Omelia (20-09-2009) |
don Maurizio Prandi |
Due sguardi Il messaggio di fondo che mi pare di poter trarre dalla liturgia della parola di questa domenica è essenzialmente questo: ci vengono proposti come due sguardi, lo sguardo degli uomini e lo sguardo di Dio. Ed è quest’ultimo lo sguardo che siamo chiamati ad avere sulla nostra vita. Mi pare che in modo particolare prima lettura ed evangelo ci parlino di questa duplice maniera di guardare alla vita. I malvagi della prima lettura fanno fondamentalmente questo discorso: Noi abbiamo un obiettivo e quella che conta nella vita è raggiungerlo. Quello che conta è il nostro progetto e la nostra volontà. Quello che desideriamo realizzare è il nostro progetto, che deve riuscire meglio che si può, deve avere successo. Queste sono persone che desiderano vivere sopra agli altri, calpestandoli; in cima ai loro pensieri sta il loro disegno. Per portarlo a termine sono disposti a tutto, anche ad uccidere chi li scopre, chi dice la verità sulla loro vita e li smaschera. La domanda di fondo che il libro della Sapienza ci pone oggi mi pare questa: che posto ha il progetto di Dio nella mia vita? Che cosa veramente conta per me? I miei progetti, i miei pensieri, o il pensiero di Dio? E come reagisco di fronte ai fratelli e alle sorelle che mi dicono una parola vera su di me, sulle mie scelte, sulle mie contraddizioni? Diventano una opportunità per scoprire la mia verità, per conoscermi sempre meglio oppure non li ascolto e li rifiuto? Il vangelo ci dice che il nostro Dio, in Gesù, si consegna nelle mani degli uomini. Ecco, a volte penso che Dio abbia un potere grandissimo, enorme, proprio perché è Dio. Il vangelo non cessa di ripetermi che l’unico vero potere che ha Dio è quello di servire e di donare la sua vita. Che bello questo: per Dio quello che conta non avere gli altri nelle mani (questa è una idea che hanno gli uomini... comando e quindi ti tengo in pugno), ma gettare la propria vita nelle mani degli altri. Se riconosciamo di essere orgogliosi e di avere questo desiderio un po’ malsano di mettere gli altri sotto i nostri piedi, contemplare l‘immagine di Gesù che si consegna può sanare, guarire la nostra infermità spirituale. Dopo tre giorni resusciterà quando abbiamo un problema, una difficoltà, quando qualcosa di triste ci opprime, il primo desiderio che abbiamo è quello di trovare una soluzione rapida. E’ lo stesso Gesù a ricordarci però che c’è un tempo che deve passare tra la morte e la resurrezione e questo tempo è nelle mani di Dio. Possiamo vivere questo tempo come il tempo della disperazione oppure come il tempo della fede, della confidenza, della fiducia in Dio. Infine desidero tornare a quel doppio sguardo sulla vita del quale ho detto all’inizio, credo sia importante. Lungo la via Gesù parla ai suoi discepoli delle sue cose più importanti, della consegna della sua vita, del dono che ognuno di noi è chiamato a fare e ad essere. I discepoli no, parlano di quello che tra di loro è il più importante, il più grande, il migliore, di quello che tra di loro è il primo della classe. Ancora una volta il vangelo ci dice che di fronte allo sguardo degli uomini sulla vita, (sguardo che ha necessità di raccogliere successi, vittorie, trionfi), c’è lo sguardo di Gesù, che sempre ci parla di servizio fatto in silenzio, di umiltà, di gratuità, di totalità. Infatti dice di essere servi di tutti. Mi piace molto questo essere servi di tutti... cosa vuol dire? Che servire un amico è più facile che servire chi mi è antipatico. Servire una comunità grande come quella di Manacas, o di Cascajal, o di Washington è più facile che andare a Cayo Beuco o Mordazo, ma il vangelo mi dice tutti e quindi anche i piccoli, piccoli come quel bambino che Gesù ha posto nel mezzo. |