Omelia (04-10-2009) |
padre Antonio Rungi |
La sacralità della famiglia e l'indissolubilità del matrimonio Celebriamo oggi la XXVII Domenica del tempo ordinario e la parola di Dio ci induce a riflettere su un tema di grande attualità: la dignità del matrimonio e della famiglia e l’assoluta negazione del divorzio nella prospettiva cristiana. Il Vangelo di Marco che ascoltiamo oggi ci presenta Cristo Maestro che insegna ai suoi discepoli i fondamenti etici del suo messaggio. Gesù è il vero ed unico teologo morale che può giustamente rivendicare alla sua persona l’autorevolezza di quello che dice e che indica come via di salvezza, ma anche come personale risposta all’amore di Dio nella vita coniugale. Sappiamo come possa apparire dura questa parola a quanti hanno purtroppo abbandonato la strada della vita coniugale, si sono separati e sono divorziati. Cristo ammonisce senza compromessi terminologici, giuridici, che tutto ciò che viene legato spiritualmente davanti a Dio, nella piena coscienza di intendere e volere, nella libertà non può essere sciolto, perché a consacrare il patto d’amore tra l’uomo e la donna non sono solo le due persone che si impegnano ad amarsi e a rispettarsi per tutta la vita, ma è Dio stesso, su cui si fonda il matrimonio sacramento. Le promesse fatte a Dio hanno valore definitivo e non temporanee o parziali, o di convenienza o di temporaneità, se vanno bene o ci vanno bene. La parola data rimane per sempre, soprattutto se è data nella massima coscienza e libertà interiore. I veri matrimoni, anche se sciolti da un punto di vista civile, non si interrompono mai, perché quelli sacramentali hanno un altro peso ed un altro valore. Comprendiamo il dramma che vivono tante coppie che si sono separate o divorziate. La misericordia di Dio è infinita, e quindi almeno nel frequentare la chiesa, nella preghiera, nell’ascolto della parola di Dio ritrovino il senso di quella fede messa in seria crisi con la crisi coniugale. Gesù in ragione della debolezza dei nostri modi di pensare e di agire coglie l’occasione per dire che lo stile di vita cristiana è semplice, essenziale, puro, proprio come i bambini. Non bisogna mandare via i bambini, ma accoglierli, cioè non bisogna rifuggire da quei comportamenti che ci fanno essere noi stessi e crescere nella bontà. Questo vale in tutte le vocazioni, ma soprattutto in quella coniugale, dove una persona si dovrebbe integrare perfettamente con l’altra e costituire un solo progetto di vita. Strettamente collegato al testo del Vangelo è la prima lettura tratta dal Libro della Genesi, dove si parla appunto della creazione dell’uomo e della nascita della famiglia, basata sul matrimonio, che è un’istituzione naturale. La coppia, l’unione, la collaborazione entrano a pieno titolo nel progetto della creazione. Il concetto di coppia, relazione, di interdipendenza, di comunione e di condivisione nel matrimonio è qui espresso in modo chiaro e significativo. Noi siamo fatti gli per gli altri. La solitudine, l’individualismo non trova riscontro in una visione autenticamente cristiana. La koinonia, l’agape, prevalgono sua una concezione materialistica ed edonistica dell’amore e del matrimonio. Capire questo nel nostro mondo significa fare scelte di vita capaci di reggere agli urti devastanti del valore famiglia. Il testo della seconda lettura di oggi, incentrato sulla Lettera agli Ebrei, ci presenta la figura del Cristo redentore dell’umanità, morto sulla croce per noi. Il modello di amore e di sacrificio per tutti è Cristo che si immola per noi sulla Croce. Se avessimo costantemente rivolto il nostro pensiero al Crocifisso, ben volentieri accetteremmo le croci che ci vengono consegnate dalla vita in qualsiasi stato in cui ci troviamo e soprattutto nel matrimonio. Rifuggire dalla croce non è da cristiano e tantomeno di una famiglia cristiana, di una coppia cristiana che sceglie di vivere il proprio amore umano consacrandolo davanti a Dio e alla Chiesa. Mantenersi fedeli a Dio nel matrimonio non è facile soprattutto oggi, in cui la famiglia è dissacrata e minata in tanti modi; ma la coppia che fonda la sua esperienza di amore e di relazione su Cristo ha la garanzia di farcela, in quanto solo la grazia che deriva dal matrimonio può sostenere il cammino dei coniugi nelle prove. Non a caso gli sposi nel giorno del matrimonio si giurano fedeltà e si impegnano l’uno nei confronti dell’altro nella buona e nella cattiva salute. E’ chiaro che come comunità di cedenti siamo chiamati a sostenere con la preghiera, con la disponibilità, la carità, il cammino delle famiglie che si trovano in difficoltà, specialmente quelle in cui si trovano i bambini piccoli e che hanno bisogno di vivere con tutti i due i genitori e non senza nessuno dei due o peggio con più di due con il sistema di quella famiglia allargata molto in voga nella nostra cultura e nella nostra società. Una vera, saggia e produttiva pastorale familiare non lascia da sola nessuna famiglia, non l’abbandona a se stessa, ma la sostiene nei modi e nelle forme più consone alla situazione. Il Vangelo di oggi ci impegna a considerare non solo la coppia in sè, ma anche il dono dei bambini, perché dove mancano loro, siano figli naturali o adottivi, manca in parte la vitalità ed il senso della stessa famiglia costituita sul matrimonio. I coniugi infatti si impegnano ad accettare il dono dei figli e ad educarli secondo l’insegnamento del vangelo e della chiesa. Sia questa la nostra speciale preghiera di oggi: "Dio, che hai creato l’uomo e la donna, perché i due siano una vita sola, principio dell’armonia libera e necessaria che si realizza nell’amore; per opera del tuo Spirito riporta i figli di Adamo alla santità delle prime origini, e dona loro un cuore fedele, perché nessun potere umano osi dividere ciò che tu stesso hai unito". |