Omelia (15-11-2009) |
Suor Giuseppina Pisano o.p. |
Vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi del cielo E' la promessa del Signore Gesù che risuona in questa domenica; essa riassume il senso profondo delle letture di oggi, letture che, a prima vista, sembrano parlarci soltanto di distruzione, con quello sconvolgimento drammatico che metterà la parola fine su tutta la creazione. Ci avviamo verso la fine dell'anno liturgico, un arco di tempo, durante il quale abbiamo contemplato il mistero di Cristo; ed ecco, che la Chiesa ci pone di fronte al pensiero della fine di tutte le cose create e alla nostra stessa fine; ma non per vivere nella tristezza e nell'angoscia; bensì per aprire gli occhi alla speranza e alla visione di quella che sarà la vita oltre la morte: l'incontro col Cristo risorto, col Figlio di Dio pienamente glorificato, col Figlio dell'uomo, come si definisce oggi Gesù, che ci verrà incontro per accoglierci accanto a sè, nella gloria che non ha fine. Tuttavia, prima di raggiungere il traguardo ultimo, oltre il tempo, è necessario attraversare il dolore lacerante del distacco, un dolore che come scrive Paolo, pervade tutte le cose:" Sappiamo che tutte le cose create gemono insieme, e soffrono insieme, come nelle doglie del parto...e anche noi gemiamo, in attesa dell'adozione a figli, del riscatto del nostro corpo..."(Rom.8,20-23); dunque tutta la creazione, uomini e cose, è in attesa della liberazione dalla schiavitù della corruzione, per partecipare, pur in maniera diversa, alla gloria dei figli di Dio. Ora, pensando alla fine: la fine delle cose belle di cui godiamo, dei legami d'affetto che ci riempiono la vita, come pure, pensando alla fine della nostra stessa esistenza temporale, non possiamo non provare angoscia e dolore; del resto, neppure il Figlio di Dio ne fu esente, nella tremenda agonia del Getzemani; ma se la tristezza e l'angoscia ci assalgono, sappiamo che esse sono solo di un momento, mentre la speranza dell'incontro con Dio in Cristo ci conduce alla visione di una felicità eterna. E' questo il senso del discorso di Gesù sulla fine delle cose create, che il Vangelo di questa domenica ci ricorda:"Disse Gesù ai suoi discepoli «In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, e la luna non darà più il suo splendore, e gli astri si metteranno a cadere dal cielo, e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.»; un discorso, nel quale il Maestro usa immagini e termini dei testi apocalittici degli antichi profeti, con un linguaggio fatto di immagini forti, che parlano di una catastrofe cosmica, e che, a prima vista, sembrano solo incutere paura, anzi, terrore; ma così non è, perché dietro a quel linguaggio suggestivo e minaccioso, già si intravede la nascita di un mondo nuovo, e di un' umanità rinnovata nella giustizia, nella pace e nell'amore. E' quello di cui, già nel suo lontano tempo parlava il profeta Daniele, in quel passo che la liturgia oggi ripropone alla nostra riflessione, un testo, appunto, della letteratura apocalittica che così recita:"In quel tempo, sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo.Vi sarà un tempo di angoscia, come non c'era mai stato dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo...."; ma l'angoscia, per quanto amara, avrà termine, perché il popolo di Dio raggiungerà la salvezza eterna, la felicità indistruttibile, la beatitudine di una vita, illuminata dalla Presenza di Dio: " Allora, continua il testo, molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno... alla vita eterna e....i saggi risplenderanno, come lo splendore del firmamento; coloro, che avranno indotto molti alla giustizia, risplenderanno come le stelle per sempre."; e sono immagini, queste ultime, di una intensità e di una felicità veramente sconfinate. Di questa felicità ci parla oggi Gesù, dopo averci ricordato la realtà drammatica della fine: la fine delle cose create e la nostra stessa fine; dopo quel tempo, dopo quell'esperienza veramente drammatica, sorgerà il sole di una nuova vita, così come dopo i giorni tragici della passione e della morte, dopo il buio del sepolcro, splendette la luce infinita del mattino di Pasqua, quel giorno unico e benedetto della Storia, che segnò la nascita di un'umanità rinnovata, destinata a vivere della visione e della comunione eterna con Dio, nel Figlio Gesù. Si, la gloria del Cristo risorto, che sarà, alla fine, la nostra stessa gloria, ed è, questo, il nostro vero destino, il compimento della nostra esistenza, ed è ciò di cui, al di là delle immagini apocalittiche, ci parla il Signore. Il suo discorso non è un discorso di morte, anche se questa, inevitabilmente verrà, ma un discorso di vita, e di vita eterna:"Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria.... egli manderà gli angeli e riunirà, i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità dei cielo.." E' il destino ultimo dell'uomo, ed è, questa, la meta verso la quale corre tutta la Storia, la grande storia dell'umanità di tutti i tempi, e la nostra piccola storia individuale, la storia di ognuno di noi, che il Padre ha creato a sua immagine e il Figlio ha redento con la sua morte e resurrezione. Il discorso di Gesù, dunque, non ha come scopo quello di avvertirci su quella che sarà la fine del mondo, ma quello di svelarci il senso profondo della nostra esistenza, il senso del nostro stesso mistero di creature, che portano in sé l'immagine di Dio, un mistero che, proprio attraverso la morte, giungerà alla sua piena realizzazione nella comunione eterna col Padre, col Figlio e con lo Spirito, in quella vita luminosa e beata, che non avrà mai fine, quando ognuno di coloro che sono risorti in Cristo," splenderà come lo splendore del firmamento". Di tutti costoro canta oggi il Salmista,( sl.15) ed essi sono quanti hanno riposto la loro fiducia in Dio, e che, alle sue mani di Padre hanno consegnato la loro vita, nella certezza di raggiungere la pienezza della gioia nella sua presenza, e di vivere la " dolcezza senza fine alla sua destra". E' questa la realtà che ci attende, dopo l'amarezza della morte, al termine dell'esistenza temporale, sia personale che cosmica; non la distruzione totale, dunque, ma la visione della gloria di Dio, nel quale si realizzerà la nostra stessa gloria per mezzo di Cristo Risorto:"... vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria..."; ecco, quanto ci promette il nostro Redentore, il Figlio di Dio, Gesù di Nazareth, che ama definirsi: Figlio dell'uomo, rimarcando, in questo modo, la stretta vicinanza ad ogni creatura umana che attnde da lui la salvezza. |