Omelia (27-09-2009)
Marco Pedron
Tagliare per vivere

Gesù sta andando verso Gerusalemme e camminando istruisce i discepoli. Succede un fatto: c’è qualcuno che guarisce le persone e scaccia i demoni nel nome di Gesù. I discepoli lo vedono e glielo impediscono, perché "non è dei nostri". Ma Gesù risponde: "Non glielo proibite: perché nessuno può fare un miracolo nel mio nome e subito dopo parlare male di me". Cioè: chi fa il bene viene dal Bene anche se non è dei nostri, della nostra classe o del nostro gruppo.
Dobbiamo tener presente che un attimo prima (9,18) gli stessi discepoli non erano riusciti a scacciare il demonio da un ragazzino. Figuriamoci adesso che vedono uno che non è dei loro che invece ci riesce! Capite? Cosa non fa la gelosia! Cosa non fa l’invidia! Noi che siamo suoi discepoli non ci siamo riusciti e questo qui che nessuno sa chi sia, che neppure segue Gesù, invece sì?
Quante persone protestano: "Ma come, noi andiamo in chiesa, ci sforziamo di osservare le leggi di Dio, non rubiamo, non uccidiamo, e Dio ci ama come quelli che ne combinano "una per colore"?". "Non è giusto!".
Un giorno chiesero ad un maestro orientale perché essere fedeli a Dio se Dio, poi, ama tutti. E lui disse: "Ma se Dio ti accetterà in paradiso anche se tu tradisci tua moglie perché lei sei fedele?". "Perché la amo, maestro!". "Hai avuto la tua risposta. Sii fedele a Dio perché lo ami, non per averne meriti!".

Questo vangelo mette veramente in crisi il nostro modo di pensare.
Nei secoli la chiesa si è sentita un po’ come l’arca di Noè: fuori di lei non vi era possibilità di salvezza. Non dobbiamo dimenticare che fino a qualche anno fa si diceva: "Fuori dalla chiesa non c’è salvezza". Solamente chi vi apparteneva, solamente chi era dentro aveva la possibilità di salvarsi. Solamente chi era battezzato aveva qualche possibilità. Non vi pare che fossimo un po’ onnipotenti?
E allora si citava il vangelo: "Chi non è con me è contro di me" (Mt 12,30). Peccato che in Mt ci sia anche la frase di oggi: "Chi non è contro di noi è per noi" (Mt 10.40).
L’appartenenza non è il criterio esclusivo. Dio non è questione di appartenenza, ma di spirito, di anima. Ignazio Silone: "Nella vita ho scoperto che prima della chiesa c’è Cristo, e prima del partito c’è la coscienza".
Gesù abolisce il criterio: "Non è dei nostri". Non è dei nostri, e allora? Gesù non guarda a chi appartiene (apostolo o no; giudeo o no) ma a cosa uno fa e a cosa uno è nel suo essere profondo?
Gesù non diceva: "Tu sei dei nostri? Tu sei cristiano? Tu di quale partito sei? Tu da dove vieni? Di che nazionalità sei? Se non sei dei nostri, fuori, via, maledetto’". Gesù diceva: "Fai il bene, ami, sei disponibile, sei accogliente, sai ascoltare, Dio è in te: tu sei benedetto".
Pensate cosa avviene in politica. In politica non esiste più la verità, l’ascolto. Esiste solo la fazione. Se tu che sei di sinistra (e viceversa) apri bocca, qualunque cosa tu dica non va bene. Non mi interessa sapere cos’hai detto mi basta sapere che sei di sinistra, che non sei dei nostri. Viceversa se uno della "mia parte" ne combina qualcuna di grossa, non importa cos’ha fatto, ma noi lo difendiamo perché "è dei nostri". Questa è la legittimazione della falsità. Di esempi potremmo farne a migliaia!
Ma che importanza ha se è di destra o di sinistra? Se sta dicendo una cosa vera, è vera. Che importanza ha se è dei nostri? Se quello che dice è vero, non ti basta?
Un uomo chiede ad un amico (si potrebbe fare ugualmente l’esempio contrario!): "Pensi di votare per la sinistra?". L’amico: "No, voterò per la destra. Mio padre era di destra, mio nonno era di destra e pure il mio bisnonno era di destra". Allora l’uomo: "Ma è assurdo questo. E’ una logica folle. Voglio dire: se tuo padre fosse stato un ladro di banche, e tuo nonno lo stesso e tuo bisnonno lo stesso, tu cosa faresti?". "Ah", rispose l’amico, "allora sarei di sinistra!".

