Omelia (27-09-2009)
don Roberto Rossi
Tutti sono di Dio e del suo regno!

Esemplifichiamo alcuni atteggiamenti del nostro tempo e del nostro ambiente.
Afferma un sociologo. "Sì, quell'etichetta non è di poco valore. Vederla ci rassicura, ci rincuora, ci mette a nostro agio. Chi la porta - non c'è dubbio - è dei nostri. La pensa come noi. Vede le cose come noi. Ha le stesse abitudini, compie gli stessi riti, è affezionato alle stesse nevrosi. Ebbene: «È dei nostri».

Se è in pericolo, bisogna difenderlo. Se fa delle stupidaggini, bisogna scusarlo. Se sbaglia, bisogna essere disposti a dimenticare e a perdonarlo. Gli errori dei nostri sono debolezze. L'ottusità, una visione limitata della realtà. La cattiveria, rigore e severità.

Se, però, "non è dei nostri", le cose cambiano del tutto. Anche se fa delle cose buone, non bisogna prenderle troppo sul serio. E soprattutto evitare di lodarle, di apprezzarle. È come consegnare armi nelle mani del nemico.

Se poi commette delle debolezze, queste non sono che la punta dell'iceberg. Se dice qualcosa in modo sgarbato, è da attribuirsi al malanimo. Dietro ogni parola, ogni gesto, ogni espressione, c'è qualcosa di cattivo, da sanzionare".

Nel Vangelo di oggi Gesù invita i suoi discepoli ad uscire da questa logica perversa che non ha niente a che fare con il regno di Dio.

Gli apostoli hanno preso una misura di «polizia»: «C'era uno che scacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri».

Probabilmente sono soddisfatti di quello che hanno fatto. Ora, finalmente, le cose sono chiare. Non si può agire nel tuo nome - addirittura guarire - se non si è «dei tuoi», cioè «dei nostri».

È proprio questo assioma che Gesù non approva: «i suoi», probabilmente, non coincidono con «i nostri».

Sono «suoi» tutti quelli che, in un modo o nell'altro, contribuiscono a realizzare il progetto del Padre e fanno la loro parte per un mondo di pace e di fraternità, di solidarietà e di perdono.

Non figurano nel catalogo? Non ha importanza: conta quello che fanno, non la lista in cui sono scritti i loro nomi. Non parlano il nostro linguaggio? Pazienza: il linguaggio dell'amore conosce molti idiomi. Non condividono le nostre stesse tradizioni? Basta che convergano sull'essenziale.

Chissà cosa direbbe Gesù di un vocabolo che anche i cristiani, un po' supinamente, usano con troppa facilità: «extracomunitari». Parola coniata, all'origine, per dire l'estraneità alla Comunità Europea. Parola che, col tempo, ha assunto, purtroppo, un altro sapore. Non ci sono più «handicappati», ma solo «portatori di handicap», perché nessuno può essere ridotto alle sue difficoltà. Ma perché ridurlo allora alla sua provenienza? Dobbiamo ricordare ai cristiani che molti dei primi papi, a partire da Pietro, erano "extracomunitari"? E che nella Chiesa primitiva, qualsiasi immigrato che approdasse in una comunità, era subito chiamato "fratello"?

Qual è allora il partito di Gesù? E' quello che non divide le persone tra i "nostri" che stanno bene, che possono accumulare e gozzovigliare, e "i non nostri" che vengono strumentalizzati per accumulare e gozzovigliare. E' quello di coloro che sanno che tutti sono di Dio e quindi tutti sono dei nostri. E che si comportano di conseguenza.