Omelia (13-09-2009) |
mons. Roberto Brunelli |
Pensare secondo Dio Ancora, come domenica scorsa, troviamo Gesù "all'estero", e ancora una volta preoccupato di tutelare il segreto intorno alla sua vera identità. E' in cammino verso Cesarea di Filippo, una città pagana ormai fuori dal territorio abitato dagli ebrei, e intanto non perde l'occasione di ammaestrare gli apostoli che lo accompagnano, anche per prepararli ai non facili futuri eventi relativi alla sua persona. In proposito, esordisce con una domanda: "Chi sono io, secondo la gente?" Dalle risposte apprendiamo che egli era visto come uno dei profeti redivivo: Giovanni Battista, da poco fatto decapitare da Erode, o il popolarissimo Elia, per gli ebrei l'emblema stesso dei profeti antichi, o qualcun altro dei grandi uomini mandati da Dio al suo popolo. "E secondo voi, chi sono?" incalza Gesù, al quale risponde di slancio l'impulsivo Pietro: "Tu sei il Cristo". Gesù non lo smentisce, perché, chissà quanto consapevolmente, egli ha centrato la verità; ma raccomanda di non dirlo a nessuno. Almeno per il momento, posiamo supporre che intendesse. Perché non dirlo, se era la verità? Perché il termine poteva dare adito a fraintendimenti, ed egli voleva preparare il popolo a comprenderlo nel suo senso autentico. Quello che sarebbe diventato nei secoli l'altro nome di Gesù, suo esclusivo e inscindibile dal primo - lo chiamiamo infatti, e solo lui, Gesù Cristo - è la traduzione greca del termine Messia, con cui gli ebrei designavano il misterioso personaggio annunciato dai profeti come il futuro liberatore del suo popolo. Le vicende storiche del popolo d'Israele, da secoli dominato da altri (Assiri, Babilonesi, Siriani, Egiziani, Romani), avevano portato a interpretare le profezie come relative a un Messia liberatore politico, in grado di restaurare l'indipendenza dell'antico regno di Davide e Salomone. Non era facile per Gesù far comprendere che l'autentico messaggio dei profeti intendeva una liberazione d'altro genere, più profondo e tutto spirituale; per questo non voleva, rivelandosi di colpo come il Cristo, il Messia atteso, suscitare false speranze e così vanificare la sua opera. Di qui la raccomandazione del silenzio. Agli apostoli, tuttavia, era venuta l'ora di avviarli a capire, spiegando di non essere un nuovo profeta del Messia venturo, ma proprio il Messia: non un annunciatore ma l'annunciato, e però venuto a fare tutt'altro che una rivoluzione politica. Ecco perché "cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo" (è l'espressione con cui Gesù designava se stesso) "doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere". Altro che liberare Israele dalla dominazione straniera: i suoi avversari erano piuttosto i capi del suo stesso popolo, i quali avrebbero cercato addirittura di eliminarlo. Un discorso inaccettabile, per chi aveva del Messia l'idea che si è detto. Ecco allora un nuovo intervento dell'impulsivo Pietro, il quale "lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo" Pietro non riflette, non cerca di capire e semmai cooperare con il Maestro, ma dà per buona l'opinione corrente e vuole impedire quanto può contrastarla: se egli è il Messia, non deve dire quelle cose! Ma ovviamente le cose devono andare come preordinato dall'Alto, e non come vorrebbe il popolo, cui Pietro dà voce. Di qui la reazione di Gesù, severissima (paragona Pietro addirittura al demonio) ma ricca di un concetto prezioso, di validità universale e perenne: "Va' dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini". Pensare secondo Dio: per un uomo, per un cristiano, sta qui il più alto titolo di gloria; questa dovrebbe essere la sua maggiore aspirazione: consapevole delle grandi potenzialità ma anche dei limiti della sua intelligenza, egli dovrebbe impegnarla non a cercare caparbiamente di realizzare le proprie vedute, ma a capire e attuare la volontà di Chi non sbaglia, e vuole soltanto il nostro vero, autentico bene. |