L’attaccamento, che si crea tra una madre e i suoi cuccioli è fondamentale. Se una madre non sentisse come "suo" il figlio, il figlio non potrebbe vivere. Una madre e un padre, devono sentire "proprio" il loro cucciolo, così da difenderlo da tutti i pericoli. E così il cucciolo si sente appartenente a quella famiglia, si sente "suo" dei genitori.
L’istinto di possesso, di attaccamento, di appartenenza è fondamentale per la vita. Senza di esso non ci sarebbe vita. Ma poi ci viene chiesto di crescere.
Nella società mafiosa (società fortemente matriarcale) questa scissione e questo taglio non avviene mai. L’appartenenza e l’attaccamento a quel "nostro" (famiglia e famiglia allargata) è la cosa decisiva. E quel "nostro" famigliare non può che diventare la "Cosa nostra". E’ un legame primario dove non c’è mai stata separazione e individuazione. "L’esser dei nostri", l’onore, è il fondamento di tutta una cultura. Per chi è "dei nostri" facciamo di tutto e non importa cos’ha fatto. Pensate in questi giorni cos’è successo nei quartieri spagnoli di Napoli dove la gente, per l’ennesima volta, ha difeso "i loro" scippatori dalla polizia con lancio di tutto ciò che aveva tra le mani. Ma se tu "non sei dei nostri" non m’importa più chi tu sei o cosa fai. Mi basta sapere che tu non sei dei nostri.
Molte madri e padri difendono i loro figli di fronte all’evidenza dell’errore: "Sono dei loro". Non riescono a vedere l’oggettività di ciò che accade, ma prendono le parti al di là di ciò che è successo.
Un giorno un ragazzo delle medie è stato sorpreso a rubare dentro le tasche dei compagni. (Ps: sorpreso da un professore!). Chiamata la madre e avvertita di ciò che era successo, lei ha risposto: "Impossibile! Mio figlio non farebbe mai queste cose!". "Ma, signora, l’abbiamo visto!". "Voi ce l’avete con lui. L’avete preso in punta". E non c’è stato verso di farle cambiare idea!
Anche la grande madre chiesa, a volte, si è comportata così. A volte ha protetto, difeso ad oltranza i suoi membri, un po’ come certe madri con i loro figli; mentre altre volte si è scagliata con ferocia verso tutti quelli che non erano "dei suoi".
Pensate nel mondo sportivo: che senso ha che dei gruppi estremistici (ultras) si picchino a sangue solo perché l’altro è di un’altra squadra. Non ha più importanza chi è l’altro, ciò che conta è che non è dei nostri.
In tutto questo c’è qualcosa di simbiotico, c’è una separazione che non si è compiuta nel profondo. In lontananza c’è ancora un bambino che, siccome ne ha bisogno, difende in tutto suo madre. Non importa ciò che la madre fa', per lui lei non sbaglia mai, ha sempre ragione, la sua mamma "è perfetta, la migliore, l’unica", e lui la difenderà sempre, in qualsiasi situazione e qualunque cosa accadrà.
Gesù dice: "Anche se non è dei nostri, ma fa queste cose, agisce così, è ovviamente dei nostri". Non apparterà al nostro gruppo ma lo spirito è il nostro. Perché Dio, lo Spirito, in effetti, sono Uno.
Si può, allora, essere uniti a Gesù ed essere fuori dalla comunità dei discepoli. Penso alle tante persone che sono state allontanate dalla chiesa nel corso dei secoli (Leonardo Boff; Theilard de Chardin, teologi, preti, laici, ecc): "Se sei fuori dalla chiesa non è detto che tu sia fuori da Dio". Chiunque cerca la verità, la ama, e per lei si gioca in prima persona, dovunque sia, viene da Dio. Perché si è sbattuti fuori dalla chiesa non vuol dire che si è sbattuti fuori da Dio. Dio è più grande della chiesa. La chiesa ha Dio, ma non lo possiede tutto. Cioè: Dio è anche fuori.
Dio è anche negli altri tanto quanto in me. Dio è anche in chi non si definisce cristiano. Il Bene è anche fuori della chiesa. Chiunque fa il bene viene da Dio: "Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome, non perderà la sua ricompensa" (9,41).
