Omelia (20-09-2009)
Omelie.org - autori vari


COMMENTO ALLE LETTURE
a cura di Padre Alvise Bellinato

L'invidioso non riesce a sopportare che tu faccia il passo più lungo della sua gamba
(Julien De Valckenaere)

Su Wikipedia troviamo una definizione interessante dell’invidia: L'invidia è un sentimento nei confronti di un'altra persona o gruppo di persone che possiedono qualcosa (concretamente o metaforicamente) che l'invidioso non possiede (o che gli manca).
Dopo la definizione, si trovano queste parole: L'invidia può provocare uno stato di profonda prostrazione: in taluni casi, l'invidioso può assumere comportamenti molto aggressivi e il tentativo di sminuire l'invidiato può raggiungere toni esasperati, arrivando anche al pubblico disprezzo e alla pubblica derisione, come a dire: "io sto male per colpa tua, perché tu metti in luce la mia inferiorità; allora devo assolutamente evidenziare le tue mancanze, i tuoi difetti, facendoti sentire ridicolo: farò in modo che anche tu soffra".
Nella religione cattolica, l'invidia è uno dei sette vizi capitali. L'iconografia tradizionale la presenta nell'immagine di una donna vecchia, misera, zoppa e gobba, intenta a strapparsi dei serpenti dai capelli per gettarli contro gli altri.
Nel Purgatorio, Dante pone gli invidiosi sulla sesta cornice. Qui, i peccatori sono seduti, gli occhi cuciti con del fil di ferro per punirli di aver gioito nel vedere le disgrazie altrui.

IL PROBLEMA
La liturgia di questa Domenica ci consente di fare una riflessione su questo problema, che, in maggiore o minore misura, caratterizza la vita dei cristiani e della Chiesa.
Nella prima lettura abbiamo ascoltato: "Tendiamo insidie al giusto... mettiamolo alla prova con insulti e tormenti...condanniamolo a una morte infame". Il motivo? É il fatto stesso che egli è giusto: con la sua vita "ci è di imbarazzo", "é contrario alle nostre azioni". Potremmo riprendere la definizione di Wikipedia: "io sto male per colpa tua, perché tu metti in luce la mia inferiorità: farò in modo che anche tu soffra".
Nella seconda lettura, tanto per rimanere in tema, abbiamo sentito: "Invidiate e non riuscite a ottenere, combattete e fate guerra!". L’invidia produce anche qui il desiderio di far soffrire.
Anche nel Vangelo ritorna lo stesso argomento: "Per via avevano discusso tra loro chi fosse il più grande". Anche loro si erano posti gli uni contro gli altri per lo stesso problema.
Certamente Gesù aveva elargito alcuni privilegi ad alcuni: solo ai Dodici aveva concesso una vicinanza speciale e, tra questi, solo a tre aveva permesso (pochi versetti prima, in questo capitolo 9 di Marco) di salire sul Tabor con lui. Ad alcuni, insomma, per dirla con lo scrittore fiammingo Julien De Valckenaere, aveva fatto fare un "passo più lungo della gamba degli altri".
Subito nascono i confronti e la rivalità: "Tu sì e io no?".
Nasce così, nell’episodio del Vangelo in questione, il famoso sentimento nei confronti di una persona che possiede qualcosa che io non possiedo.
Aristotele diceva che "quanti amano l’onore e la gloria sono più portati all’invidia" (Reth 2, 10).
E anche la Scrittura conferma questo: "Non cerchiamo la vanagloria, provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri" (Gal 5, 26). Ricerca di vanagloria e invidia vanno a braccetto, dunque.
E pare che questo problema nasca presto nel cuore degli uomini: celebre è l’aneddoto raccontato da S. Agostino nelle Confessioni (1,7), del bimbo che "non parlava ancora, eppure guardava pallido e con occhio torvo un suo compagno di latte".

STARE MALE PERCHÉ UNO STA BENE
Delle letture odierne è interessante un fatto: in tutte e tre l’invidia è generata da un bene posseduto da un altro.
Nella prima lettura questo bene è la vita santa e giusta dell’altro, nella seconda è la saggezza e l’intelligenza, nel Vangelo la vicinanza a Gesù.
É doloroso constatare come si possa giungere a pianificare la morte ("condanniamolo a una morte infame" si dice nella prima lettura), a vivere con "disordine e ogni sorta di cattive azioni", a creare "guerre e liti", a "uccidere", a "combattere e fare guerra" (sono tutti verbi presenti nella seconda lettura) e a "discutere" (ma il senso letterale è "fare un combattimento verbale", disputaverant cioè"avevano fatto una disputa" dice la Volgata)...per delle cose buone!
Il genere di un peccato viene desunto dall’oggetto – scrive S. Tommaso d’Aquino-. Ora l’invidia, quanto all’oggetto, è contraria alla carità, da cui deriva la vita spirituale dell’anima, secondo le parole di S. Giovanni (1 Gv 3,14): "Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli". Infatti l’oggetto dell’una e dell’altra, cioè della carità e dell’invidia, è il bene del prossimo, però in due sensi contrari: poiché la carità gode del bene del prossimo, mentre l’invidia se ne addolora (Summa Th., Questione 36, Art. 3).

LE SOLUZIONI
A questo punto, dopo aver descritto il problema, ci possiamo chiedere: cosa possiamo fare? Che antidoti possiamo utilizzare per sconfiggere i morsi dei serpenti dell’invidia?
É sempre la Parola di Dio, dopo averci illustrato il problema, ad indicarci anche la via d’uscita. Mi pare che le letture ci suggeriscano oggi tre rimedi efficaci contro l’invidia:
1. considerarne l’inutilità
2. esercitarsi a gioire per i doni altrui
3. sforzarsi di essere piccoli.


