomo, ma secondo quelle di Dio.
Dopo di che Gesù, vedendo che il suo tentativo di spiegare che tipo di messia ritiene utile essere non passa, riconvoca la folla ricomincia ad insegnare non più parlando di se, ma dando dei consigli. Sembra che cambia argomento, ma cosi non è, perché quello che spiega è sempre attinente alla croce, e da quello che dice si potrebbe intuire il perché dell'importanza della sua disponibilità ad andare in croce.
Gesù spiega che la condizione per riuscire a seguirlo è quella di rinunciare ai propri progetti di realizzazione, guardare ben in faccia i propri limiti e poi seguirlo, perché spiega che chi vuole salvare la propria vita da solo, non ci riesce, per via appunto dei limiti che abbiamo, e in modo particolare quello della morte che può condizionare tutto il nostro operato, mentre chi lo segue scoprirà una prospettiva nuova e una salvezza.
Da ciò si capisce che per aiutarci, condividendo le nostre difficoltà e sofferenze, è necessario che Gesù ci passi dentro. Questo è quello che ha capito e vuole fare, mentre i discepoli preferirebbero un messia potente, che eviti le sofferenze. Chi ha ragione?