La chiesa ha vissuto nei secoli due grandi piaghe: il trionfalismo e il clericalismo. Il primo diceva: "Solo la chiesa è detentrice della verità". Il secondo: "Solo il clero ha Dio". Ma per fortuna Dio è più grande della chiesa, non può essere imprigionato e tutti gli uomini possono essere volto di Dio, non solo il clero.
Allora: non c’è un’unica strada per andare a Roma. Non c’è un unico modo per vivere. Non c’è un unico modo per essere religiosi, né per salvarsi, né per arrivare a Dio. Esistono molte vie. Ciò che conta non è se "sono come le nostre" ma se trasudano di verità, di ricerca, d’amore. Se sono così, anche se non hanno quel nome, sono cristiane.
Gv 3,8 dice: "Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va; così è di chiunque è nato dallo spirito". Dio è più grande dei nostri schemi e delle nostre regole religiose.
Dio fa sorgere cristiani anche fra i non cristiani: Gandhi, M.L. King, Edith Stein, S.Weil, E. Hillesum. S. Tomaso diceva: "Da qualunque parte venga la verità è originata dallo spirito". Dovunque c’è il bene; dovunque c’è qualcuno che ama; dovunque c’è un’anima grande e uno spirito profondo, lì Dio c’è.
Nel 1956 la chiesa anglicana con solenne funzione nella cattedrale di Westminster celebrò il centesimo anniversario della nascita dell’ateo Sigmund Freud (ardita la cosa!). Molte persone chiesero e protestarono: "Come si può fare una celebrazione religiosa per uno che si dichiarò ateo?". La risposta fu: "E’ nostra convinzione che il sig. Freud, anche se lui non seppe mai, fosse cristiano".
Erasmo da Rotterdam diceva: "Ovunque tu incontri la verità, considerala cristiana".
Avete mai visto i bambini? Cosa fanno i bambini? I bambini considerano bello, fatto bene, buono, solo quello che loro fanno. Se lo fai tu o il loro amichetto (anche se è fatto meglio) è "brutto" o comunque "più brutto" del loro. Hanno bisogno di far così perché sentendosi insicuri devono affermarsi. A volte noi siamo così, come i bambini: solo il nostro Dio è vero; solo quello che facciamo noi va bene; solo come lo facciamo noi è fatto bene; solo il nostro pensiero è quello valido; solo noi, solo io, solo così, ecc.
Il mio punto di vista è solo la vista da un punto. E non è detto che quelli degli altri siano tutti sbagliati, a volte semplicemente non sono come il mio. Dovrò innanzitutto ascoltarli, capirli, avvicinarmi con rispetto e confrontarmi. La re-ligione (da legare insieme, ri-legare) dovrebbe aiutarci proprio a questo: a legare insieme tutte le esperienze, a trovare ciò che abbiamo in comune, a trovare ponti, a illuminarci su ciò che ci divide e a farci incontrare.
Un pastore sta pascolando le sue pecore, quando un tale che passava di lì gli chiede: "Che bel gregge avete! Permettete che vi faccia una domanda?". "Certamente", rispose il pastore. "Quanta strada percorrono ogni giorno le vostre pecore, secondo voi?". "Quali? le bianche o le nere?". "Le bianche". "Beh, le bianche fanno circa sei chilometri al giorno". "E le nere?". "Anche loro". "E quanta erba mangiano al giorno, secondo voi?". "Quali, le bianche o le nere?". "Le bianche". "Beh, le bianche consumano circa due chili d’erba al giorno". "E le nere?". "Anche loro". "E quanta lana pensate che forniscano in un anno?". "Quali, le bianche o le nere?". "Le bianche" "Beh, penso che le bianche diano circa tre chili di lana all’anno al momento della tosatura". "E le nere?". "Anche loro". Il tizio era perplesso: "Posso chiedervi perché mai avete la strana abitudine di dividere le pecore in bianche e nere tutte le volte che rispondete a una mia domanda?". "Ecco", replicò il padrone "è normale. Le bianche sono pecore mie". "Ah, e le nere?". "Anche loro!". Non vi pare che certe differenze siano assurde?
C’è una famiglia che mangia alle 19.30 di ogni sera. Tutti attorno alla tavola, guai se manca qualcuno. Nella casa vicina non si mangia mai prima delle 22, anche se i bambini sono piccoli. La prima detesta la seconda. Eppure c’è molto amore nella seconda; ci sono molti sorrisi, molto dialogo. A volte si sente che ridono a crepapelle. Si sente che c’è unità. Forse l’ora è un po’ tarda; forse alla mattina i bambini vanno a scuola con il sonno, ma sono bambini sani e felici. Non vi pare che le cose si possano fare in molti modi? Dovremo imparare a dire: "Non è migliore o peggiore; è solo diverso".
