Omelia (27-09-2009) |
mons. Roberto Brunelli |
Non siamo una setta "Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva" (cioè non è dei nostri). Il vangelo attribuisce questa frase all’apostolo Giovanni, il quale tuttavia doveva riflettere la mentalità anche dei suoi compagni, e non solo loro: di un simile atteggiamento la Bibbia stessa offre altri esempi (come quello esposto nella prima lettura di oggi, risalente addirittura ai tempi di Mosè), ed altri ancora, numerosi, ne offrono la storia e l’attualità. E’ la mentalità settaria di chi ritiene di detenere il monopolio della verità, della giustizia, del bene, e considera usurpatori quanti in qualche misura lo condividono. Ma per i cristiani non è, non deve essere così. "Non glielo impedite", comanda Gesù; "chi non è contro di noi è per noi". Nei secoli, come tuttora specie da parte dei missionari, l’aderenza al vangelo ha portato i cristiani a creare ospedali, scuole, orfanotrofi, mense per i poveri e una miriade di altre opere di assistenza e di promozione della dignità umana. Se poi, come è avvenuto spesso, di quelle opere i governi si sono appropriati (magari anzi, riconoscendone l’utilità e disponendo di mezzi più cospicui, incrementandone numero e qualità), nessuna recriminazione! Se il bene vien fatto, non importa da chi; la carità cristiana trova sempre nuovi campi di applicazione. Qualche problema semmai sorge con chi pretende di appropriarsi della verità, assumendo un atteggiamento intollerante verso i portatori di altri principi e valori, un atteggiamento che non di rado, anche ai nostri tempi, sfocia in tentativi di prevaricazione quando non - lo sanno bene i cristiani di troppi Paesi di questo mondo - in forme aperte o subdole di persecuzione. In proposito torna utile quanto ha affermato il Concilio Vaticano II ("Nostra aetate", 2) circa i rapporti con le religioni non cristiane: "La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini. Essa però annuncia, ed è tenuta ad annunciare, il Cristo (...); perciò esorta i suoi figli affinché, con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e della collaborazione con i seguaci delle altre religioni, sempre rendendo testimonianza alla fede e alla vita cristiana, riconoscano i valori che si trovano in essi". Dunque, il Concilio ribadisce che i cristiani non sono una setta; pur senza tradire le proprie convinzioni, sono felici di riconoscere in quelle di altri le consonanze con le proprie, e sono disposti a collaborare con loro per il bene comune; hanno il diritto-dovere di proporre quello in cui credono, ma non pretendono di imporre nulla a nessuno, e si aspettano dagli altri lo stesso atteggiamento. Il vangelo di oggi tocca poi un altro argomento. Per comprenderlo, occorre precisare il significato di due parole. La prima: quando Gesù parla dei "piccoli", non intende tanto i bambini quanto piuttosto le persone fragili, dalla personalità insicura, facilmente impressionabili, facili a imitare i comportamenti altrui. La seconda è la parola "scandalo", che di per sé indica una pietra che fa inciampare il viandante e lo fa cadere, con conseguenze più o meno gravi; Gesù la usa in senso morale, per designare quelle parole e quei comportamenti che inducono i "piccoli" a cadere in peccato, di qualunque genere sia. Chi ne fosse la causa ne porta tutta la responsabilità, con conseguenze gravissime: il divino Maestro lo proclama con parole tra le sue più severe, che non richiedono commento ma solo un risveglio del senso di responsabilità: "Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare". |