Omelia (20-09-2009) |
mons. Roberto Brunelli |
Chi è il più grande Ancora, come nel passo letto domenica scorsa, troviamo oggi Gesù intento a istruire gli apostoli, in particolare preparandoli agli eventi prossimi, così diversi da quelli che essi si attendevano dal Messia. Eccolo allora ribadire che lui, "il Figlio dell’uomo, viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà". Tuttavia, la greve umanità di coloro che pure lui stesso ha scelto come primi collaboratori insiste nell’aggrapparsi all’opinione corrente di un Messia politico, il quale, cacciati i Romani occupanti, restaurerà l’antico regno d’Israele, indipendente e glorioso come quello di Davide e Salomone. Sono così radicati in questa prospettiva, che invece di badare alle parole del Messia discutono tra loro su chi sia il più grande, e dunque a chi di loro, nel futuro regno, toccherà il posto più importante. Pazientemente Gesù torna a spiegare e, come usavano fare gli antichi profeti, accompagna le sue parole con un gesto esemplificativo. Così ha fatto lui, e dopo di lui una schiera di uomini e donne che hanno cercato di imitarlo. In virtù del loro impegno, questo rivoluzionario principio in duemila anni ha cambiato il mondo; oggi formalmente tutti, e non solo i cristiani, condannano certi atteggiamenti e criteri di vita che un tempo erano ritenuti normali (la discriminazione delle donne, la pedofilia, la schiavitù, il dispotismo eccetera); almeno a parole, oggi tutti riconoscono che la fame nel mondo è frutto di un’ingiustizia da sanare, ed è pacifico che chi è investito di autorità non dovrebbe operare per l’utile proprio ma per il bene comune. Insomma, sull’antico criterio dello sfruttare gli altri a proprio vantaggio (o, quando andava bene, dell’indifferenza per le condizioni altrui) oggi trionfa il criterio prettamente cristiano del servire. Trionfa negli enunciati delle leggi e nelle dichiarazioni pubbliche; se però si guarda ai fatti, si rischia di deprimersi costatando la loro difformità rispetto ai principi. Ne deriva l’impegno, per ogni uomo che si riconosca tale, ad adeguare il proprio comportamento ai principi che un’onesta intelligenza riconosce giusti. E ciò vale in prima linea per la Chiesa, che da sempre proclama l’autorità come servizio (la sua massima autorità, il papa, porta ufficialmente il titolo di "servo dei servi di Dio") e prevede figure a ciò specificamente deputate (in proposito, ieri nella basilica di Sant’Andrea il vescovo ha ordinato i primi diaconi permanenti: e compito proprio del diacono è proprio il servire). L’impegno vale però anche per i singoli cristiani, se vogliono ritenersi seguaci del Figlio di Dio, il quale è venuto tra noi, come ha dichiarato lui stesso (Vangelo secondo Marco 10,45), non per essere servito ma per servire. Sino a dare la vita. |