1) L’invidia è inutile.
S Bernardo insiste molto su questo punto: l’invidia non serve a nulla. Il primo rimedio è... rendercene conto.
Diceva il fondatore dei Missionari della Consolata: "A che scopo invidiare? Tanto chi ha, ha! Chiediamo al Signore che dia anche a noi, piuttosto, ma invidiare è inutile!" (Beato Giuseppe Allamano, omelia del 25.04.1915).
L’invidia, come dichiara un vecchio detto ("essere rosi dall’invidia") fa anche male alla salute.
"La pensano così, ma si sbagliano". Comincia così la sezione immediatamente successiva al brano che abbiamo ascoltato nella prima lettura. Dio ci dona una prima risposta: il giusto è nelle mani di Dio e "nessun tormento lo toccherà", egli "é nella pace" e avrà ancora più successo. Gli effetti dell’invidia non solo non lo toccheranno, ma non cambieranno il piano di Dio su di lui: si parla quindi di risplendere, governare le nazioni, avere potere sui popoli, vivere con Dio nell’amore, ricevere grazia e misericordia.
La totale inutilità e inefficacia dei disegni degli invidiosi viene mostrata da Dio nel Capitolo 3 del libro della Sapienza.
É un invito a ciascuno di noi, perché possiamo pensarci e lavorare su questo punto, cercando di correggerci.
Perché perdere tempo e farci del male?

2) Esercitiamoci nella Sapienza e cerchiamo di gioire per i doni degli altri
La seconda lettura, mentre ci descrive gli effetti terribili dell’invidia, ci indica anche la via d’uscita: invocare "la sapienza che viene dall’alto".
Essa è "senza parzialità", cioè capace di riconoscere in modo obiettivo le cose.
"Senza frode imparai la sapienza e senza invidia la dono" (Sap 7,13).
É una sapienza "pacifica", che non crea conflitti, "piena di misericordia" (cioè di quel sentimento che ci fa provare compassione davanti agli altri e non dolore perché stanno bene).
Nella Bibbia ci sono degli esempi splendidi di esercizi contro l’invidia: esercizi che consistono nello sforzo di gioire per i doni altrui.
Mosè, a chi gli riferiva circa la presenza di gente "non autorizzata" che profetava nell’accampamento, risponde rallegrandosi: "Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore dare loro il suo Spirito!" (Nm 11, 29-30).
Ecco un primo esercizio di sapienza "senza parzialità".
Paolo, a chi gli faceva presente che c’era gente, in giro, che pensava di essergli superiore e predicava per invidia e spirito di contesa, risponde "Che importa? Purché in ogni maniera Cristo venga annunziato, io me ne rallegro e continuo a rallegrarmene" (Fil 1, 18-19).
Ecco un secondo esercizio di sapienza "senza parzialità".
Bisogna farne tanti, per migliorare un po’... Provare per credere.
Ma funziona.

1. Sforziamoci di essere piccoli
"Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti" dice Gesù nel Vangelo che abbiamo ascoltato.
Poi fa un gesto silenzioso: prende un bambino, lo pone nel mezzo e lo abbraccia.
Scriveva un Maestro spirituale, P. Caignon: "L’invidia è figlia della superbia: soffoca la madre e non ci sarà più la figlia".
Il Beato Allamano precisa: "Io direi che è la nipote. La superbia produce la vanagloria, e la vanagloria produce l'invidia. Così la superbia sarebbe nonna dell'invidia. Ossia figlia seconda, comunque sia...Se vogliamo avere un vero amore del prossimo bisogna che vinciamo l'invidia, e specialmente abbattere la superbia" (Omelia del 25.04.1915).
L’invito a sforzarci di essere piccoli, a occupare l’ultimo posto, a sconfiggere con esercizi concreti e quotidiani la superbia è il terzo esercizio per vincere l’invidia.
"In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli" (Mt 18, 3).

UNA PREGHIERA
Mi pare che risuonino profetiche, al termine di questa riflessione, le parole del Card. Martini a un gruppo di sacerdoti, durante gli esercizi spirituali predicati nel Giugno dell’anno scorso: Il vizio clericale per eccellenza? L'invidia. Ci fa dire "Perché un altro ha avuto quel che spettava a me?". Ci sono persone logorate dall'invidia che dicono "Che cosa ho fatto di male perché il tale fosse nominato vescovo e io no?". E ancora: Devo dirlo perché sarà l'ultimo ritiro, fa parte delle scelte che fa una persona anziana e in dirittura d'arrivo, ci sono cose che devo dire alla Chiesa (La Repubblica, 5 Giugno 2008).
Preghiamo perché la nostra vita e la vita della Chiesa siano purificate da questo brutto vizio, che si chiama invidia.

PREGHIERA CONTRO L’INVIDIA
Signore, troppo spesso
sono preoccupato a giudicare gli altri,
dimenticando di ringraziarti
per i doni che mi hai fatto.
Perdonami di voler somigliare agli altri,
dimenticando di essere me stesso,

di invidiare le loro qualità,
dimenticando di sviluppare le mie.
Perdonami di essere troppo preoccupato
dall'impressione che faccio,
dall'effetto che produco,
di quello che si pensa e si dice di me.
Donami la capacità
di riconoscere e apprezzare le mie qualità
e di accettare, allo stesso tempo, i miei limiti.
Donami il coraggio di offrirmi agli altri e a Te
per quello che sono
e non per quello che gli altri
vogliono che io sia.
Donami, infine, la capacità di accettare gli altri
senza soffrire per le loro qualità,
ma al contrario,
donando a loro tutto me stesso,
arricchendoli col mio amore.
AMEN.