Omelia (27-09-2009) |
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Sembra proprio che il Vangelo, in queste settimane, voglia aiutarci a riconoscere alcune "cattive abitudini del cuore". Vi ricordate domenica scorsa? Quando gli Apostoli volevano stabilire chi era il più grande, il più importante tra loro? Ci siamo detti che la mania di fare classifiche e graduatorie non rispecchia il cuore di Dio, non segue la sua logica. Dunque è una "cattiva abitudine del cuore". Anche il Vangelo di oggi ci presenta una situazione in cui possiamo riconoscerci facilmente e che è un’altra "cattiva abitudine del cuore". Ma andiamo per ordine e lasciamoci guidare dal racconto dell’evangelista Marco. Siamo ancora a Cafarnao, dove Gesù e gli Apostoli erano arrivati la scorsa settimana. Giovanni, uno dei Dodici, il più giovane e uno dei primi a seguire il Rabbi di Nazareth, si rivolge a Gesù per spiegargli una situazione che amareggia lui e gli altri Apostoli: "Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva". Quindi, lì a Cafarnao, c’è un uomo che, pur non appartenendo al gruppo degli Apostoli, pur non essendo uno che seguiva il Rabbi giorno dopo giorno, va in giro ad annunciare il Vangelo e allontana i demoni, il nemico, il diavolo, invocando il nome di Gesù. Ai Dodici questa cosa proprio non va giù. Ci tengono ad essere considerati speciali perché amici fidati di Gesù. Ci tengono al loro posto di primi tra tutti i discepoli. Ci tengono a poter dire: "Noi siamo i suoi Apostoli, siamo le persone con cui il Rabbi divide la vita, siamo gli amici con cui trascorrere ogni momento. Siamo un po’ la sua famiglia, ormai: mangiamo insieme a lui, facciamo festa con lui, ci prendiamo cura di lui!" Insomma, non vogliono perdere il loro ruolo e quindi ci tengono a distinguere chi fa parte del loro gruppo, rispetto a tutti gli altri. Ora, questo modo di ragionare, a me sembra somigli molto a una "cattiva abitudine del cuore" che anche noi sperimentiamo a volte. Vi capita mai di considerare i due raggruppamenti, da una parte "noi" e dall’altra "quelli là"? Noi significa: i nostri amici, i nostri compagni di giochi, chi è in squadra con noi, chi siamo abituati ad avere accanto. Quelli làè un modo per indicare tutti gli altri, chi di solito non gioca con noi, chi non fa parte del nostro gruppetto abituale. Quante volte, a scuola, mi capita di sentire le lamentele dei miei alunni: "Maestraaa! Noi stavamo giocando e quelli là sono venuti a disturbare!... Maestraaa! Noi stavamo disegnando e quelle là sono venute a scocciarci!... Maestraaa! Lì c’eravamo prima noi e adesso sono venuti quelli là e vogliono starci anche loro!" Non credo che questo succeda solo nella mia scuola e so che ragionamenti simili li fanno anche i grandi, gli adulti: ci teniamo a distinguere la sicurezza di sentirci noi, rispetto all’incertezza di chi non conosciamo bene, di chi non è parte del gruppo. Questa distanza la esprimono in modo chiaro proprio parole come "quelli là" o "gli altri": non sono certo termini che parlano di amicizia o di simpatia, giusto? Ma sentiamo un poco cosa risponde il Maestro e Signore di fronte all’indignazione di Giovanni e degli altri Apostoli: "Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi". Ah, com’è sempre splendida la logica di Dio! Come invita a spalancare il cuore, a respirare bene, profondamente! Come ci invita alla libertà e alla serenità! Abbiamo compreso fino in fondo che cosa ha risposto Gesù, di fronte alle preoccupazioni dei Dodici? Ha detto loro: "Ma no, ma no, non impedite a nessuno di annunciare il Vangelo, non impedite a nessuno di fare del bene nel mio nome. Non vi fissate in questa mania di distinguervi dagli altri, come se, a parte voi, il resto fossero tutti sbagliati, tutti nemici!... Pensateci un istante: non è possibile che qualcuno compia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me! Se ha ricevuto la forza dello Spirito Santo in risposta alle sue preghiere, fino al punto di compiere un miracolo, non può essere considerato un avversario!" Chiaro, vero? Questo ragionamento lo comprendiamo perfettamente: uno che compie miracoli nel nome di Gesù, come potrebbe essere un suo nemico? Come potrebbe essere un nostro avversario? Non so, poi, se lo avete notato, ma Gesù allarga molto il significato della parola discepolo, per includere in essa il maggior numero possibile di persone: "chi non è contro di noi è per noi". Cioè, sta dicendo agli Apostoli: "Voi Dodici vi sentite speciali e lo siete, ma non è che le altre persone che mi seguono o che ascoltano il mio annuncio, valgono di meno! Anzi: sono amici e discepoli, che aiutano la Bella Notizia del Regno di Dio a propagarsi, a farsi conoscere. È grazie ai discorsi del mercanti, dei contadini, dei pesatori, che in tanti luoghi hanno sentito parlare del Vangelo. È grazie ai discorsi che le donne fanno ogni sera insieme alla fontana, che tanti hanno scoperto il mio annuncio. Perciò non lasciatevi intimorire di chi non sembra un mio seguace, di chi non conoscete bene e, piuttosto, considerate questo: tutti coloro che non ci sono contro apertamente, vanno guardati come amici e collaboratori." Le parole del Maestro Gesù mi hanno fatto molto riflettere e mi sono fermata a pensare: quelli che facilmente chiamiamo "quelli là" sono proprio dei nemici? Sono proprio così diversi da noi? Non è che magari ci assomigliano? Magari hanno la nostra stessa voglia di giocare, di divertirsi? Forse anche loro ascoltano ogni domenica il Vangelo a Messa, forse anche loro si sforzano come noi di vivere secondo il cuore di Dio... Basterebbe un briciolo di attenzione e potrebbero diventare dei nuovi amici. In questa settimana, proviamo a tenere il cuore aperto e il cervello acceso, per riconoscere le occasioni in cui ci verrebbe spontaneo dividere il mondo tra "noi" e "quelli là", tra "noi" e "gli altri". In quelle situazioni, proviamo a pensare che siamo tutti amati, senza distinzioni, dall’unico Padre Buono e che potremmo essere insieme amici, invece che avversari. Dite, si può fare? Proviamoci, allora! Commento a cura di Daniela De Simeis |