Omelia (11-10-2009) |
padre Gian Franco Scarpitta |
La povertà è partecipazione Dopo aver ammirato la coerenza e l’ottemperanza puntuale di questo giovane interlocutore che mostra fedeltà e linearità nell’ordinario, Gesù, valutate le sue potenzialità e la sua grande generosità, gli chiede di uscire dalle sue consuetudini, di non limitarsi alle comuni osservanze e al bene di cui sarebbero capaci tutti gli altri, ma di fare un atto di coraggio: "Vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri, poi vieni e seguimi." Gesù manifesta somma fiducia in questo giovane, perché ha riscontrato in lui sincerità e rettitudine morale, puntualità, precisione e osservanza e per questo lo ritiene pronto al "salto di qualità" della sequela più ravvicinata, che comporta la rinuncia a tutte le sicurezze materiali per l’acquisizione dell’unica sicurezza che è il Signore. Nella nuova richiesta non si tratta più di "non fare questo, non fare quello e adempiere quest’altro", tipico della tassatività dei moniti e delle prescrizioni, ma di avere il coraggio di fare "qualcosa di più", un atto di eroismo che lo avrebbe portato ad uscire dalla mediocrità per servire Dio e il prossimo con maggiore slancio e maggiore zelo a partire dalla rinuncia ai beni materiali a favore dei poveri. Per essere più precisi, Gesù avrebbe potuto chiedere a questo ragazzo di esercitare l’amore per Dio e per il prossimo anche trattenendo tutte le sue sostanze e senza la necessità di rinunciare ad alcunché, ma poiché vede in lui una enorme competenza di cuore e una disponibilità di fondo che non è pari a quella degli altri, riscontrandolo potenzialmente adatto all’impresa, vuole chiedergli di superare se stesso in una chiamata molto più consistente che avrebbe comportato la rinuncia affettiva ed effettiva alle ricchezze, alle eredità e alle sicurezze materiali. Insomma una vocazione del tutto straordinaria e senza precedenti. E qui cade l’asino. Il giovane, che effettivamente potrebbe seguire Gesù in questa nuova via, si defila perché troppo attaccato ai suoi beni. Ci sovviene penare alle rinunce che si è chiamati ad intraprendere nella scelta della vita religiosa, nella quale il voto di povertà comporta che ci si distacchi da ogni sorta di avere e di bene materiali, accettando che si rinunci deliberatamente a tutto quello che ci spetterebbe legittimamente in fatto di eredità, a quello che potremmo comodamente trattenere in tasca quale frutto del nostro lavoro personale (stipendio, pensione, ecc) e che si destina invece alla cassa comune e a tutto quello che comporterebbe sicurezza materiale immediata e personale. Il tutto per dipendere dalla casa religiosa di appartenenza quanto al sostentamento e così cercare innanzitutto il Regno di Dio, avendo il cuore indiviso dalle attrattive temporali. Questa è la chiamata alla speciale consacrazione della vita religiosa, oggi professata per vocazione da tanti giovani ben consci di rinunciare a dei beni apprezzabili in vista di un Ideale immenso a cui si sono consacrati. E’ l’eroismo di tanta gente che rinuncia a posizioni professionali garantite, a beni certi acquisiti per il presente e per il futuro e a ricchezze che sarebbero ordinariamente legittime in vista di Qualcosa, anzi di Qualcuno per cui vale la pena spendere la propria esistenza. Solo un vero atto di coraggio spinge tanti giovani a una scelta così radicale di radicalissime rinunce e solo Dio può volere che dei giovani intraprendano oggi come oggi una tale scelta. Ma l’ammonimento della liturgia non tende ad esaltare solamente la rinuncia delle vocazioni di speciale consacrazione. Anzi, nel commento di Gesù vi è un richiamo a tutta la cristianità quanto all’uso e all’usufrutto delle risorse e dei beni materiali e un’attenzione a che questi non ci attraggano oltremisura per distoglierci dall’impegno concreto verso gli altri. Il ricco a cui è interdetto l’ingresso al Regno di Dio è infatti colui che fonda la propria sicurezza nei beni materiali, noncurante dell’effimeratezza e della passività dei medesimi, e pertanto incapace di condivisione e di amore per chi ha bisogno. Avere invece il cuore distaccato dai beni di consumo, saper usare del denaro quanto basta per se stessi e in vista del bene degli altri vuol dire essere invece POVERI ossia realmente padroni dei beni materiali, perché in grado di comprenderne la vera utilità e in effetti il povero evangelico è colui che sa essere distante dal lusso e dalla vanità per sapersi donare agli altri senza riserve e con volontà spontanea indiscussa. San Francesco di Paola osservava che il denaro è "vischio dell’anima" perché quando procacciato oltremisura occlude la nostra capacità di interazione e di condivisione. Ma la povertà evangelica non può neppure, d’altro canto, equivalere a masochismo e privazione fanatica né a tutte quelle forme di rinuncia che comporterebbero oltraggio alla propria dignità personale e al giusto decoro di se stessi, perché nessun monito evangelico giustifica in alcun modo che ci si danneggi fisicamente. La povertà non è masochismo, ma partecipazione. Consiste in effetti nella capacità di gestione delle proprie risorse a favore di chi nulla possiede e in tutto dipende da altri, come nel caso dei miseri e degli abbandonati, verro i quali occorre una carità previa di povertà sincera; come pure consiste nel retto utilizzo dei nostri beni e nella capacità instancabile di donazione. Essere poveri equivale a saper costruire la giustizia e a dare il nostro contributo perché si pongano le condizioni per il cessare delle ostilità e delle divisioni a cui la discrepanza fra miseria e ricchezza ci costringe con le relative discrimanzioni e ingiustizie perché equivale alla formazione di noi stessi per la solidarietà e la comunione con tutti. L'avidità e il potere sono sempre state le minacce dell’umanità, ed è risaputo che tanto sangue sparso, le ingiustizie, le sopraffazioni e i soprusi ai danni dei poveri e degli indigenti hanno sempre arricchito i pochi benestanti. In nome del profitto si sovvertono valori e tendenze culturali ed etiche, si modificano talvolta le relazioni interpersonali e anche il concetto di lavoro e di occupazione ha assunto in questi ultimi decenni sempre più insicurezza e instabilità a scapito del salariato e del lavoratore dipendente e in vista del guadagno dell’imprenditore e del capitalista e il mercato del lavoro sembra condizionato dalla tutela degli interessi di business delle imprese e dei singoli affaristi, sempre a danno di chi cerca risorse per il proprio sostentamento visto che non vi è più oggi sicurezza nel campo occupazionale e lavorativo. Si tende alla logica del profitto e del potere che esalta pochi e umilia la moltitudine. Marti Luther King sognava un mondo rinnovato nella giustizia e nella solidarietà, sottolineando che "A questo mondo non è più questione di scegliere tra violenza e non violenza, si tratta di scegliere o non violenza o non esistenza. " E questo sogno diventerà realtà solo nella comunione e nella solidarietà. |