Omelia (07-10-2009) |
Casa di Preghiera San Biagio FMA |
Commento su Gn 4,2 Dalla Parola del giorno So che tu se un Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore. Come vivere questa Parola? Siamo all’episodio conclusivo del libro di Giona. Un punto nevralgico in cui la giustizia umana viene a trovarsi a confronto con quella divina. Da un lato Giona con i suoi ragionamenti stringati dove non c’è spazio per la misericordia perché il suo sguardo non riesce a valicare i confini del presente: per lui c’è solo la concretezza del passato che, con il suo peso esistenziale, inquina il presente. Il giudizio può essere formulato unicamente come condanna del male commesso, senza possibilità di remissione. Non così per Dio, il cui sguardo è sempre proteso a cogliere ciò che l’uomo può diventare. Il presente, per lui, è carico della pienezza del futuro. Il male commesso non è da lui minimizzato: il male è male con tutte le conseguenze che ne derivano e che egli si fa premura di mettere sotto gli occhi del peccatore. Richiami severi di un padre che ama e proprio per questo non può permettere che il figlio si autodistrugga. Ma il primo barlume di pentimento, il primo accennarsi di un’incrinatura nel cuore di pietra, lo fa precipitare per inondare della sua luce quel futuro di cui continua a far dono all’uomo. E il suo giudizio assume le gioiose connotazioni di una giustificazione. Non si tratta di un non far conto del passato, di far come se non fosse capitato nulla. È molto, molto di più! È proprio sulle rovine del passato che egli edifica con noi un oggi radioso, un oggi all’insegna della verità, un oggi illuminato dalla sperimentata certezza di essere amati, pazzamente amati. È in questa certezza che riposerò, quest’oggi, durante la mia pausa contemplativa, mentre lascerò che il mio cuore canti a Dio la sua riconoscenza. Grazie, grazie, mio Dio! Che tutta la mia vita non sia che un rendimento di grazie a te, mio unico, mio tutto, mio grande desiderio! La voce di un mistico Non vedo più il giudice, non vedo più l’offeso. Il movimento della testa che si piega, che cade sulla spalla del figlio prodigo, mi perseguita troppo. Augustin Guillerand |