Omelia (27-09-2009) |
padre Ermes Ronchi |
Se la profezia è mettersi in ascolto «Maestro, quell’uomo non è dei nostri... Non importa se è bravo, fa miracoli e dalle sue mani germoglia vita. Ci oscura, ci toglie pubblico, viene da un’altra storia, dobbiamo difendere la nostra». L’istituzione prima di tutto, l’appartenenza prima del miracolo, l’ideologia prima della verità. La risposta di Gesù, l’uomo senza barriere, è di quelle che possono segnare una svolta della storia: gli uomini sono tutti dei nostri, come noi siamo di tutti. Prima di tutto l’uomo. «Quando un uomo muore, non domandarti per chi suona la campana: essa suona sempre un poco anche per te» (John Donne). Tutti sono dei nostri. Tutti siamo 'uno' in Cristo Gesù. Anzi, si può essere di Cristo anche senza appartenere alla sua istituzione, perché la Chiesa è strumento del Regno, ma non coincide con il Regno di Dio, che ha altri confini. Compito dei discepoli non è classificare l’altro, ma ascoltarlo. Profeta è chi ascolta il soffio della primavera dello Spirito, che non sai da dove viene, che non conosce la polvere degli scaffali, la polvere delle frasi già fatte, delle musiche già imparate. Ascoltare la sinfonia del gemito di un bambino: anche questa è profezia. Imparare a sentire e a lasciarsi ferire dal grido dei mietitori defraudati ( Gc 5,4): anche questa è profezia. Ascoltare il mondo e ridargli parola, perché tutto ciò che riguarda l’avventura umana riguarda me: «sono un uomo e nulla di ciò che è umano mi è estraneo» (Terenzio). Ma l’annuncio di Gesù è ancora più coraggioso: ti porta dal semplice non sentirti estraneo al gettarti dentro: dentro il grido dei mietitori, dentro lo Spirito dei profeti. Ti porta a vivere molte vite, storie d’altri come fossero le tue. Ti darò cento fratelli, dice, cento cuori su cui riposare, cento labbra da dissetare, cento bocche che non sanno gridare, di cui sarai voce. Il Vangelo termina con parole dure: «Se la tua mano, il tuo piede, il tuo occhio ti scandalizzano, tagliali, gettali via». Vangelo delle cicatrici, ma luminose, perché le parole di Gesù non sono l’invito a un’inutile automutilazione, sono invece un linguaggio figurato, incisivo, per trasmettere la serietà con cui si deve pensare alle cose essenziali. Anche perdere ciò che ti è prezioso, come la mano e l’occhio, non è paragonabile al danno che deriva dall’aver sbagliato la vita. Ci invita il Signore a temere di più una vita fallita che non le ferite dolorose della vita. |