Abbiamo bisogno di pensare che le cose possano essere fatte in molti modi e in modi diversi dai nostri schemi. La vita, la giornata, il lavoro, l’educazione dei figli, l’impostazione della vita, può essere concepita in molti modi. E non è detto che un modo sia migliore o peggiore; che uno sia giusto o sbagliato; che uno sia buono e uno cattivo. Può essere semplicemente diverso.
Poi il vangelo parla di scandalizzare.
Lo scandalo era il sasso che ti entrava nella scarpa e che ti impediva di camminare. "Scandalo" per il vangelo non è tanto qualcosa che ha a che fare con il sesso; è tutto ciò che non ti fa vivere, che ti impedisce di andare nel tuo cammino. Sono riportati esempi molto semplici che non vanno presi alla lettera (qualcuno nella storia lo ha fatto!), ma capiti nel loro senso profondo. Vogliono dire: "Se c’è qualcosa che ti fa male, che ti impedisce di continuare il tuo cammino di vita, che non ti fa libero, che ti paralizza, che ti blocca, anche se è difficile e doloroso, è meglio per te toglierlo, tagliarlo, eliminarlo".
Le parole di Gesù mettono l’accento su tre aspetti delle scelte: 1. bisogna tagliare ciò che ti fa male; 2. scegliere è doloroso; 3. scegliere a volte è radicale.

1. Ciò che ci fa male va tagliato, cambiato, modificato, lasciato. Perché voler continuare a stare male?
Hai un amico. Ma se non ti chiama ogni giorno tu glielo rinfacci. Se esce con qualcun altro gli fai il muso. E ti dà un fastidio terribile che lui si confidi anche con altre persone. Tutto questo (per il vangelo) è scandaloso. Non ti fa bene. Non vedi che sei attaccato a lui, che sei una sanguisuga più che un amico? Non vedi che non riesci a stare senza di lui, che ne hai fatto una seconda madre e che sei geloso degli altri "fratelli? ". Bisogna tagliare, cioè devi accettare che lui non può essere solo per te, sempre e in esclusiva.
Hai un pensiero fisso: lavorare per avere più soldi. Il tuo pensiero fisso è: "Quanto mi può dare?". Quando usciamo con gli amici il mio pensiero è: "Chi paga? Io pago più degli altri?". Quando guardo le persone mi chiedo: "Quanti soldi avrà?". E’ scandaloso che tu viva così. Non vedi che fai i conti in tasca a tutti; non vedi che pensi sempre a cosa ne avrai di ritorno; non vedi che sei schiavo dei soldi. Se non tagli con quest’atteggiamento ne farai un’ossessione.
Sei un fumatore incallito. Devi tagliare con questo comportamento perché ti fa morire. Sei un fanatico del calcio: parli solo di quello e non pensi altro che a quello. Devi "tagliare" con questo comportamento perché nella vita non esiste solo il calcio, non si può vivere solo per il pallone. Sei una persona sempre nervosa: "scatti" con tutto. Devi "tagliare" con questo comportamento altrimenti diventi insopportabile e le persone, giustamente, non vogliono più starti vicino.
2. Scegliere, tagliare, fa male; in certi giorni ci farà soffrire e piangere e maledire certe scelte. E’ come il parto: un dolore tremendo, una lacerazione, un perdere qualcosa che però dà vita.
Un ragazzo dice: "Devo lasciare la mia fidanzata". "Lasciala". "Ma è dieci anni che siamo insieme. E poi è doloroso, difficile; chissà cosa diranno i nostri genitori". "Ha senso per te continuare un rapporto morto?". "No!". "E allora!? Lo so che è difficile, ma è vitale".
Una madre con un unico figlio (il marito è morto quindici anni fa e lei è vissuta per quel figlio) dice: "Hanno proposto a mio figlio di andare in America per un lavoro. Mi ha detto: "Se tu mi dici di sì, io ci vado". Ma io non voglio che vada, è tutto quello che ho".

3. Nella vita ci sono delle scelte che devono essere radicali. Non si può transigere. Alcune scelte vanno fatte con calma, pazienza, senza usare la forza. Ma in altre bisogna essere decisi, fermi, irremovibili, quasi cattivi tanto bisogna essere risoluti. Alcune volte dobbiamo dirci o dire: "Basta; da oggi chiuso; io per la mia strada e tu per la tua; no; non hai altre possibilità, ecc".
La madre di un figlio tossicodipendente: "Mi aveva rubato tutto, non voleva farsi aiutare e avevamo solo debiti con le banche per colpa sua. Allora un giorno ho detto: adesso basta. E non lo feci più entrare in casa. Mi sentii la madre più snaturata e peggiore del mondo. Fu durissimo. Ma peccato che non l’abbia fatto prima!".
Una ragazza lascia il ragazzo (tre mesi prima del matrimonio). Lui non si dà pace (e lo possiamo anche capire!). Lei gli da le spiegazioni e decidono di non vedersi più. Ma lui le telefona sempre, vuole uscire ("usciamo solo come amici"), vuole ulteriori spiegazioni. Dopo otto mesi lei gli dice: "Basta. Non ti risponderò più, ciao". E così fece. Altrimenti la storia sarebbe stata infinita.
Un uomo litigava sempre e di continuo con la moglie. Non vi era più né intimità, né comunicazione, né contatto oculare. Semplicemente ci si ignorava. Lui sapeva che molto dipendeva da sé. Così un giorno si è detto: "Adesso basta. Voglio fare qualcosa di vero. Non voglio che tutto finisca. Sarà dura, ma lo voglio". E si è fatto seguire da un terapeuta.
Un uomo era sempre insoddisfatto. Lui sapeva che il suo male era nell’anima. Un giorno prese la grande decisione: "Mi costi quel che mi costi; cambierò ciò che ci sarà da cambiare, piangerò, faticherò, cadrò, o quant’altro ma io voglio essere felice". Fu dura, ma ora è felice.
Un uomo si mise in viaggio con la propria moglie. Era un grande amante della velocità. Aveva quindi lanciato l’auto in una corsa sfrenata, quando, ad un certo punto, dopo aver percorso un bel tratto di autostrada, la moglie aprì la carta stradale e gli disse: "Caro, abbiamo preso l’autostrada nella direzione opposta a dove dovevamo andare". Ma lui orgoglioso replicò: "Non importa stiamo battendo un record".
A volte siamo proprio come quell’uomo: stiamo andando nella direzione sbagliata, dovremo fermarci "di brutto" e dire: "Stop; basta; adesso ci si gira; si cambia; mai più; ecc". Ma non lo facciamo!
Quando bisogna operare, incidere, lo si fa. Non è bello, non è piacevole, anzi è molto doloroso. Ma è vitale. E non si può tergiversare. Bisogna essere risoluti, decisi e fermi, altrimenti si muore.



Pensiero della Settimana
Cos’ho imparato in questi ultimi cinque anni?

"Ho imparato che la vita è tutto quello che ho. Non c’è altro. Non ci sarà una seconda possibilità o una vita di riserva. Passata è passata. Ho imparato che quando si fa il bene prima o poi ti ritorna indietro. Ho imparato che ciascuno ha il suo viaggio e bisogna seguirlo anche se a volte non si sa proprio dove porti. Ho imparato che è inutile intestardirsi sulle cose se non vengono. Se devono venire verranno da sole a loro modo e a loro tempo. Ho imparato che è importante scegliere e non temere l’impopolarità. Ho imparato che per essere felice devo togliere e non aggiungere cose. Ho imparato che è meglio chiedersi: "Cosa devo imparare da questa situazione" che lamentarsi o fare la vittima per ciò che succede. Ho imparato che la vita è un bel viaggio e non so dove andrò, ma vale la pena di compierlo. E più che la meta conta il viaggio. Ho imparato che bisogna avere un senso e una direzione, altrimenti si cammina a casaccio e i giorni sfilano solo perché passano. Ho imparato che i miracoli esistono. Vederli è stato entusiasmante. Nessuna gioia si può comparare al vedere la vita nascere: chi ha ritrovato dal buio la luce, chi ha ritrovato la vita dalla morte, chi ha ritrovato la voce dal silenzio. Se non avessi visto con i miei occhi tutto questo dubiterei anch’io dell’esistenza. Ho imparato che ho molto da imparare... e che sono all’inizio".

E a te cos’ha insegnato la vita in questi ultimi cinque anni?
Se non ho imparato niente allora sono stati cinque anni inutili.
Vivere la vita per entrare nel mistero della Vita.